Tradizionalmente, in agosto il Centro culturale di Firenze accoglie giovani che svolgono un’attività di protezione. In questa intervista Il Nuovo Rinascimento ha cercato di scoprire qual è la motivazione che spinge a fare questa esperienza
Non siete i primi giovani che vengono al Centro culturale di Firenze a “faticare” durante le vacanze. Tanti, come voi, hanno dedicato il loro tempo a questa attività di protezione. Cosa vi ha spinto a partecipare?
Regina: Proprio ieri parlavamo della gioia e dei diversi tipi di gioia. Nell’attività spesso c’è una gioia che va a riempire dei vuoti che io, ad esempio, sento nei polmoni. Una volta colmavo il mio senso di vuoto fumando, mangiando, vivendo relazioni disastrose e facendo poi di tutto per non pensarci.
Federico: Ho questa domanda per la testa fin da quando sono arrivato. Il caldo è allucinante, la sveglia alle cinque, insomma sono andato un po’ in crisi. Ho già fatto questa attività altre volte e dedicare tempo al Gohonzon mi ha sempre dato una gioia immensa. Quando sono arrivato qui al Centro non ho sentito subito quella gioia che mi aspettavo di provare, però mi sono accorto che la mia fede è abbastanza profonda perché sono andato oltre a questo stato d’animo. Ho superato alcuni limiti, come quello di partecipare a questa tavola rotonda, cosa che, da quando ho deciso, mi sta dando una gioia che provo tutt’ora.
È una gioia diversa da quella che hai provato in altre situazioni?
Federico: Diversa da quella della vita quotidiana. È una gioia che provo solo quando partecipo alle attività. È una gioia incondizionata. Ieri sono andato con Claudio a pulire i “regalini” dei piccioni nel terrazzo coperto. Eravamo le persone più felici della terra: ridevamo, scherzavamo anche se facevamo un lavoro non molto piacevole… Quindi è una gioia indipendente da ciò che faccio, dalle zanzare, dal caldo… io comunque sono felice.
Valentina: Questo è il secondo anno che partecipo a questa settimana di attività. Sto attraversando un momento molto difficile e volevo fare questo corso perché sapevo che, come lo scorso anno, mi avrebbe dato la forza necessaria per andare avanti. Qui accumuli così tanta forza e gioia che quando torni a casa ti viene voglia di spaccare il mondo. Inoltre con i compagni di fede si stabiliscono legami profondi, che vanno oltre l’amicizia: così rari, oggi, fra coetanei.
Nunzia: I miei amici sono al mare, mentre io sono qui. Mi alzo presto e mi devo rapportare con tante persone, una diversa dall’altra. Noi non ci conoscevamo prima, ma ci sosteniamo a vicenda per realizzare kosen-rufu, il desiderio del maestro. Ogni volta che ho avuto una difficoltà in questi giorni sono andata di fronte al Gohonzon, ricordandomi che ho legato tanto con le persone, andando oltre i miei limiti e provando alla fine una gioia immensa nel sentire una forte unità. Non è una sensazione superficiale ma un sentimento profondo e vorrei tanto che tutti i giovani sperimentassero questa felicità.
Milena: Per me questa occasione ha significato approfondire la pratica e l’attività per gli altri. Tutti questi anni di attività sono stati volti a curare dei particolari: aprire il Gohonzon, accendere le candele, portare l’acqua, lavare il pavimento ecc. In realtà accudendo il Gohonzon ho accudito me stessa. Ora ho una solidità tale da rialzarmi tutte le volte che cado con gioia e con fierezza. Ho imparato a rispettare e amare la mia vita.
Claudio: Pratico dal 2002. Penso che in questo periodo storico, noi giovani, stiamo condividendo uno scopo comune e la cosa bella di questo corso è che siamo stati talmente vicini che ci ricorderemo per sempre dei volti dei nostri compagni. Per me affrontare i problemi in itai doshin (unità) vuol dire non fallire. Al di là dei sogni e dei progetti che un ragazzo può avere, c’è un pensiero condiviso con il presidente Ikeda e cioè che Nam-myoho-renge-kyo è in tutto: basta utilizzarlo in maniera coraggiosa per far emergere alla fine il nostro potenziale. Sto sentendo questo coraggio che non è solo il mio, ma è il coraggio di tutti noi che abbiamo deciso di fare attività per gli altri e di fare la nostra rivoluzione umana.
La gratitudine è un concetto importante nel Buddismo. Quanto vi è facile provarla?
Nunzia: Cerco di sperimentarla ogni volta nei confronti di tutti.
Federico: Io ho cambiato atteggiamento soprattutto verso i miei genitori. In mio padre notavo solo quello che lui faceva fatica a darmi, ad esempio il dialogo. Ho cambiato prospettiva in maniera graduale. Era un mio obiettivo far evolvere il mio rapporto con lui e la gratitudine emersa si è estesa a tante altre cose. Prima davo tutto per scontato, tutto mi era dovuto.
Valentina: I miei sono separati, e mia mamma è stata un esempio per me perché da quando ha iniziato a praticare ho visto il suo cambiamento e la sua forza nell’affrontare le relazioni familiari. La pratica mi ha aiutato a sciogliere quel nodo di odio che avevo verso mio padre, a perdonarlo e a nutrire gratitudine verso di lui perché senza tutto questo non andrei tutti i giorni davanti al Gohonzon. Sto sviluppando gratitudine per le difficoltà. Certo, appena arrivano dico: «Eh, no! Anche stavolta!». Ma poi, dopo aver recitato Daimoku, sento di poterle affrontare.
Milena: Anch’io ho imparato a ringraziare il Gohonzon nel momento in cui ho dovuto affrontare delle difficoltà. All’inizio facevo molta fatica, perché quando ci succede qualcosa soffriamo e basta. Gli ostacoli sono occasioni per migliorarci e progredire, e passando per “l’inferno” riesco ad arrivare a quella parte di me che devo “illuminare”. Sento tanta gratitudine per sensei: riesce ad arrivare a tutti nel modo migliore. Ho provato gratitudine quando ho pregato per i miei genitori e di fronte al Gohonzon ho deciso che nella prossima vita saranno ancora la mia famiglia.
Claudio: Quando penso alla gratitudine penso alla vita.
Regina: Io con la gratitudine sono un po’ indietro, diciamo nella fase “lavori in corso”. Gratitudine verso Ikeda sì e anche verso chi manda, ad esempio, l’esperienza al Nuovo Rinascimento, ma nei confronti dei miei genitori, la gratitudine è pari a zero. Chiedendo un consiglio nella fede mi è stato suggerito di provare a offrire loro un sorriso al giorno. Sembra facile, «Che vuoi che sia fare due sorrisi al giorno?», ma invece è difficilissimo. Quando entra mia mamma in casa a volte scappo a chiudermi in camera.
Nunzia: Prima di partire ho litigato con mio padre: siamo simili e ci scontriamo spesso; poi per settimane non ci parliamo. Venire qui mi ha fatto svoltare su questo punto. Mio padre è un essere umano con le sue sofferenze e ieri mi sono sfidata e gli ho telefonato. Voglio andare ancora oltre e vederlo con occhi diversi, far scaturire la gratitudine proprio da dentro di me. Questo è un limite che mi porta a vedere mio padre solo come genitore e non come un uomo con il suo vissuto e con una famiglia autoritaria alle spalle.
Milena: Nel momento in cui ho provato gratitudine per i miei genitori… non se ne è più andata. Loro hanno fatto tutto per me e io li accetto così come sono. Sono degli esseri umani e su questa base ho creato un grande rapporto con loro.
Federico: Comunque ci vuole l’azione, perché poi nel momento in cui provi gratitudine di fronte al Gohonzon, devi anche concretizzare questo sentimento in qualche modo. Se per esempio mio padre ha degli atteggiamenti che mi danno fastidio, devo cercare di reagire diversamente. Ed è proprio in quell’istante che posso cambiare atteggiamento.
Valentina: Per me la gratitudine è pregare al Gohonzon per capire a fondo perché quella cosa mi fa star male e agire di conseguenza.
Ripercorrendo le vostre esperienze quando è stato il momento che avete sentito: «Ho vinto, ce l’ho fatta!» e poi è arrivato il cambiamento concreto?
Nunzia: Ho sentito di vincere profondamente quando recitando al Gohonzon non mi sono più raccontata balle. Dovevo portare avanti un progetto con una persona che poi mi ha chiuso la porta in faccia e ho cominciato a pensare che da sola non ce l’avrei mai potuta fare. Quando davanti al Gohonzon ho sentito un profondo senso di vittoria, mi sono detta: «Non importa, io mi alzo da sola!», non ho più avuto paura di non farcela e mi sono sfidata concretamente. La sera stessa ho avuto dei riscontri positivi e il progetto ha preso ancora più spazio. Ne sono diventata il pilastro perché mi sono alzata da sola: tuttora provo una gioia immensa.
Claudio: Per me vincere vuol dire avere il coraggio di scegliere liberamente. Anche il coraggio di praticare Nam-myoho-renge-kyo è uno dei motivi per cui mi trovo a questo corso: per sperimentare la libertà di fronte al Gohonzon, per poterla poi sperimentare nella società. Dipende da noi il fatto di alzarsi da soli, per trasformare poi questo pensiero in un’azione concreta, che può essere anche un paradosso, come ad esempio licenziarsi perché la riteniamo la decisione migliore. Creare la Soka Gakkai nel futuro attraverso le nostre esperienze: questo è il pensiero del presidente Ikeda rivolto a noi giovani.
Milena: Nel momento in cui sento la vittoria di fronte al Gohonzon ho un’immagine bellissima, sono molto fantasiosa, e sento una cosa forte dentro che mi dice che senza dubbio ce la farò. Difficile da spiegare ma è proprio questa sensazione che tutte le volte mi riporta di fronte al Gohonzon.
Valentina: Il discorso è sempre collegato a mio papà. Recitando Daimoku ho sentito che il mio atteggiamento nei suoi confronti a poco a poco cambiava. La mia rabbia diminuiva e ho iniziato anche a perdonarlo. Lui, che non si è mai interessato alla mia vita, ha iniziato a preoccuparsi del mio futuro e ora è più presente.
Qual è la qualità che avete sviluppato attraverso la pratica?
Federico: Per me il coraggio, indubbiamente, perché ho sempre avuto tantissime paure, però grazie al Gohonzon ho capito che dentro di me c’è un coraggio da leone e quindi posso affrontare qualsiasi cosa.
Valentina: Anche per me il coraggio. Dopo aver affrontato una difficoltà, puoi dire: «Grazie a questa ho potuto cambiare qualcosa dentro di me e nella mia vita».
Claudio: Parto da una mia certezza: con la Legge mistica svilupperò tutte quelle qualità che saranno adatte ai tempi perché alla fine costruiamo noi tutto quello di cui abbiamo bisogno.
Cos’è cambiato nella vostra vita?
Claudio: Ho acquisito, per esempio, più coraggio, chiarezza e serenità.
Nunzia: Per me la perseveranza e l’autonomia.
Milena: Ho capito che occorre passare attraverso la paura per sviluppare il coraggio.
Regina: Oggi riesco a vedere le persone come esseri umani. Prima giudicavo sempre chi era fuori dalla mia cerchia, senza nessuna pietà, avevo una sfiducia totale verso l’essere umano. Ora sono un po’ più fiduciosa.