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Attimi che non sfuggono - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:11

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Attimi che non sfuggono

Carola Giordano ha iniziato la carriera professionale come fotografa nel 1998, contemporaneamente all’incontro con il Buddismo. Dal 2001 si dedica al fotogiornalismo e ai ritratti editoriali, collaborando con tutti i maggiori settimanali e quotidiani italiani

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Carola Giordano ha iniziato la carriera professionale come fotografa nel 1998, contemporaneamente all’incontro con il Buddismo. Dal 2001 si dedica al fotogiornalismo e ai ritratti editoriali, collaborando con tutti i maggiori settimanali e quotidiani italiani

Ti dà gioia fare questo lavoro?
Sì, perché ho potuto trasformare una passione in una professione. La fotografia è innamorarsi di ciò che si ha di fronte, e poter mostrare la bellezza della vita anche quando ci sono situazioni sgradevoli. Per me il salto decisivo è avvenuto solo grazie alla pratica. Quando mi sono concessa di fare un corso di fotografia, ho capito subito che era il modo in cui volevo stare al mondo, volevo fare la fotografa a dispetto di qualsiasi ostacolo. Con fatica ho tirato fuori tutto quello che mi serviva: umiltà, pazienza, decisione, costanza… Un giorno dissi alla mia insegnante che volevo fare questo mestiere e lei mi rispose che non ero abbastanza ricca per potermelo permettere e mi consigliò di tenermelo come hobby. Andando via però la mia convinzione era ancora maggiore ed ero sempre più consapevole che io avrei fatto la fotografa, non avevo dubbi.

Riesci a guardare alle cose con “l’occhio del Budda”?
Cerco di avere sempre un profondo rispetto per la dignità della vita, lo stesso rispetto che voglio trasmettere agli altri con le immagini. Indipendentemente dal soggetto, l’immagine per me è la cristallizzazione di un istante vitale e quindi è importante che mi metta a completa disposizione di ciò che sto fotografando.

C’è un servizio fotografico che ti ha cambiato la vita?
Sì, due in particolare. Uno all’inizio della mia carriera: lo scatto al G8 del 2001 a Genova. La foto di Mario Placanica mentre veniva ricoverato all’ospedale dopo lo scontro costato la vita a Carlo Giuliani. Avevo recitato Daimoku per la protezione di tutti e per potermi trovare al posto giusto al momento giusto. E poi è successo che mi sono trovata davanti all’ospedale e avevo già messo via la macchina fotografica. In tutta la città si era scatenato l’inferno, incontravo civili di ogni età picchiati con violenza dalle forze dell’ordine, poliziotti che inveivano contro tutti indistintamente, anch’io sono stata offesa pesantemente. Come tutti ero arrabbiatissima quando, a un certo punto, vedo questo ragazzo, un carabiniere ferito che piangeva, soffocato dai singhiozzi come un bambino in preda a uno choc. Lì per lì è stata una lotta tra fare e non fare quella foto. Stavo vedendo tante violenze sui cittadini che il mio istinto era di non farla. Ma ho deciso di scattare, perché un giornalista deve raccontare tutto, essere il più possibile oggettivo. Quella foto esclusiva mi ha fatto capire che quello era il mio mestiere e che io ero nella direzione giusta. La seconda grande esperienza è stata nell’estate del 2006 a Lampedusa. Ho fatto il mio primo servizio da freelance, completamente libera dalle agenzie a cui mi ero appoggiata negli anni precedenti. In quella situazione ho messo in atto tutto quello che avevo appreso durante l’attività byakuren: alternavo gli scatti all’assistenza agli sbarcati. Il mio desiderio era quello di mostrare l’umanità di queste persone attraverso l’immagine, e credo di esserci riuscita.

Hai sempre risposto a qualsiasi richiesta di lavoro?
Non mi sono rifiutata di fare cose che non mi piaceva fare, tipo la cronaca nera o il gossip. Ma sapevo che il mio modo per poter fare la fotografa e per creare valore era anche imparare da quello che non mi piaceva per poterlo poi mettere a disposizione della fotografia d’inchiesta che amo di più. Diverse volte ho dovuto dire di no pur sapendo che poteva costarmi tutto, ma ho preferito coltivare il mio sogno rispettando quello che sono. Ho sempre affrontato ogni ostacolo col Daimoku e attaccandomi allo studio del Gosho e degli scritti di sensei. Son sicura che se non fosse stato per la preghiera e per il mio maestro, non ce l’avrei fatta a reggere in certi momenti.

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