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Trascendere ogni tipo di confine - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:12

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Trascendere ogni tipo di confine

La cultura, lo sport e la scienza contribuiscono a unire i popoli e a superare le differenze. Pensando alla impresa spaziale intrapresa tra americani e russi, Yamamoto rifletté: «Quando si guarda la Terra dallo spazio, i confini nazionali e i sistemi sociali sono invisibili. Tutto ciò che uno vede è un brillante pianeta blu che è la casa di tutta l’umanità»

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La cultura, lo sport e la scienza contribuiscono a unire i popoli e a superare le differenze. Pensando alla impresa spaziale intrapresa tra americani e russi, Yamamoto rifletté: «Quando si guarda la Terra dallo spazio, i confini nazionali e i sistemi sociali sono invisibili. Tutto ciò che uno vede è un brillante pianeta blu che è la casa di tutta l’umanità»

Fino al completamento del ventunesimo volume, pubblichiamo degli estratti dalla Nuova rivoluzione umana. Il testo integrale dei capitoli è disponibile nelle pagine web dei giovani, all’indirizzo www.ilvolocontinuo.it

Quando Shin’ichi [pseudonimo di Daisaku Ikeda, n.d.r.] e sua moglie Mineko uscirono nel foyer del teatro Bolshoi durante l’intervallo, qualcuno, in russo, richiamò la loro attenzione: «Presidente Yamamoto! Benvenuti in Unione Sovietica!».
Si voltarono, e videro che si trattava proprio di Anatoli Sofronov, il drammaturgo sovietico, editore del settimanale Ogonyok (La piccola luce), e di sua moglie Evelina. Shin’ichi e Mineko avevano incontrato i coniugi Sofronov nella sede del quotidiano Seikyo a Tokyo quando la coppia russa aveva visitato il Giappone nel febbraio del 1975. Avevano passato più di due ore a parlare degli argomenti più diversi, dalla letteratura alla vita: una discussione piacevole, che si animò particolarmente quando si spostò sul tema della poesia. Evelina sottolineò: «Sia lei che mio marito amate la poesia. È il cuore degli esseri umani la cosa che sembra interessarvi di più».
«Ha proprio ragione», rispose Shin’ichi. «Io non sono un poeta famoso né conosciuto, ma ho fiducia nella mia capacità di capire le persone. Sono certo di avere una visione chiara del cuore umano». «Sono pienamente d’accordo con lei – disse Sofronov con calore – eccezion fatta per una cosa. Lei ha detto di non essere un poeta famoso né conosciuto, e questo non posso accettarlo. Chi sarebbe un poeta famoso, se non lei? C’è un poeta migliore?». Ora, tre mesi dopo, s’incontravano nuovamente. Shin’ichi espresse la sua gioia per essere di nuovo insieme, e si strinsero la mano con calore. Sebbene avessero solo pochi istanti per parlare durante l’intervallo, lo scambio fu davvero intenso. Shin’ichi osservò: «Per favore, scriva per la felicità della gente. Scriva per l’umanità. Noi siamo compagni di lotta nel “fabbricare” parole per la pace».
«Questo è un bellissimo sentire», disse Sofronov annuendo, e i suoi occhi brillavano. Condividere, anche solo per un momento, parole che lasciano una traccia profonda, è un mezzo potente per unire i cuori delle persone.
Dopo l’intervallo, iniziò la seconda parte delle celebrazioni per il settantesimo compleanno dello scrittore sovietico Mikhail Sholokhov, con balletti, danze cosacche, cori e altre esibizioni piene dell’allegria propria di un momento di festa collettiva. Shin’ichi Yamamoto e sua moglie Mineko applaudirono entusiasticamente ogni esibizione. Mentre rientravano in auto al loro albergo, al termine dell’evento, Shin’ichi disse: «Spero che il signor Sholokhov guarisca in fretta».
Mineko annuì: «Sì, lo spero anch’io. Penso proprio che il signor Sholokhov sia non solo uno dei principali scrittori sovietici, ma un grande autore a livello mondiale. Non ha ammiratori solo nel mondo socialista, ma anche in Giappone. La grande letteratura trascende i confini nazionali e ideologici».
«Sì, è proprio vero», convenne Shin’ichi. «Sholokhov stesso una volta ha detto: “Tutte le creazioni innaturali, tutte le cose false, scompaiono col passare del tempo e non resistono a lungo”. Penso che sia esattamente così. Le opere che servono semplicemente a promuovere una certa ideologia non riescono ad andare oltre il sistema sociale in cui sono nate e a parlare a persone di formazione culturale diversa, perciò alla fine scompaiono. Sholokhov raccomandava anche: “Dovete solo scrivere la verità”. Questo era il suo credo letterario. In entrambe le sue opere Il placido Don e Il destino di un uomo, egli raffigura la verità dell’esistenza umana. Questo è il motivo per cui le sue opere sono così largamente conosciute e amate in tutto il mondo».
«Penso che uno dei motivi per cui la Soka Gakkai è così forte – affermò fiduciosa Mineko – è che combatte per la verità. Ci offre incoraggiamenti che ci aiutano a rivitalizzare la nostra vita e a creare una profonda solidarietà con gli altri. Comunica vera gioia e felicità insieme alla genuina filosofia buddista. Questa è una verità che nessuno può negare».
Il 24 maggio, terzo giorno della loro permanenza a Mosca, Shin’ichi e il suo gruppo visitarono vari impianti sportivi della città. L’allestimento del campo di gara per il canottaggio procedeva a ritmo incessante e anche la costruzione dello stadio Lenin, destinato a essere la sede principale degli eventi su pista durante le Olimpiadi di Mosca, che si sarebbero tenute cinque anni dopo. Lo stadio centrale, che avrebbe ospitato sia la cerimonia di apertura che quella di chiusura, con oltre centomila posti a sedere, era stato progettato in modo così funzionale da permettere a tutti gli spettatori di entrare o uscire dallo stadio in soli quindici minuti. Allo stadio del ghiaccio, Shin’ichi e il suo gruppo scorsero alcuni pattinatori artistici che si allenavano sulla pista, e tra loro Shin’ichi riconobbe la coppia che alle Olimpiadi di Sapporo del 1972 aveva vinto la medaglia d’oro, Irina Rodnina e Aleksandr Zaytsev. Dal 1973 in poi, avevano sempre dominato il campionato del mondo di pattinaggio artistico, e solo un mese prima si erano sposati. Era così bello vederli pattinare che a Shin’ichi venne fatto di applaudire entusiasta. Si avvicinarono, e Shin’ichi disse loro: «Scusatemi se ho disturbato i vostri allenamenti. Mi chiamo Shin’ichi Yamamoto e vengo dal Giappone. Voi siete molto famosi nel nostro paese e mi sento davvero onorato di avervi incontrato!». Si strinsero la mano e Zaytsev disse: «Benvenuto a Mosca».
«Grazie. Amo Mosca. Sto pregando per il successo delle Olimpiadi. Sapete, le vostre meravigliose esibizioni danno un grande contributo all’amicizia fra i popoli. La musica è una lingua internazionale, lo sport è un’attività internazionale, è per questo che le vostre esibizioni possono trascendere confini nazionali e linguistici e ispirare la gente ovunque. Prego per il vostro successo e la vostra felicità». Shin’ichi dava sempre tutto se stesso nel dialogo con gli altri, e usava parole che potessero toccare le persone a un livello profondo. Il 24 maggio, lo stesso giorno in cui Shin’ichi Yamamoto aveva visitato gli impianti sportivi a Mosca, l’Unione Sovietica aveva lanciato la navicella spaziale Soyuz 18, con equipaggio a bordo. La comunicazione del lancio, con la notizia che i due cosmonauti, Pyotr Klimuk e Vitali Sevastyanov, stavano bene e la loro missione procedeva secondo i programmi, giunse in Giappone il giorno dopo. Più avanti, in luglio, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti avrebbero dato corso al progetto Apollo-Soyuz (ASTP), durante il quale le navicelle spaziali dei due paesi si sarebbero agganciate nello spazio, e gli equipaggi sarebbero passati da un apparecchio all’altro conducendo esperimenti insieme. Questo progetto era stato formalmente deciso durante un summit tra le due nazioni, nel 1972. Entrambi i paesi avevano fatto numerose prove e test in preparazione dell’ASTP. Il lancio della Soyuz 18 costituiva uno di questi test: doveva tentare l’aggancio della navicella alla stazione orbitante sovietica Salyut 4.
Rientrato all’hotel dove alloggiava, Shin’ichi si mise a guardare alla televisione le notizie sul successo del lancio, e pensò all’imminente ASTP. Negli ultimi anni c’era stato un netto disgelo tra le due superpotenze, ma le relazioni rimanevano ancora tese, come dimostrava il rifiuto sovietico a un accordo commerciale con gli Stati Uniti nel gennaio del 1975. Vista questa difficile situazione, Shin’ichi sperava con tutto il cuore che, invece, l’aggancio nello spazio tra Unione Sovietica e Stati Uniti andasse liscio e si risolvesse in un successo. Un risultato positivo sarebbe stato un simbolo delle migliorate relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, e la cooperazione fra le due nazioni nello spazio avrebbe potuto portare a nuovi sviluppi nella cooperazione tra USA e URSS, così come pure tra i blocchi che questi rappresentano.
Shin’ichi pensò: «Quando si guarda la Terra dallo spazio, i confini nazionali e i sistemi sociali diventano invisibili. Tutto ciò che si vede è uno scintillante pianeta blu, che è la casa di tutta l’umanità. Quando gli astronauti americani e sovietici vedranno questa bellissima, preziosa Terra, sicuramente vorranno lavorare insieme per proteggerla».
Certo, è vero che odio e guerra hanno la capacità di diffondersi, ma anche la cooperazione e la pace ce l’hanno. I sentimenti positivi che emergono dalla collaborazione possono essere comunicati cuore a cuore dagli esseri umani, al di là delle differenze ideologiche. Shin’ichi sperava che tali sentimenti sarebbero cresciuti sempre più, fino a generare un’onda invisibile e crescente di pace.
Il 25 maggio, il cielo di Mosca era bellissimo e sereno, e già illuminato da una luce estiva. Shin’ichi e il suo gruppo andarono verso Gorki Leninskie, una cittadina a circa trenta chilometri a sudest di Mosca. Qui vi morì il leader della rivoluzione russa Vladimir Lenin (1870-1924). La villa, dove Lenin trascorse i suoi ultimi giorni, era adesso il Museo Lenin.
Negli anni successivi alla sua morte, Lenin venne criticato per molti aspetti, ma non si può negare che si era impegnato a costruire un nuovo tipo di società che avrebbe liberato e protetto i più oppressi. Come ebbe a dire Lenin una volta: «I lavoratori e i contadini sono la maggioranza della popolazione. Il potere deve appartenere a loro, non ai proprietari terrieri o ai capitalisti. Il potere e le funzioni dell’amministrazione devono appartenere ai loro soviet [organismi espressi dai lavoratori e dagli operai, n.d.r.], non alla burocrazia».
L’Unione Sovietica venne fondata nello spirito di creare una società che avrebbe difeso gli interessi dei lavoratori e dei contadini – che erano stati oppressi come membri delle classi sociali più basse – e questo era senza dubbio il messaggio che il Museo Lenin doveva trasmettere.
L’Unione Sovietica collassò nel 1991. Se lo spirito che aveva guidato la sua costituzione fosse rimasto vivo tra i burocrati, funzionari e membri del partito, l’Unione Sovietica avrebbe mantenuto il sostegno delle masse e seguito un cammino diverso.
Qualunque organizzazione o sistema sociale comincerà a degenerare, a corrompersi e alla fine ad autodistruggersi quando i suoi leader perdono di vista lo scopo originale, diventano egocentrici e pigri, e ricercano un guadagno facile e personale. Senza una rivoluzione umana che vinca sulle forze negative dentro al cuore, un paese o un’organizzazione – non importa quanto forte e fiorente possa essere per un certo periodo – raggiungerà certamente un punto morto. Come scrive Nichiren Daishonin: «Solo i vermi nati dal corpo del leone stesso possono cibarsene» (Lettera da Sado, RSND, 1, 267). Le cause della distruzione risiedono all’interno della stessa organizzazione, che può essere distrutta dal “nemico interiore” inerente alla condizione umana.

Un bel ricordo

Il 25 maggio era una domenica, e molte famiglie con figli erano a passeggio per la cittadina di Gorki Leninskie. Vedendo alcuni bambini, Shin’ichi li chiamò in russo: «Giovani amici!». Chiese loro quanti anni avevano, che classe frequentavano, e li invitò a visitare il Giappone una volta diventati grandi. Tirò fuori alcuni piccoli distintivi che si era portato dietro e li attaccò alle camicie dei bambini, cosa che li deliziò.
Leon Strijak, professore ordinario all’Università di Stato di Mosca, osservò: «A lei piacciono molto i bambini, non è vero, presidente Yamamoto?». «Sì, molto – rispose Shin’ichi -, e desidero che in loro rimanga impresso il ricordo di aver dialogato positivamente con un giapponese, in modo che il seme dell’amicizia si pianti nei loro giovani cuori. Io stesso ho un ricordo…» e iniziò a raccontare questa storia.
Una notte d’estate, a Tokyo, quando Shin’ichi aveva nove anni, andò a una fiera che si teneva la sera davanti alla stazione di Kamata e si mise a girellare per le bancarelle guardando le varie mercanzie che offrivano. La guerra sino-giapponese (1937-1945) era iniziata e nel paese c’era un’atmosfera generale di tensione. Alla fine della fila di bancarelle, Shin’ichi vide un occidentale alto, che vendeva rasoi fabbricati in occidente. La gente era sorpresa nel vedere quello straniero dietro il suo piccolo banco, e lo guardavano con sospetto, senza acquistare nulla. Tenendo in mano un paio di rasoi, lui sorrideva ai passanti dicendo in un giapponese stentato: «Watashi Nippon daisuki desu» (“Io amo il Giappone”). Tre uomini, con i volti resi paonazzi dall’alcol, si fermarono davanti al banco dello straniero e iniziarono a provocare il venditore di rasoi, che era evidentemente a disagio per la situazione e scuoteva la testa come per dire di no. Uno degli ubriachi sparse con violenza i rasoi, gettandoli dappertutto. Poi i tre corsero via. Lo straniero raccolse silenziosamente i suoi rasoi e li rimise sul banco. Quindi sorrise di nuovo alle persone che passavano, continuando a ripetere «Watashi Nippon daisuki desu». Le luci della fiera illuminavano il suo volto, e i suoi occhi brillavano come cristallo ma Shin’ichi intuì nel fondo di essi una profonda tristezza velata di malinconia.
Al termine del racconto di questo episodio della sua infanzia, Shin’ichi disse a Strijak: «Non fui in grado di parlare con quello straniero che vendeva rasoi, ma come essere umano sentii la sua solitudine e la sua tristezza. Posso ancora udire la sua voce che dice: «Watashi Nippon daisuki desu». Questo è un ricordo doloroso, per me, ma fu il mio primo incontro vero e proprio con un occidentale.
«Quando incontri una persona faccia a faccia è un momento cruciale. Se in un cuore giovane viene piantato il seme di un buon ricordo, alla fine germoglierà e sboccerà come fiore dell’amicizia, portando il frutto della pace. Non ci possiamo aspettare fiori o frutti se non piantiamo i semi. Sono determinato a impegnarmi con tutto il cuore per seminarne ogni volta che ne ho l’opportunità». Strijak si dichiarò entusiasticamente d’accordo.
Quindi Shin’ichi e sua moglie Mineko salirono sull’auto che li avrebbe condotti alla loro successiva destinazione, la Fattoria di Stato Lenin. L’interno era decorato con dei lillà bianchi, e Mineko ne ammirò la bellezza. I fiori erano stati portati da una studentessa dell’Università di Stato di Mosca che accompagnavano Shin’ichi e gli altri. La studentessa disse: «A maggio Mosca di solito è piena di lillà, ma quest’anno è stato incredibilmente caldo e la loro stagione è finita in anticipo. Qui però sono ancora in fiore, e ve li ho portati perché desideravo che poteste vederne anche solo un ramo».
Shin’ichi fu deliziato da questo gesto gentile. Mineko si inchinò profondamente e disse: «Grazie per la sua attenzione. Ora i semi di un buon ricordo sono stati solidamente piantati anche in me!». Tutti sorrisero alla sua osservazione.
Dopo la visita alla fattoria, si recarono al Museo Statale del Fondo Arkhangelskoye, con la Moscova che gli scorreva accanto come un nastro dorato.

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