Violenza, paura e rabbia hanno accompagnato Daniela dalla sua infanzia, ma la sua storia testimonia che cambiare è possibile. La famiglia, prima esclusivamente teatro di sofferenza, diventa un nucleo saldo che può accogliere anche il padre che non vedeva da trentasei anni
Avevo solo quattro anni, quando mio padre abbandonò mia madre, mio fratello di un anno più piccolo e me. Lui era alcolizzato e da quel momento sparì dalla nostra vita.
Mia madre, in seguito, ha avuto diversi compagni. Da quando avevo sei anni, fino all’età di dodici, ogni mattina, quando lei andava a lavorare, il suo compagno di allora mi svegliava e mi portava nel suo letto. Per tanti anni, in seguito, ho vissuto una sofferenza a cui non riuscivo a dare un nome perché avevo cercato di cancellare l’orrore vissuto. I rapporti con mia madre non erano buoni, e dopo una terapia che mi aiutò a far riaffiorare gli eventi che mi avevano traumatizzato, le cose andarono ancora peggio perché, a quel punto, la incolpavo di ciò che mi era successo.
Nel 1986 ho incontrato il Buddismo e ho conosciuto un giovane con cui mi sono sposata. Abbiamo praticato insieme per tre anni e abbiamo anche smesso insieme, per pigrizia. Un bel giorno, mio marito scoprì di essere sieropositivo. La sera stessa ricominciammo a praticare, ma fu molto faticoso.
Dopo sette anni, mio marito chiese la separazione. Per me fu un duro colpo e decisi di chiedere un consiglio nella fede che mi aiutò a vedere questa situazione in modo completamente diverso: questa volta spettava a me scegliere cosa fare fino in fondo della mia vita. Decisi che avrei usato questo evento doloroso per cambiare in meglio. Iniziai a recitare più Daimoku e, in effetti, ne sono uscita rafforzata.
Poi avvenne l’incontro con un uomo col quale ho avuto un figlio. Niccolò oggi ha dieci anni, la mia relazione con suo padre si è conclusa, ma c’è un ottimo affiatamento fra noi. Niccolò è un bambino sensibile e di grande cuore, spesso recita Daimoku con me. Per aiutarlo a superare le sue insicurezze gli ho suggerito di scrivere all’inizio dei quaderni: «Io ce la posso fare» e piano piano vedo che sta cominciando a crederci davvero!
Un giorno, per caso, ho rincontrato Raoul, il mio grande amore dell’adolescenza che non sapeva neanche che a quell’epoca ne fossi innamorata. Ho scoperto che riprovavo le stesse sensazioni di allora ma lui era sposato da un anno e aspettava una bambina. Mi costrinsi a lasciar perdere. In quel periodo ho cercato di recitare Daimoku più intensamente e a dedicarmi alle attività del centralino del Centro culturale, preoccupandomi anche delle persone intorno a me. Cercavo, insomma, di mettere nuove basi nella mia vita.
Una sera ho incontrato Raoul, che per me era rimasto sempre importante. Si stava separando e soffriva moltissimo per la figlia. Da allora abbiamo cominciato a frequentarci fino a decidere di convivere. Avrei sempre voluto che Niccolò avesse una sorellina o un fratellino, insomma che non crescesse da solo, e con Alma, oggi è così: si adorano. Il mio sogno è sempre stato avere una famiglia affettuosa e unita, quello che non ho mai avuto: quella che sono riuscita a costruire quattro anni fa con Raoul è meravigliosa ed è grazie al suo sostegno se sono riuscita a riavvicinarmi a mia madre con la quale penso oggi di aver costruito un bel legame.
Per chiudere il cerchio, ho deciso di cercare mio padre e di provare a riallacciare i rapporti con lui e dopo trentasei anni ci siamo abbracciati. Ha conosciuto suo nipote col quale si sente regolarmente e anche con il mio aiuto ha abbandonato l’alcol ormai da due anni.
Adesso è il momento di dire grazie alla mia vita: oggi sono una persona veramente felice.