Non si trattava di un atteggiamento arrogante o di insana irrequietezza, ma nel profondo del mio cuore ci sono sempre stati due grandi amori che hanno viaggiato di pari passo: l’amore per la vita e quello per le navi a vela
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno avrei scritto la mia esperienza per una rivista buddista? Ho trentacinque anni, vissuti pienamente. Vorrei iniziare dal 1998, anno in cui venne a mancare una delle figure più importanti della mia vita: papà. Avevo poco più di ventidue anni e, fin da subito, in modo molto naturale, mi sentii portato ad assumermi la responsabilità della mia famiglia: mamma, mio fratello Errico, più piccolo di un anno, e io. Stavo bene, lavoravo nella piccola azienda agricola di famiglia e, durante il periodo estivo, mi dedicavo alla mia grande passione, la stessa che mi aveva spinto a diplomarmi all’Istituto nautico: navigare su piccoli yacht da diporto.
Andavo molto d’accordo con mio fratello, avevo qualche soldo da parte e, non per ultimo, un lavoro che mi permetteva di conciliare la mia passione, ma c’era qualcosa che stonava: io ero quello che decideva le varie colture da piantare, io ero quello che gestiva i soldi, io ero quello… io e sempre solo io!
Ben presto emerse anche la consapevolezza che stavo soffocando mio fratello, lo proteggevo da qualsiasi evento e questo, assolutamente, non andava bene, ma come uscirne fuori? A partire da questo interrogativo, diciamo, entrò in gioco la pratica. Nel 2000, dopo innumerevoli tentativi di farmi avvicinare al Buddismo, da parte di Simone, un mio carissimo amico, sentii il forte desiderio di provarci nel preciso momento in cui mi disse: «Riccardo, se hai un desiderio nel profondo del cuore che vuoi realizzare, puoi avere il mezzo e… guarda che è gratis!». E io ce l’avevo ben chiaro quel desiderio in fondo al cuore: navigare su grandi velieri.
Da allora, iniziai costantemente e immancabilmente a recitare Nam-myoho-renge-kyo accompagnando la preghiera all’azione, consegnando curricula, facendo colloqui, anche bussando alle porte più impensabili. A marzo del 2001, venni contattato da una compagnia di navigazione per chiedermi se ero disposto a partire, da lì a tre giorni, con la qualifica di allievo ufficiale.
Che fare? Partire per seguire il “mare” oppure rimanere e continuare a fare quello che stavo facendo? Decisi di imbarcarmi.
Partii fiducioso: mio fratello ce l’avrebbe fatta a portare avanti l’azienda, senza aver bisogno della mia ala protettrice.
E… cosa trovai al mio ritorno, dopo ben sette mesi di navigazione? Un trattore nuovo del valore di trentamila euro comprato senza dirmi nulla! Con il cuore in gola pensai, davvero, che la pratica “funzionasse” e, finalmente avevo lasciato libero mio fratello. Libero, forse, anche di sbagliare. A quel punto, si trattava di iniziare il mio cammino, verso la realizzazione personale. Continuai a navigare, come ufficiale sulle navi da carico, ma non mi sentivo ancora appagato.
Ricevetti il Gohonzon nel 2003, e provai a creare una piccola azienda di noleggio barche ma, benché le cose stessero andando bene, volevo di più, la mia vita chiedeva e meritava di più!
Intensificai la pratica e l’attività con i compagni di fede, tanto che nell’estate del 2006, mi capitò un’interessante occasione: comandare un aliscafo per il trasporto passeggeri! Un lavoro d’oro, una posizione di tutto rispetto e una “sistemazione” per tutta la vita.
Nonostante ciò sentivo di allontanarmi sempre più dal mio grande sogno. Volevo e potevo dare molto di più e così, entusiasta e fiducioso, senza nutrire alcun dubbio nel Gohonzon, nel settembre 2009, mi licenziai dal cosiddetto “posto sicuro”, rinnovando a me stesso, con assoluta chiarezza, il mio obiettivo: i grandi yacht, le navi a vela.
Dedicai tutto me stesso all’attività buddista, con il desiderio di trovare un imbarco entro il 30 marzo del 2010.
Le risposte non tardarono e il 15 febbraio mi arrivò una telefonata per un imbarco su uno yacht di cinquantadue metri in qualità di ufficiale: partenza il 29 marzo per Genova! Ovviamente, accettai. Ricevetti un’accoglienza davvero calorosa da parte dei praticanti locali, oltre al sostegno dei compagni di fede del Circeo, la zona da cui provengo, e feci una stagione lavorativa stupenda.
Ma, ma… ancora turbolenze e insoddisfazioni. Non si trattava di un atteggiamento arrogante o di insana irrequietezza, ma nel profondo del mio cuore ci sono sempre stati due grandi amori che hanno viaggiato di pari passo: l’amore per la vita e quello per le navi a vela.
Colsi la sfida e puntai sempre più in alto, molto più in alto negli obiettivi di inizio d’anno: navi a vela! L’esperienza lavorativa genovese, del resto, mi aveva preparato, e maturato professionalmente, in quell’ottica.
A gennaio inviai un solo curriculum vitae a una compagnia di navigazione che, guarda caso, ricercava ufficiali di coperta su navi a vela e, nel giro di appena un mese, mi convocò per un colloquio.
La “Signora del Vento”, questo è il nome del maestoso e imponente veliero di ottantacinque metri, al quale ho sentito, fin da subito, di appartenere, senza alcun dubbio, con quella “strana” e mistica sicurezza che ti pervade, e ti accompagna in tutto ciò che fai e trasmetti! Quella sicurezza che si chiama Gohonzon, che si chiama amore per la vita ed è proprio questa l’avventura che ho scelto, imbarcandomi, grazie alla quale, oggi, posso dire di sentirmi finalmente realizzato, soddisfatto, libero e felice.
In tutto questo “viaggio” di fede, ho inciso nel cuore una frase di Nichiren che mi ha sempre accompagnato in ognuna di queste esperienze, insegnandomi a purificare il cuore. «Non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente» (Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 4). Con il Gohonzon si ha veramente il “vento in poppa”.