Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
La motivazione interiore - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:57

477

Stampa

La motivazione interiore

Una esperienza commovente raccontata durante una riunione educatori: una giovane insegnante, grazie alla sua determinazione, al Daimoku e alla incrollabile convinzione che ogni persona abbia una nobile missione nella vita, riesce a influenzare la condotta scolastica e la vita di una studentessa ribelle, portandola a realizzare i suoi sogni

Dimensione del testo AA

Una esperienza commovente raccontata durante una riunione educatori: una giovane insegnante, grazie alla sua determinazione, al Daimoku e alla incrollabile convinzione che ogni persona abbia una nobile missione nella vita, riesce a influenzare la condotta scolastica e la vita di una studentessa ribelle, portandola a realizzare i suoi sogni

Il Nuovo Rinascimento presenta alcuni estratti dal volume 24, pubblicato sulle pagine del Seikyo Shimbun. Il testo integrale è disponibile su www.ilvolocontinuo.it

Shin’ichi [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.] condivise con i membri riuniti nella sala un breve passo dell’educatore svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), che descriveva la sua esperienza di insegnamento con i piccoli orfanelli: «Ho pianto con i bambini e ho riso con loro». Pestalozzi stava sempre insieme agli orfani, mangiava lo stesso cibo, si prendeva cura di loro quando si ammalavano e dormiva nella loro stessa stanza.
«Secondo me, l’approccio di Pestalozzi – disse Shin’ichi – incarna alla perfezione l’essenza dell’educazione. Naturalmente, gli insegnanti che si trovano oggi nelle scuole non possono vivere con i loro studenti giorno e notte, tuttavia non devono perdere il senso di dedizione, personificato da Pestalozzi, verso i loro alunni».
Ovviamente i metodi educativi si evolvono con il cambiare dei tempi e della società, ma la solidarietà e l’amore per i propri studenti, così come la determinazione di vigilare su di loro e proteggerli, non devono mai venir meno. È questo il punto di partenza per un approccio umanistico nell’educazione. Shin’ichi continuò a parlare degli obiettivi di questo tipo di educazione affermando: «L’obiettivo dell’educazione umanistica è quello di creare una situazione di equilibrio e armonia tra l’intelletto, le emozioni e la volontà di ogni persona, sviluppando completamente questi tre aspetti dello spirito umano».
Il 12 agosto 1976, un anno dopo il corso estivo del Dipartimento educatori durante il quale Shin’ichi aveva proposto che i membri del Dipartimento si impegnassero solennemente a intraprendere una rivoluzione in ambito educativo, si tenne un meeting per celebrare la Giornata della rivoluzione educativa presso il Tachikawa Civic Hall di Tokyo. Una delle ragioni che avevano spinto a organizzare questa riunione era offrire l’occasione di condividere i racconti di vita vissuta degli insegnanti, in modo da promuovere il movimento dell’educazione umanistica in maniera diversa dai formali resoconti. Cinque insegnanti presero la parola durante il meeting. Le loro esperienze su come si erano dedicati ai loro alunni, senza risparmiarsi, erano risultate molto toccanti e illuminanti. Una storia, in particolare, ricevette il plauso dei presenti: quella di Takami Kitagawa, un’insegnante di un liceo femminile nella prefettura di Okayama.
Una ragazza di nome Kazuko, nella classe di Takami, frequentava l’ultimo anno di liceo. Kazuko viveva in una pensione e non con la sua famiglia. Era una giovane che ormai nessuno riusciva più a gestire: si azzuffava spesso con i suoi compagni di scuola, passando per i corridoi minacciava gli altri, ignorava le più basilari regole della scuola e trasgrediva il codice di abbigliamento del liceo. Secondo alcuni studenti, era solita bere e fumare, e sniffava anche la colla.
Kazuko aveva una malformazione congenita: il dito indice e il medio di una mano erano infatti molto più corti del normale. Da piccola era stata derisa per questo motivo e ciò aveva influenzato negativamente il suo carattere.
A scuola tutti i professori pian piano si erano arresi e avevano smesso di prendersene cura, e la cosa feriva Takami. Sapeva perfettamente che se Kazuko avesse continuato a infrangere le regole della scuola alla fine sarebbe stata espulsa. Poteva immaginarsi che quella malformazione congenita dovesse aver già causato tanto dolore e sofferenza alla ragazza, durante i soli diciassette anni della sua vita, ma continuando a tenere quel comportamento così autodistruttivo, avrebbe causato a se stessa solo altro tormento. Takami desiderava che Kazuko diventasse felice come non era mai stata. Voleva fare qualcosa per quella ragazza. Così ebbe inizio la sua sfida. Cominciò innanzi tutto a recitare molto Daimoku per la felicità di Kazuko.

La sfida di Takami

Le azioni positive e determinate, basate sulla preghiera, possono aprire la strada a un futuro migliore. Takami Kitagawa decise intanto che avrebbe smesso di ignorare le infrazioni alle regole scolastiche commesse abitualmente da Kazuko. Allo stesso tempo, si sforzò di non etichettarla come una piccola delinquente. Takami diventò quindi molto severa con Kazuko, proprio come espressione della sua sincera compassione e del desiderio profondo che nutriva di vedere in lei un cambiamento. «Kazuko, abbottonati la camicetta». «Non è permesso mettersi scarpe rosse da ginnastica». Kazuko avrebbe preso questi rimproveri come manifestazione del suo affetto e della sua preoccupazione? Oppure quei rimproveri avrebbero creato l’effetto opposto, aumentando il suo risentimento? Questo era il rischio a cui andava incontro la giovane professoressa.
In un primo momento, Kazuko semplicemente la ignorò. «Mi lasci in pace, non stia sempre a guardare ogni cosa che faccio!», le disse una volta la ragazza, uscendo di corsa dall’aula. Ma Takami non aveva alcuna intenzione di desistere… finché un bel giorno cominciò a notare le prime avvisaglie di cambiamento: Kazuko aveva smesso di ignorare le parole della sua insegnante quando la riprendeva e talvolta capitava addirittura che i loro sguardi si incrociassero. Takami lo interpretò come un segnale di apertura.
Poi, un giorno, durante una lezione, accadde un episodio sgradevole. Ci fu un commento fuori luogo di un altro insegnante sulle persone con malformazioni fisiche che ferì profondamente Kazuko. Anche se il professore dopo si era scusato, la ragazza non poteva dimenticare l’accaduto. Il giorno seguente, riprese ad arrivare a scuola in ritardo. Quegli inizi di cambiamento che Takami aveva alimentato, piena di speranze, erano stati stroncati sul nascere.
La giovane insegnante era dispiaciuta che tutti i suoi sforzi fossero stati vanificati. Ma se lei avesse smesso di credere in Kazuko, cosa ne sarebbe stato della ragazza? Takami allora si rimproverò per aver pensato anche solo per un attimo di mollare tutto e decise di starle vicino. Se provava sinceramente a rimettersi in contatto con Kazuko, non poteva non riuscirci. Cercare di comunicare con un’altra persona, in ­realtà, è una lotta contro la propria rassegnazione.
A metà gennaio telefonò a scuola una persona che era una specie di tutrice di Kazuko, per dire che la giovane aveva mal di stomaco e che sarebbe rimasta a casa. Quando Takami chiamò la pensione dove stava la ragazza, la tutrice le rispose che pensava invece che Kazuko fosse andata a scuola. Takami era molto preoccupata, ma il giorno dopo la studentessa si presentò a scuola come se nulla fosse accaduto. Quando Takami le disse che voleva parlarle, Kazuko reagì esclamando: «Ma che senso ha? Lei ha tutte le dita normali. Non può capire come mi sento!».
Ciononostante Takami provò in numerose occasioni ad avvicinare Kazuko, ma la studentessa trovava sempre una scusa: «Ora mangio il mio panino», «Devo fare le pulizie», sottraendosi così a tutti i suoi tentativi di incontro. Tuttavia, un bel giorno, la professoressa riuscì a sedersi e a parlare con lei.

Giocare il tutto per tutto

Takami si rendeva conto che un atteggiamento di compatimento da parte sua non avrebbe prodotto alcun risultato. Decise quindi di tirare in ballo, senza mezzi termini, l’unico argomento che tutti gli altri evitavano accuratamente: la malformazione della sua mano. Mise in conto la possibilità che il suo approccio diretto potesse rovinare definitivamente la loro relazione, ma aveva recitato tanto Daimoku per arrivare al cuore di Kazuko e trasmetterle la sua vera intenzione.
Iniziarono a dialogare. Takami guardava la ragazza dritta negli occhi mentre le parlava con fermezza e convinzione. «Ti stai servendo della tua mano come una scusa per tutto quello che non ti va per il verso giusto. Per quanto tempo ancora hai intenzione di fare così? Ci sono un sacco di persone al mondo affette da malattie terribili o da gravi malformazioni. Eppure tutti vanno avanti, cercando di vivere al meglio delle loro possibilità. Se continui a ritenere i tuoi genitori responsabili per quello che hai vissuto finora, ribellandoti e prendendotela con gli altri, finirai col diventare sempre più infelice!».
Dapprima Kazuko si rifiutò di guardare negli occhi la sua insegnante, ma quando Takami pronunciò quelle parole, l’espressione della sua faccia cambiò. Le sue labbra avevano cominciato a tremare, si stringeva le mani appoggiandole alle ginocchia e sembrava che stesse facendo degli sforzi sovrumani per trattenere tutta la rabbia che covava.
Man mano che passavano i minuti Takami prendeva sempre più coraggio perché pensava: «Devo dire tutto quello che va detto, per vedere di scuoterla fino in fondo. Un tentativo fatto a metà non è un vero tentativo!».
Quindi continuò: «La tua mano non è perfetta ma è parte di te, fa parte di quello che tu sei ora. Le tue dita possono essere più corte rispetto a quelle degli altri, ma tu sei perfettamente in grado di scrivere e usare le bacchette per mangiare. Non permettere alla tua malformazione di limitarti.
«Da oggi, voglio aiutarti a sfidarti, per diventare così coraggiosa da far vedere a tutti la tua mano, liberamente. Devi diventare più felice di quanto la tua mano ti abbia reso finora triste, devi diventare più felice di qualunque altra persona al mondo. Io voglio che tutti i miei studenti siano felici, ma più di qualsiasi cosa, voglio che sia tu a diventare veramente felice, felice come non lo sei mai stata». Gli occhi di Kazuko si riempirono di lacrime che le bagnarono le guance e le caddero sulla gonna.
Intanto fuori si era fatto buio.
Il giorno seguente, Takami disse tra sé: «Ora sì che comincia il lavoro!». Quando arrivò a scuola, Kazuko si recò nella sala insegnanti per incontrarla.
Quando la vide, aprì bocca timidamente, dicendole: «Professoressa, grazie per ieri» e le porse una busta con fare timoroso. Takami la aprì e lesse d’un fiato la lettera che conteneva, dove la ragazza aveva scritto: «So di averla delusa. So di averle disubbidito più volte di quanto non sarei nemmeno in grado di contare. Eppure lei ha continuato a credere in me e si è veramente impensierita e preoccupata per me. Ero letteralmente estasiata quando le ho sentito dire di volermi vedere molto più felice di chiunque altro.
«La prego, anche se sono “un caso disperato” non smetta di occuparsi di me, e continui pure a essere severa. Adesso mi rendo conto che lei è la prima persona, a parte i miei genitori, che si sia mai presa cura di me. Ne sono davvero contenta, come del fatto che lei sia entrata nella mia vita».
Da quel momento Kazuko cominciò a cambiare. Takami cominciò a scorgere il suo sorriso luminoso. Quel muro spesso che si era creato tra lei e i suoi compagni di classe a poco a poco si sgretolò.
Finalmente arrivò il giorno del diploma. Takami augurò a Kazuko tutto il bene possibile e la incoraggiò a diventare una persona profondamente felice.
Il giorno dopo, la ragazza tornò a scuola per consegnare alla sua insegnante una lunga lettera, piena di parole di apprezzamento e determinazione.
Gli scambi tra Takami e Kazuko continuarono anche dopo il diploma. La giovane aveva deciso di diventare infermiera e riuscì a ottenere un posto in un ospedale che le permetteva di lavorare mentre frequentava la scuola. Fu in grado infine di realizzare il suo sogno di fare l’infermiera, ed ebbe una vita felice, senza farsi scoraggiare troppo dalla sua malformazione congenita.
Tutti i bambini hanno una missione. Il fondamento della vera educazione umanistica è la convinzione incrollabile che ogni persona ha una nobile missione nella vita.
Le esperienze di Takami e di altri giovani insegnanti erano state poi raccolte e pubblicate in un secondo volume di Storie di insegnanti animati dalla passione. Shin’ichi Yamamoto quando lo vide, sentì che l’educazione Soka scorreva nelle vene di quei giovani educatori man mano che portavano avanti le loro battaglie con forza e partecipazione. Con questo pensiero pregò con grande sincerità: «Lodo questi giovani educatori e tutti i loro studenti, compresa Kazuko. Possano essere tutti forti, felici e vittoriosi nella vita!».

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata