Unire la preghiera all’azione, così Florinda riesce a “sfruttare” una sofferenza vissuta sul posto di lavoro per vincere un senso di impotenza che si trascinava da anni: «Dentro di me si è sciolto qualcosa: ho iniziato a essere fortemente positiva»
Avevo ventidue anni quando, nel 1994, iniziai a praticare. Tre anni dopo, uscita dall’università, ero piena di aspettative e molto fiduciosa di trovare un buon impiego. Nel 2001 cominciai a lavorare con impegno e serietà in un ente di formazione professionale e dopo tre anni di precariato nacque in me il desiderio di avere un contratto a tempo indeterminato, cosa che mi fu negata. Nel 2004 nacque mia figlia e da quel momento ho dovuto lottare ancora più forte, anche per far valere l’anzianità acquisita, perché chi era più giovane di me e con meno impegni familiari era favorito nell’assunzione. Nel corso degli anni il contratto peggiorò a tal punto da non offrirmi quasi nessuna tutela e gli orari diventarono ingestibili. Dopo sette anni troncai il rapporto di lavoro, ma dopo un anno non potei fare a meno di tornarci, anche per mantenere i diritti acquisiti.
Questa frustrazione scaturiva in me molti dubbi, impedendomi di svolgere serenamente la mia attività come responsabile di gruppo. Ho affrontato lotte interiori, stanchezza e anche un problema fisico aggravato dallo stress, ma nonostante queste difficoltà, ho continuato a sfidarmi. Decisi di unire alla preghiera l’azione, rivolgendomi anche al sindacato, scatenando così le ire dei miei superiori, ma ogni giorno che passava sentivo di avere un po’ più di coraggio. Dentro di me cambiava qualcosa: nonostante mi sentissi infelice e insoddisfatta, sentivo la mia vita aprirsi, e questo alla fine è stato il vero beneficio. Questa sofferenza è stata l’occasione migliore per andare seriamente davanti al Gohonzon riuscendo a “sfruttare” questo senso di impotenza che mi trascinavo da anni.
Nel frattempo il gruppo si è arricchito di persone motivate e di un corresponsabile energico e collaborativo. Recitando Daimoku ho sviluppato fiducia nei confronti del sindacalista che seguiva il mio caso: volevo che l’azione sindacale intrapresa portasse dei frutti. Leggendo Il buddista riluttante mi colpì questa frase: «Succede spesso che le persone si assoggettino a situazioni o a una serie di circostanze anche se nel loro intimo sanno che sono inaccettabili se non addirittura fonte di infelicità. Potrebbe trattarsi di un lavoro senza alcuna possibilità di carriera, di una relazione che abbiamo trascurato o di una situazione familiare in cui domina la collera. Per paura, per apatia, per mancanza di coraggio o solo perché non si ha idea di dove iniziare a cambiare senza causare una frattura, sopportiamo queste circostanze e impariamo a convivere con situazioni che controllano gran parte della nostra vita, spesso per anni interi» (W. Wollard, Esperia 2009, pag. 168). Queste parole sono state un punto di svolta, mi hanno fatto decidere di impegnarmi ancora di più con le persone del mio gruppo, trovando il tempo per andare a recitare con loro e dentro di me si è sciolto qualcosa: ho iniziato a essere fortemente positiva.
Finalmente ho visto chiaramente che la situazione lavorativa, la precarietà, quegli orari così ingestibili e l’assenza di garanzie controllavano totalmente la mia vita, era come stare dentro le sabbie mobili e in più, sentendomi lesa nei miei diritti, trasmettevo rabbia e insoddisfazione alle persone intorno a me. Con questo nuovo punto di vista, ho continuato a recitare e le cose sono cambiate velocemente.
A settembre del 2010 il sindacalista mi ha contattato per dirmi che sarei stata assunta part-time a tempo indeterminato e pochi mesi fa ho firmato il contratto. Desidero continuare a sintonizzarmi ogni giorno sulla “frequenza della Buddità”, sfidandomi nella preghiera, con la determinazione di essere un sostegno per la mia famiglia e per tutti gli amici.