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Trent'anni dopo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:01

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Trent’anni dopo

Fra di loro si chiamano “ragazzi dell’81”. Sono quelli che, in maggioranza ventenni o poco più, hanno accolto Daisaku Ikeda nella sua sesta visita in Italia. A distanza di trent’anni si sono incontrati al Centro culturale di Firenze. Per ricordare e commemorare, ma soprattutto per rinnovare un impegno

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Fra di loro si chiamano “ragazzi dell’81”. Sono quelli che, in maggioranza ventenni o poco più, hanno accolto Daisaku Ikeda nella sua sesta visita in Italia. A distanza di trent’anni si sono incontrati al Centro culturale di Firenze. Per ricordare e commemorare, ma soprattutto per rinnovare un impegno

«Nell’81, la visita di Ikeda è stata sul punto di essere annullata – racconta Mitsuhiro Kaneda, all’epoca responsabile nazionale -. L’Italia attraversava un periodo turbolento [erano appena venuti alla luce i piani eversivi della loggia P2, n.d.r.] e al presidente della SGI era stato sconsigliato di intraprendere quel viaggio. Giunto all’aeroporto di Pisa, proveniente da Vienna, ha ringraziato i membri italiani affermando che il suo arrivo era stato reso possibile dal moltissimo Daimoku che avevano recitato».
«Ciò che mi ha colpito di più dell’incontro con il presidente Ikeda – ci dice Ersilio Biava – è stata la profondità della sua preghiera rivolta alla felicità di ogni essere umano. Sentivo che sensei stava pregando davvero per la mia felicità. Oggi il mio desiderio è proteggere i giovani e mantenere fede al mio voto di realizzare kosen-rufu».
«Il mio ricordo – gli fa eco Roberto Masuello – va prima di tutto ai pionieri e indimenticabili amici che non sono più con noi: ai fondatori della Soka Gakkai italiana, Amalia Miglionico e Tadayasu Kanzaki, e a Kimiko Kaneda e Carlo Pellecchia. Mantenere il legame instaurato allora con il maestro è quello che ci permetterà anche nel futuro di avanzare sulla strada corretta con umiltà e fierezza».
«Penso più ai vent’anni a venire che ai trenta passati – è Odile Leduc che parla -. Nel raccontarci le nostre esperienze di trent’anni fa, ho sentito in me la gioia che sgorga dal partecipare a kosen-rufu e dall’avere una relazione col mio maestro che non è solo di fede, ma anche umana».
A Mario Saverio Sereni sarebbe piaciuto che ognuno avesse avuto la possibilità di portare con sé un giovane: «Non certamente per vedere “i capolavori dei golden boys di quegli anni”, ma per ereditarne lo spirito che poi sarebbe (o avrebbe voluto essere) quello di sensei che, oggi come allora e come sempre, affida ai giovani le redini di kosen-rufu».
Antonella Foscarini si emoziona riascoltando «le parole di speranza, fiducia e convinzione che sensei ha sempre rivolto ai giovani, nell’81 come adesso, e di come sia stato importante per me ascoltarle quando mi sentivo tanto insicura e incompleta. Anche grazie a questo, come docente, ho potuto credere alle stupende potenzialità creative dei miei allievi. È stato bellissimo vedere premiati i membri più anziani, ho visto i loro volti raggianti e sentito gli applausi pieni di rispetto e tenerezza».

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