Carmen Consoli, cantante siciliana dalla voce inconfondibile. Talento precocissimo, a nove anni suona la chitarra elettrica e a quattordici si esibisce già con una cover band di rock-blues. Nonostante sia una solista, Carmen ha sempre amato il confronto con altri artisti di talento internazionale e ancora oggi continua una sua personale ricerca etnomusicale
In cosa risiedono per un artista il successo e la sconfitta?
Per me il successo non è in scala verticale, ma in scala orizzontale: siamo tutti meritevoli di riuscire. Il successo è legato alla verità e all’onestà del cuore. La sconfitta risiede nell’incapacità di sentire la gioia in ciò che si fa. Mio padre mi ha insegnato a lavorare con gioia, è stato un grande modello in questo: lui non aveva potuto fare ciò che voleva, allora trasformò il suo lavoro di rappresentante appassionandosi il più possibile e rendendolo piacevole attraverso una rete infinita di rapporti umani. Io ho sempre desiderato vivere il mio lavoro in relazione a questo. Ho sempre fatto le cose che amavo proprio perché le amavo. E anche quando agli altri sembravano di poco conto, per me non lo erano affatto.
Secondo Makiguchi, bellezza, guadagno e bene sono le caratteristiche del lavoro ideale. Tu avevi già cercato queste qualità nella tua professione, allora in che modo il Buddismo ha influenzato il tuo lavoro?
Si è potenziato un piccolo elemento. Da quando pratico, il mio lavoro è molto più centrato sulla creazione di valore, cerco di non lasciare nulla al caso. Sono molto più orientata sui miei obiettivi e questo mi dà più spinta: faccio delle cose impossibili e ambiziose come far rivivere la musica popolare siciliana per esempio, perché credo nel valore di questa iniziativa. Per me l’arte è in tutte le forme e con la pratica ho capito che la mia missione è quella di poter arrivare all’arte che non ha i mezzi per uscire fuori da sola, come i canti antichi dei miei conterranei.
Come concili la pratica buddista con i tuoi impegni di lavoro?
È difficile andare alle riunioni e seguire una pratica corretta quando sei in tour, ci sono dei limiti pratici. Io mi sono attivata per trovare un gruppo in ogni città e, anche se non sono una che ama entrare nelle case degli altri, l’accoglienza è stata tale che mi sono sempre sentita in famiglia. Durante una tournée abbiamo creato un gruppo. Siamo partiti in due e alla fine eravamo in venti. L’essere itinerante mi permette di incontrare più persone in posti diversi, sicuramente un vantaggio da sfruttare per far conoscere il Buddismo.
Cosa ha risvegliato in te Nam-myoho-renge-kyo?
Quando ho sentito i miei amici recitare insieme Daimoku mi è venuta la pelle d’oca. Quel suono mi ha rapito fin dal primo istante. Unendomi a loro poi, ho percepito una sensazione impalpabile, di grande comunione, come una sorta di microilluminazione parziale: quella fu la prima prova concreta. Quando recito Gongyo ora, Io canto, mi diverto, tiro fuori tutta la mia voce, lo intono e penso che in quei momenti tutti siamo cantanti. Questa pratica convive con me come la musica, senza forzature. La naturalezza con cui mi è entrata dentro è biologica e mistica allo stesso tempo.
Un breve incoraggiamento per chi ti legge…
È bello sapere che nel Buddismo di Nichiren non ci sono aspettative, ma desideri. E anche quando ci troviamo in difficoltà non dobbiamo mai smettere di desiderare per poter trasformare esattamente lì dove siamo. Io mi reputo una privilegiata, ma ho molti amici che per vivere si sono dovuti adattare. In questi casi è fondamentale trovare del buono in quello che stiamo facendo, anche se costa fatica. La fatica poi è un’altra cosa bella, è quella che ti porta al sapore della felicità.