Se la capacità di intrattenere dialoghi può essere un indicatore delle abilità di un individuo, Shin’ichi ne dimostra di ottime. In questa puntata, che segna anche l’inizio del secondo capitolo, si raccontano vari colloqui con personalità di spicco. In particolare con il premier sovietico Kosygin e con l’ex primo ministro Sato, premio Nobel per la pace per l’adesione del Giappone al Trattato di non proliferazione nucleare
Shin’ichi Yamamoto [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.], discuteva i fatti accaduti in Corea del Sud con i responsabili centrali della Soka Gakkai e su come incoraggiare i membri sudcoreani. Egli proseguì dicendo: «Come scrive Nichiren Daishonin, “se hanno uno ‘stesso scopo e diverse menti’ non possono ottenere niente di notevole” (Diversi corpi, stessa mente, RSND, 1, 550). Senza unità, il sentiero che porta a kosen-rufu sarebbe sbarrato. E se questo dovesse succedere, il vero problema è che si chiuderebbe anche il sentiero che porta alla felicità di ognuno. E questo dobbiamo evitarlo a ogni costo.
«Il Daishonin dice anche: “Al contrario, sebbene Nichiren e i suoi discepoli siano pochi di numero, poiché hanno lo spirito di ‘diversi corpi, stessa mente’, realizzeranno sicuramente la loro grande missione di propagare ampiamente il Sutra del Loto” (Ibidem). Anche in circostanze avverse, fino a che ognuno coltiverà l’unità basata sulla fede, gli sarà possibile aprire la strada, e portare avanti kosen-rufu. L’unità è forza».
Come afferma il Daishonin: «In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi, stessa mente”, senza alcuna distinzione tra loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita» (L’eredità della Legge fondamentale della vita, RSND, 1, 190). Queste parole significano che l’eredità del Buddismo, la grande Legge della vita, scorre dentro le nostre esistenze quando pratichiamo con il desiderio di realizzare kosen-rufu. La nostra unità si basa da un lato sulla solidarietà indissolubile fra maestro e discepolo nella dedizione a kosen-rufu, e dall’altro sull’unità dei membri, che lavorano insieme per uno scopo comune. Kosen-rufu può essere paragonato a un arazzo, che nasce dai fili dell’ordito di maestro e discepolo intersecati dai fili della trama dell’unità di “diversi corpi, stessa mente”. Finché manterremo questa unità nella fede, godremo di infiniti benefici e avanzeremo sul sentiero della rivoluzione umana e del raggiungimento della Buddità in questa esistenza.
Avanzare insieme in armoniosa unità è in sé il trionfo personale di ognuno sull’egoismo, perché è impossibile creare unità fra persone egocentriche e incapaci di collaborare.
La Soka Gakkai è l’organizzazione che si dedica a kosen-rufu in accordo con l’intenzione e il volere del Budda. Il secondo presidente Josei Toda, perseguitato dalle autorità militari giapponesi durante la guerra, lesse il Gosho con la sua stessa vita e raggiunse l’Illuminazione mentre si trovava in prigione. Così proclamò il suo convincimento: «Nei sutra del futuro il nome della Soka Gakkai sarà inciso come “Budda Soka Gakkai”».
In qualsiasi paese, in qualsiasi regione, a nessun individuo o gruppo di persone può essere permesso di nuocere alla nostra organizzazione, o di sfruttarla per scopi personali. Il Daishonin in Lettera da Sado scrive: «Né i non buddisti né i nemici del Buddismo possono distruggere il corretto insegnamento del Tathagata, ma i discepoli del Budda possono senza dubbio farlo. Come dice un sutra, solo i vermi nati dal corpo del leone stesso possono cibarsene» (RSND, 1, 267). Kosen-rufu è una lotta senza fine contro queste forze distruttive, queste influenze “demoniache”.
Basandosi sulla guida che Shin’ichi aveva dato a Guam, il vice presidente della Soka Gakkai Hirishi Izumida e altri responsabili centrali cominciarono a recarsi spesso in Corea del Sud, parlando approfonditamente con i rappresentanti delle varie regioni del paese. Nel maggio del 1976 venne fondata l’Associazione Buddista Coreana, che univa tutti i membri della Corea del Sud.
Nonostante ciò, c’era ancora chi faceva a gara per mandare in pezzi l’organizzazione, e individui corrotti che avevano tentato di distruggere la Gakkai in Giappone tentarono anche là di creare disordine. Comunque, la coesione fra i membri sudcoreani diventò ancora più grande, nell’affrontare e superare ciascuna di queste sfide: il risultato fu che coloro che avevano cercato di distruggere l’organizzazione si dileguarono.
La SGI della Corea del Sud posò una significativa pietra miliare nella sua storia quando entrò ufficialmente a far parte della Soka Gakkai Internazionale nell’aprile del 2000.
La SGI è una rete che unisce le persone di ogni parte del mondo attraverso il legame condiviso di “diversi corpi, stessa mente”, faro luminoso di pace globale.
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Il dialogo unisce le persone. E il Buddismo – filosofia che rispetta la sacralità della vita – si diffonde attraverso il dialogo. Il dialogo richiede coraggio, e quel calore umano autentico che trasmette accettazione e rispetto. Richiede anche la saggezza e la passione necessarie a creare comprensione e solidarietà.
L’abilità nel dialogare si può considerare un indicatore delle capacità di una persona in generale: attraverso l’impegno per portare avanti il dialogo riusciamo a lucidare ed elevare la nostra vita.
Il 28 gennaio 1975, dopo la fondazione della SGI, avvenuta durante la Prima conferenza di pace a Guam, Shin’ichi fece ritorno in Giappone. Era stato assente circa tre settimane, dal momento che prima di recarsi a Guam aveva visitato Los Angeles, New York, Washington D.C., Chicago e le Hawaii.
Al suo rientro, prese parte all’incontro dei responsabili centrali della sede della Soka Gakkai, e partecipò a eventi durante i quali mise un’attenzione particolare nell’intrattenere dialoghi con diplomatici, personalità di spicco in vari campi e giornalisti.
«Il futuro del mondo dipende dalla nostra capacità di promuovere il dialogo». Questa osservazione appartiene al dottor Felix Unger, presidente dell’Accademia europea delle scienze e delle arti, con il quale in seguito Shin’ichi avrebbe pubblicato un dialogo. Il dialogo ha il potere di portare un cambiamento d’epoca e trasformare il destino dell’uomo.
Il primo febbraio Shin’ichi Yamamoto si recò presso l’ambasciata americana a Tokyo, per un colloquio di circa un’ora con l’ambasciatore James Day Hodgson, durante il quale gli raccontò del suo fruttuoso viaggio negli Stati Uniti. Il giorno seguente intrattenne col presidente della Fondazione Giappone-Stati Uniti, Isaac Shapiro, una chiacchierata che toccò una vasta gamma di argomenti, tra i quali la relazione fra lingua e cultura. Il 6 febbraio incontrò John Roderick, il corrispondente a Tokyo dell’Associated Press: con lui parlò dell’importanza del disarmo globale e della proposta, di Shin’ichi stesso, di creare un organo educativo delle Nazioni Unite.
Il 12 febbraio Shin’ichi ebbe un incontro con l’ex primo ministro giapponese Eisaku Sato (1901-1975). Poco dopo aver ricevuto il premio Nobel per la pace, Sato lo aveva invitato a vedere il riconoscimento appena gli fosse stato possibile, ma dal momento che Shin’ichi il 6 gennaio doveva partire per gli Stati Uniti, il loro incontro era stato rimandato a febbraio.
Sato si offrì di andarlo a trovare a casa sua, ma a Shin’ichi sembrava inappropriato accogliere un ospite così ragguardevole presso la sua umile dimora, e così organizzò l’incontro presso un vicino ristorante giapponese. Condusse anche sua moglie Mineko, visto che l’ex primo ministro era in compagnia della propria moglie. Sato indossava un completo con una cravatta verde e i capelli leggermente lunghi gli davano un’aria giovanile. Quando Shin’ichi gli fece i suoi complimenti per il Nobel, Sato disse: «Grazie! Avevo davvero un gran desiderio di mostrarglielo, ed è per questo che ero così impaziente di incontrarci». Pranzando, iniziarono a parlare. «Al ritorno, dopo la cerimonia di premiazione – raccontò Sato – ho fatto tappa in Unione Sovietica, dove ho incontrato il premier Aleksey Kosygin (1904-80). Un incontro significativo. Non abbiamo discusso dei territori su cui c’è un contenzioso fra Giappone e Unione Sovietica; abbiamo invece intrattenuto una conversazione amichevole che è durata più o meno un’ora. A un certo punto Kosygin ha detto: “Quando ritornerà in Giappone, la prego, porti i miei migliori saluti al presidente della Soka Gakkai Yamamoto. Ho avuto con lui uno scambio davvero significativo”».
Shin’ichi annuì. «Davvero? Quando ho incontrato il premier Kosygin durante il mio viaggio in Unione Sovietica lo scorso settembre, gli ho parlato con assoluta franchezza».
Spiegò allora di aver detto a Kosygin che la maggior parte dei giapponesi temevano l’Unione Sovietica, e che era indispensabile cambiare quell’impressione. Gli aveva anche suggerito che se l’URSS voleva guadagnarsi la fiducia del popolo giapponese, doveva rivolgersi in Giappone a un pubblico più vasto, anche a leader e gruppi più conservatori, invece che relazionarsi soltanto con uomini politici e gruppi filosovietici.
Sato era universalmente considerato un fido sostenitore degli Stati Uniti: il suo incontro con Kosygin poteva essere un segno del fatto che il premier sovietico aveva tenuto in considerazione il consiglio di Shin’ichi.
Il dialogo coraggioso ha il potere di sviluppare la solidarietà e la comprensione, ha il potere di cambiare il mondo.
L’ex primo ministro giapponese Eisaku Sato annuì con enfasi alle osservazioni di Shin’ichi Yamamoto dicendogli: «Il consiglio sincero e appassionato che ha dato al primo ministro sovietico Aleksej Kosygin deve averlo spinto ad accettare di incontrarmi».
Shin’ichi rispose: «No, è stato il primo ministro Kosygin ad avere l’integrità di prendere in considerazione la mia proposta. Credo che la grandezza del primo ministro si trovi nella sua integrità».
Come scrisse una volta l’autore giapponese Kanzo Uchimura (1861-1930): «Nessuno ha mai acquisito grandezza senza integrità». Shin’ichi citava spesso questa frase quando parlava coi ragazzi più giovani.
«Comunque sia – proseguì Sato – è riuscito a incontrare Kosygin parlandogli in modo schietto come se gli stesse semplicemente offrendo un consiglio amichevole. È difficile tra rappresentanti del governo parlarsi in maniera così sincera. Ecco perché uno scambio ufficioso e privato è così fondamentale».
Durante il suo viaggio Sato aveva anche visitato l’Università Statale di Mosca, ed era rimasto colpito venendo a sapere che la scuola russa stava per avviare un programma di scambio accademico con l’Università Soka in virtù della profonda fiducia ispirata da Shin’ichi.
Shin’ichi gli espresse la propria convinzione sull’importanza di dare valore alle relazioni con la Cina, accennando agli incontri che aveva avuto con il primo ministro cinese Zhou Enlai (1898-1976) e il vice primo ministro Deng Xiaoping (1904-97) durante il suo secondo viaggio in Cina, nel dicembre del 1974.
Sato rispose con animazione: «Sono estremamente grato per il suo impegno nel costruire un ponte di amicizia fra Giappone e Cina. Ha fatto uno splendido lavoro».
Sato era considerato da molti un fedele alleato di Taiwan; sperava tuttavia da lungo tempo nella normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Giappone e Cina, e Shin’ichi lo sapeva bene. Il fermo sostegno di Sato a Taiwan era basato sulla fiducia che egli nutriva nel leader del Kuomintang Chiang Kai-shek (1887-1975): gli era profondamente grato per aver permesso un rapido rimpatrio dei giapponesi dopo la guerra e per aver evitato di chiedere al Giappone un risarcimento. Sato era convinto che un simile riguardo dovesse essere ripagato con la stessa moneta.
Shin’ichi si era incontrato con Sato diverse volte, nel periodo in cui questi ricopriva la carica di primo ministro. L’incontro più memorabile aveva avuto luogo nove anni prima, nel gennaio del 1966, quando Shin’ichi gli aveva fatto visita nella sua seconda casa nel quartiere di Hase a Kamakura, nella prefettura di Kanagawa.
L’incontro privato di Shin’ichi con il primo ministro era durato circa tre ore e mezza, durante le quali avevano parlato di un gran numero di argomenti, tra cui il futuro del Giappone, l’educazione, la religione e le questioni internazionali.
Il giorno di quell’incontro Sato era primo ministro da quattordici mesi. Aveva sessantaquattro anni e Shin’ichi trentotto. Avrebbero tranquillamente potuto essere padre e figlio, ma il loro dialogo fu schietto e sincero, superando così qualunque barriera generazionale.
L’incontro era avvenuto poco dopo la pubblicazione del primo volume del romanzo di Shin’ichi La rivoluzione umana, e il primo ministro aveva osservato: «Ho letto il suo libro e ho notato che usa parole molto dure per coloro che sono al potere. Ha scritto che un cittadino comune è più importante del primo ministro».
Il romanzo divenne il loro primo argomento di conversazione.
Questo primo volume contiene una citazione attribuita al fondatore della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi: «Ciò che mi ferisce non è il crollo puro e semplice della nostra religione, ma l’inazione che vedo di fronte alla distruzione totale della nazione». Queste parole esprimono la sua rabbia per il clero della Nichiren Shoshu, che aveva ceduto alla pressione esercitata dalle autorità militari giapponesi e aveva abbandonato le proprie convinzioni religiose.
Sato aveva osservato con tono serio: «La Soka Gakkai ha forti princìpi morali. Ha uno spirito puro. Io comprendo la purezza della sua preoccupazione per il benessere della nostra nazione».
Dopo aver conversato per mezz’ora in salotto, Shin’ichi e il primo ministro avevano continuato la loro conversazione davanti al pranzo servito da Hiroko, la moglie di Sato.
A quel tempo la Soka Gakkai e il partito Komei non erano ancora diventate organizzazioni totalmente separate. Forse era intenzione del primo ministro Sato cercare una qualche forma di cooperazione con il Komei, ma questo argomento non fu mai toccato. Al contrario Sato espresse le sue idee sul futuro del Giappone, sullo stile di vita e le tendenze spirituali del popolo giapponese, lamentando l’evidente indifferenza delle generazioni più giovani per il futuro della nazione. Shin’ichi poteva sentire la sua preoccupazione: «È un peccato se i giovani non sono disposti a impegnarsi per il futuro del loro paese, così come per il futuro dell’umanità e del mondo in generale. Credo che la Soka Gakkai abbia la missione di far crescere i giovani che rispondano a questa sfida».
Sato denunciava anche la perdita dei valori morali in Giappone dopo la fine della guerra: «Mentre l’Occidente ha nella religione una fonte di moralità, temo che i giapponesi non abbiano niente che possa servire da guida per sviluppare l’autodisciplina».
Uno dei ruoli fondamentali della religione è quello di radicare il senso morale nel cuore delle persone.
(12. continua)