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I festival culturali della SGI - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:36

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I festival culturali della SGI

Due storie per raccontare lo spirito che animava le manifestazioni atletiche e musicali della SGI. Nel primo racconto Yumiko riesce a riflettere e trasformare un atteggiamento critico verso il marito, nel secondo, Masao mantiene la promessa di proteggere sempre i membri della Gakkai

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Due storie per raccontare lo spirito che animava le manifestazioni atletiche e musicali della SGI. Nel primo racconto Yumiko riesce a riflettere e trasformare un atteggiamento critico verso il marito, nel secondo, Masao mantiene la promessa di proteggere sempre i membri della Gakkai

Il Nuovo Rinascimento presenta alcuni estratti dal volume 24, che viene pubblicato quotidianamente sulle pagine del Seikyo Shimbun. Il testo integrale è disponibile su www.ilvolocontinuo.it

I festival culturali della Soka Gakkai si tennero sia a livello locale che regionale da metà agosto ai primi di ottobre del 1976 sulle note della Canzone della rivoluzione umana. Erano occasioni per impegnarsi con gioia per trasformare la propria vita.
Il 28 e 29 agosto fu organizzato il Festival culturale del Kansai dai membri di Osaka e delle prefetture di Nara e Wakayama. Yumiko Hashizuka, una responsabile di settore, faceva parte del coro Akebono (Alba) che si sarebbe esibito all’inizio del festival. Il marito di Yumiko lavorava nel ramo degli impermeabilizzanti, ma la sua azienda era in crisi. L’economia stava attraversando un momento difficile e i suoi guadagni si erano ridotti notevolmente. Era un uomo fiero che si dava un gran daffare per i nuovi clienti a cui si dedicava anima e corpo. Gli Hashizuka avevano tre figli. Le finanze erano scarse: iniziava a essere problematico trovare i soldi anche per recarsi alle prove del festival.
Yumiko soffriva di pressione bassa, vertigini e letargia, una malattia caratterizzata da un sonno continuo. Ciononostante, tutte le mattine consegnava il Seikyo Shimbun, sbrigava le faccende di casa, svolgeva l’attività di settore e inoltre partecipava alle prove del coro. Ciò che le creava maggiore sofferenza era vedere che il marito, così abbattuto per la situazione lavorativa, aveva iniziato a bere. In certi momenti, sotto l’effetto dell’alcol, diventava violento: una volta le aveva scagliato contro una ciotola di riso. Lei si sentiva esaurita sia mentalmente che fisicamente. Le era venuta voglia di mollare tutto; le sue giornate trascorrevano piene d’angoscia. A una responsabile del coro confidò che stava pensando di rinunciare a partecipare al festival, anche se con grande dispiacere. La responsabile la incoraggiò con queste parole: «È giunto il momento di trasformare la tua vita. Utilizza le prove del coro come un’occasione per espandere all’infinito il tuo stato vitale. Se tu cambi, il tuo ambiente cambierà. Dai, impegniamoci insieme fino in fondo».
Lo slogan del Festival del Kansai era “Omaggio alla rivoluzione umana”. Yumiko pensò: «Lo slogan del festival è anche il mio. Espanderò il mio stato vitale e farò la mia rivoluzione umana, indipendentemente da tutto». Iniziò a recitare Daimoku seriamente, non appena trovava un momento. Voleva costruire una famiglia allegra e armoniosa, il motivo, tra l’altro, per cui aveva iniziato a praticare il Buddismo. Sua madre era stata colpita da un fulmine ed era morta quando aveva solo un anno. Suo padre era stato ucciso in guerra e lei era stata allevata dalla nonna e da altri parenti più o meno lontani. Per questo motivo, la cosa che desiderava più di ogni altra era avere una famiglia felice. Mentre recitava, Yumiko iniziò a riflettere su se stessa: «Mi sono lasciata intimidire da mio marito quando sotto l’effetto dell’alcol diventa violento. L’ho incolpato perché non abbiamo soldi anche se lui è il primo a essere angosciato dalla situazione che sta vivendo la sua azienda. Io cosa ho fatto per lui? Ho mai guardato le cose dal suo punto di vista? Non gli ho mai sorriso, né tantomeno mostrato la mia gratitudine».
Era dispiaciuta del proprio comportamento. «Invece di farmi influenzare dalla sua depressione e dalla sua rabbia, diventerò un sole che rischiarerà il suo cuore: questa è la guida che ci dato il presidente Yamamoto [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.]. Ora è il momento di recitare Daimoku. Voglio lucidare e migliorare me stessa tanto da risplendere. Allora sarò invincibile!». Prima ancora che se ne rendesse conto aveva trasformato il suo atteggiamento nei confronti del marito: lo incoraggiava spontaneamente e condivideva con lui questo momento di difficoltà. «Andrà tutto bene. Dai, facciamo del nostro meglio!». Il suo sorriso accogliente e caloroso toccò profondamente Hashizuka fino a confortarlo. Lo vedeva diventare sempre più positivo.
Dobbiamo diventare forti, così non verremo sconfitti dalle avversità. La rivoluzione umana inizia quando riflettiamo su noi stessi, trasformiamo la nostra visione delle cose e facciamo il primo passo verso il cambiamento.
Man mano che si avvicinava il giorno del festival, le prove si intensificavano.
Quando Yumiko rincasava, la sera tardi, l’aspettava il bucato. Era stanca, ma aveva il cuore leggero. Cantava mentre sbrigava le faccende di casa. Di lì a poco non ebbe più problemi di bassa pressione. Ci fu una ripresa anche negli affari di suo marito il quale iniziò ad accompagnarla alle prove.
Quando risplende il sole nel proprio cuore, si dissolve l’oscurità.
La mattina dell’esibizione Yumiko recitò Daimoku con sincerità e profonda gratitudine. Quel giorno stava immobile con fierezza sul palcoscenico dell’Auditorium Toda Kansai col resto del coro. Il suo vestito bianco era ornato con una rosa rossa e lei cantò con gioia insieme agli altri.
Shin’ichi Yamamoto lesse il messaggio per la manifestazione: «Auspico di cuore che ognuno di voi utilizzi l’energia creativa dei pionieri esibita oggi al Festival culturale come mezzo per espandere ancora di più il proprio stato vitale». Yumiko sentiva le lacrime di commozione riempirle gli occhi e, mentre annuiva, promise di continuare a impegnarsi per trasformare il suo stato vitale.

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Al Festival culturale di Tokyo i membri della Divisione giovani uomini, vestiti in arancione, cominciarono a formare una torre umana di cinque piani, la figura più difficile. I venti ginnasti che componevano la base circolare si alzarono in perfetta sincronia, poi i dieci ragazzi del secondo livello, i cinque del terzo, i tre del quarto e infine si alzò il quinto livello, formato solo da un giovane uomo. In quel momento la torre iniziò a ondeggiare e crollò. Il pubblico rimase senza fiato: «Peccato, non ce l’hanno fatta!». Masao Ishigami, il responsabile di quel numero che aveva guidato i ragazzi dal centro della torre, era scioccato.
La decisione di incaricare i giovani uomini dello spettacolo ginnico – ideale per esprimere lo spirito della Gakkai – era stata presa solo il 30 agosto. I ragazzi avrebbero provato a formare una torre umana di cinque piani, che normalmente richiedeva circa un mese di preparazione, ma rimanevano solo cinque giorni al festival: sembrava una sfida impossibile.
Tuttavia i ragazzi erano impazienti e avevano deciso che ce l’avrebbero fatta sicuramente. Per i giovani, tanto più una sfida è impegnativa tanto maggiore è la passione del loro spirito combattivo.
Masao Ishigami gridò agli altri atleti: «Spuntiamola noi su questa difficile torre di cinque piani e dimostriamo lo spirito invincibile della Gakkai!». Masao aveva deciso che il numero della torre sarebbe stato ugualmente un successo e che non sarebbe accaduto nessun incidente.
Il primo giorno delle prove cercarono di costruire i primi quattro piani della torre ma i loro movimenti erano incerti. Poi, due atleti caddero dal quarto livello, precipitando all’esterno della torre. Masao si slanciò in avanti scivolando verso il punto d’impatto, sperando di attutire la loro caduta con il suo corpo. Un giovane atterrò sulla schiena di Masao e l’altro sulla sua spalla. Nessuno dei due ragazzi si fece male e neppure Masao. Tutti furono colpiti dal suo gesto altruista. Grazie a questo episodio i giovani divennero consapevoli del fatto che la minima disattenzione avrebbe potuto causare un grave incidente. Da quel momento i loro cuori diventarono una cosa sola.
Masao era farmacista e gestiva una farmacia. Aveva giocato a baseball dalla scuola elementare fino alle superiori, quindi sapeva bene come fare a scivolare con la testa in avanti. La sua disponibilità a rischiare in prima persona per proteggere i membri dipendeva dal voto fatto al presidente Yamamoto anni prima.
Suo padre era coreano e sua madre giapponese. Era nato e cresciuto a Tokyo come coreano di seconda generazione e, fin da ragazzo, era stato discriminato più volte per questo motivo.Quando era alle elementari, era entrato a far parte della squadra di baseball del quartiere. L’allenatore era un membro della Divisione giovani uomini e non lo aveva mai discriminato o disprezzato, anzi, lo proteggeva sempre. Masao lo stimava molto e lo seguiva ovunque e fu così che un giorno si ritrovò a una riunione della Soka Gakkai.
A Masao iniziava a piacere la Soka Gakkai e partecipava volentieri alle riunioni di discussione. Gli adulti lo trattavano come se fosse un figlio e ogni volta i membri lo incoraggiavano, dicendogli: «Sono così contento che sia venuto! Studia a scuola e abbi successo nella vita!».
Fino a quel momento Masao raramente aveva aperto il suo cuore a un giapponese. In genere veniva trattato con freddezza e sdegno perché suo padre era coreano, motivo per cui una volta era stato anche picchiato. Frequentare i membri della Soka Gakkai gli permise invece di percepire per la prima volta il calore e la gentilezza degli altri. Il Buddismo afferma che in tutte le persone esiste la natura di Budda; è una filosofia di uguaglianza e di rispetto per la vita che rifiuta il pregiudizio e la discriminazione di qualunque tipo. La famiglia Soka rappresenta l’unione spirituale del popolo di tutto il mondo.
La madre di Masao, dopo aver ascoltato le parole di lode del figlio per la Soka Gakkai, diventò membro e nell’arco di sei mesi, l’intera famiglia si convertì al Buddismo.
Mentre era al liceo, Masao era stato scelto per giocare in una squadra di baseball composta da coreani di seconda generazione residenti in Giappone. Per la prima volta avrebbe visitato la Corea del Sud, dove si sarebbe trattenuto quaranta giorni. Desiderava vedere, anche se con una certa ansia, la città natale di suo padre. Ma non parlava coreano, inoltre sua madre era giapponese e vivevano tutti in Giappone, pertanto sentiva un abisso incolmabile che lo separava anche dal popolo coreano.
«Non sono né coreano né giapponese. Ma che cosa sono io? Di che nazionalità sono?». Cominciò così a interrogarsi sulla propria identità. All’università studiava farmacia e anche se partecipava alle attività come membro della Divisione studenti, non riusciva a liberarsi dal profondo senso di disagio che lo tormentava. Aveva coltivato a lungo la speranza di incontrare un giorno il presidente Yamamoto e poter ricevere da lui un incoraggiamento.
Nel marzo del 1969, quando Masao era al terzo anno di università, ebbe l’opportunità di visitare la sede centrale della Soka Gakkai dove incontrò il presidente Shin’ichi Yamamoto. «Sensei, c’è qualcosa che vorrei chiederle», disse Masao. Iniziò così a parlargli dei problemi che lo affliggevano, compresa la sua crisi di identità e se doveva considerarsi giapponese o coreano.
Shin’ichi lo ascoltava con attenzione. Quando il giovane ebbe terminato, Shin’ichi lo guardò dritto negli occhi e gli disse: «Sì, posso capire quanto sia stato difficile per te, ma devi vivere come cittadino del mondo. Non è il caso di preoccuparsi se sei giapponese o coreano. Devi essere un cittadino del mondo! Abbraccia una prospettiva più grande. Rimani nella Soka Gakkai per tutta la vita e dedicati al benessere degli altri. Questa è la strada che ti porterà sicuramente alla felicità».
Masao non si aspettava una risposta di questo tipo. Si sentiva come se i confini ristretti del suo stato vitale fossero stati azzerati e pensò: «Sì, io sono parte della rete Soka, dovrei mirare a kosen-rufu nel mondo. Non mi devo preoccupare!» e dentro sentì emergere un grande coraggio.
Sei anni dopo, nel gennaio 1975, venne fondata la SGI. Masao venne a sapere che quando Shin’ichi aveva firmato il libro degli ospiti alla Prima conferenza della pace a Guam, aveva scritto che la sua nazionalità era “il mondo”. Masao allora comprese che il consiglio datogli da sensei di vivere come un cittadino del mondo altro non era che il pensiero stesso di Shin’ichi. In quell’istante, nel profondo del suo cuore, Masao fece una promessa in silenzio al presidente Yamamoto: «Insieme a lei dedicherò la mia vita per la pace nel mondo e la felicità di tutta l’umanità. Proteggerò sempre i nobili membri della Soka Gakkai!».
Questa era la promessa che aveva fatto scattare i riflessi a Masao quando aveva usato il suo corpo per proteggere i ragazzi che stavano cadendo giù dalla torre umana durante le prove del festival.
Anche se si erano allenati, i giovani avevano grosse difficoltà a realizzare la torre umana. Il 3 settembre avevano fatto le prove lungo la riva di un fiume. Purtroppo, quella sera cominciò a piovere. Benché bagnati fradici, continuarono a provare. Le loro magliette erano coperte dal fango delle impronte degli altri ragazzi che stavano in piedi sulle loro spalle. La pioggia era gelida e i loro vestiti si erano inzuppati. «Stiamo attenti!», «Continuiamo a provare!», «Oggi riusciremo a costruirne una!» si incalzavano a vicenda, mentre continuavano a provare e riprovare, ma senza risultato. Alla fine delle prove erano sfiniti e preoccupati perché forse non sarebbero riusciti nella loro impresa.
«Abbiamo bisogno di recitare Daimoku. Di sicuro ce la faremo domani! Non c’è motivo per cui non possiamo farcela», disse uno di loro. Quella sera tutti loro recitarono Daimoku fino a tarda notte. Intanto i responsabili dello spettacolo si chiedevano cosa potevano fare per realizzare la torre umana. Gli stessi movimenti venivano ripetuti più e più volte, ma questo non voleva dire che essi stessero analizzando la situazione. La chiave del successo sta nell’individuare le cause che ci portano a fallire e a trovare quindi un nuovo atteggiamento che condurrà a un risultato positivo.
Il giorno dopo, il 4 settembre, avevano iniziato le prove già dal mattino al campo di calcio dell’Università Soka. La pioggia era cessata. I giovani si sentivano sicuri che quel giorno sarebbero riusciti a coronare la loro impresa. Poco dopo le 11,30 riuscirono a innalzare i primi quattro livelli della torre. Un ragazzo riuscì a mettersi in piedi sopra di loro e aprì le braccia: il quinto e ultimo livello era completato.
«È in piedi! È fatta!», gridavano applaudendo i seicento ginnasti che provavano lì vicino.
Una volta che i membri furono tutti scesi dalla torre, iniziarono a piangere e a saltare di gioia, abbracciandosi e congratulandosi a vicenda. Le impronte profonde dei venti giovani che formavano la base erano ben visibili nel terreno, a testimoniare il grande peso che avevano sopportato sulle loro spalle.
Durante quella prova generale i giovani riuscirono a realizzare la torre per ben sette volte. Pieni di fiducia, aspettavano con impazienza il giorno successivo per debuttare al Festival culturale di Tokyo. Ma, come una volta aveva affermato il primo ministro inglese Winston Churchill (1874-1965): «Non dovete assolutamente perdervi d’animo, ma continuare a essere sempre vigili e pronti». Durante il festival, mentre Shin’ichi Yamamoto stava guardando il palcoscenico, la torre crollò poco prima che venisse completata. In un primo momento i ginnasti rimasero increduli e attoniti. Tutti nella sala gremita trattenevano il respiro e fissavano il palco. Il silenzio si protrasse per alcuni secondi. Poi, dal loro cuore scaturì la passione. Tutti sentivano che non poteva finire così. E iniziarono a spronarsi a vicenda: «Dai, proviamoci ancora!». Il pubblico li incitava: «Potete farcela!».
Al secondo tentativo i giovani, nonostante fossero esausti, riuscirono a realizzare la torre umana di cinque piani.

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