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La gioia al di là di tutto - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:03

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La gioia al di là di tutto

Isabella Cognetti, Mandela (RM)

«Se l’acqua della tua fede è limpida, sicuramente la luna dei benefici vi si rifletterà e ti proteggerà». Recitai Daimoku finché non sentii il cuore libero dalla paura e la certezza che non c’era alcun pericolo né per la bimba né per me

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«Se l’acqua della tua fede è limpida, sicuramente la luna dei benefici vi si rifletterà e ti proteggerà». Recitai Daimoku finché non sentii il cuore libero dalla paura e la certezza che non c’era alcun pericolo né per la bimba né per me

In quei tre Nam-myoho-renge-kyo recitati nel febbraio del 2000, all’età di trentacinque anni, ho sentito una grande forza e serenità e da lì sono ripartita riscoprendo sentimenti profondi e legami antichi con un uomo che frequentavo da tempo senza capire il valore di quella relazione.
A luglio 2001 ho ricevuto il Gohonzon e il 13 ottobre dello stesso anno Giancarlo e io ci siamo sposati. Un anno pieno di attività: giardinaggio, la responsabilità di gruppo, un corso al Centro culturale europeo di Trets; tutto per scoprirmi più forte e coraggiosa e in grado di vedere tutti gli aspetti della vita per quello che sono: hoben, cioè espedienti.
Apro il cassetto dei sogni, il più grande per noi era quello di avere un figlio. Determinante un secondo corso per sciogliere incomprensioni con la famiglia d’origine: ho percepito per la prima volta un senso di gratitudine per loro che mi faceva sentire in perfetta armonia.
Nel 2006 la prima gravidanza, tanto attesa, ma poco dopo il dolore della perdita. Un momento difficile, la prima reazione è stata quella di chiudermi senza voler parlare con nessuno.
Grazie all’attività per gli altri ho trovato la spinta per risalire. Un turno al centralino al Centro culturale romano fu importante: non volevo andare, ma mi dispiaceva lasciare in difficoltà una persona nuova nella squadra. Piansi durante il tragitto, all’arrivo mi asciugai le lacrime ed entrai. La compagna di turno era addolorata e pianse tra le mie braccia, il motivo era diverso ma l’intensità del dolore era simile. Mentre le parlavo per consolarla sentivo che consolavo me stessa; ho scoperto la concretezza della frase di Gosho che dice: «Se accendi una lanterna per un’altra persona la sua luce illuminerà anche il tuo cammino» (Sulle tre virtù del cibo, WND, 2, 1060). È stato il turno più bello.
Poi la conferenza dello staff sanità al Centro culturale di Firenze, dove l’esperienza di una madre mi lasciò senza parole. Citò il Gosho del sakè raffinato e da subito l’ho sentito “mio” con la frase: «Può accadere di mirare alla terra e mancarla, può accadere che il sole e la luna precipitino al suolo, che ci sia un tempo in cui le maree cessino di fluire e rifluire o persino che i fiori non si trasformino in frutti con l’estate, ma non potrà mai accadere che una donna che recita Nam-myoho-renge-kyo non si riunisca al suo adorato figlio. Dedicati, dedicati con costanza alla fede, perché accada presto!» (RSND, 1, 968). Grazie al Gosho ho ritrovato la speranza. «Dedicati alla fede», questa frase ha guidato il mio Daimoku, lo studio e l’attività per gli altri.
Un anno dopo aspettavo di nuovo un bambino, tre mesi di benessere totale, nessun disturbo. Tanta felicità, ma all’undicesima settimana un dolore altrettanto grande, un malessere improvviso, il ricovero e la brutta notizia che quella vita si era spenta.
Tanto Daimoku per sciogliere quella sofferenza, più recitavo più sentivo che oltre il pianto c’era ancora tanto coraggio, forza, speranza e fede. Mi sentivo fortunata per aver incontrato il Gohonzon, perché avevo tanti amici che mi sostenevano e perché, nonostante tutto, non avevo avuto la setticemia. Con questa serenità ho lasciato andare mio figlio e il dolore si è trasformato in forza.
Eccoci al 2008, il 14 gennaio scopro di aspettare un bambino e il 2 febbraio ero già in ospedale.
Ricordo le parole del medico: «Signora nelle sue condizioni e alla sua età non speri in futuro di avere un figlio». Non riuscivo né a parlare né a piangere, pensavo soltanto: «Ma perché la vita è così difficile e sempre tutto in salita?». Chiesi al medico quali accertamenti potevo fare per cercare di individuare la causa e magari anche la cura per poter avere un figlio. Porgendomi un lungo elenco di analisi, mi rispose: «Se vuole può fare questi accertamenti, ma soltanto una donna su dieci riesce a individuare la causa dell’infertilità».
Questo episodio mi sconvolse, provai una rabbia tale da togliermi il fiato.
Uscita dall’ospedale le mie condizioni fisiche ed emotive non erano ottimali e mi ripetevo che in quello stato era meglio lasciare l’attività di responsabile di gruppo.
Davanti al Gohonzon con questi pensieri e tanta pesantezza cercavo di capire cosa fosse giusto fare.
Un provvidenziale messaggio in segreteria di una compagna nella fede mi diceva: «Isa, siamo tutti con te». Come potevo tradire il mio maestro e i miei compagni di fede? Decisi di continuare e il primo beneficio è stato che proprio quella rabbia è diventata il carburante della mia determinazione a non cedere. Chiesi anche un consiglio di fede, un momento indimenticabile. Assorbii quelle parole con avidità e promisi davanti al Gohonzon che avrei seguito quel consiglio e che avrei vinto per kosen-rufu. Iniziava così il mio nuovo viaggio: ho accolto la mia vita, accettato la responsabilità della mia sofferenza e provato la gioia che deriva dalla Legge. La promessa fatta al Gohonzon mi ha dato la forza di affrontare tutto il percorso clinico e in poco tempo la causa dell’infertilità è stata individuata e anche la cura: il 6 febbraio 2009 aspettavo un bimbo.
Durante la gravidanza le difficoltà non sono mancate. Pregavo ogni giorno per gli amici, per i compagni di fede e per i miei familiari con profondo senso di gratitudine, per tutto l’aiuto e l’affetto che mi stavano dando.
Tra le varie difficoltà arriva giugno, il medico mi informa che sono a rischio di ipertensione e cosa questa patologia può causare a me e alla bimba; un momento difficile ma ora capivo la domanda fattami: «Cosa sei disposta a dare per una vita? La vita stessa» era la risposta e tutto l’egoismo e le paure legate al “piccolo io” svanirono. L’ipertensione non si è mai manifestata.
Non era finita: ecco il diabete, il primo ricovero e l’insulina alla trentaseiesima settimana di gravidanza. In ospedale ho potuto recitare molto, studiare il Gosho e condividere tanto con le donne straordinarie che ho conosciuto. Il 5 ottobre il secondo ricovero e anche l’ultimo perché l’8 alle 4.30 del mattino inizia il travaglio e poco dopo la situazione si complica: la bimba mostra segni di sofferenza e i medici mi propongono il cesareo.
La paura e il dolore del passato riaffiorano e per incoraggiarmi ripensavo ai consigli di fede ricevuti e al Gosho Parto facile di un figlio fortunato in cui Nichiren dice: «Se l’acqua della tua fede è limpida, sicuramente la luna dei benefici vi si rifletterà e ti proteggerà» (RSND, 1, 162). Recitai Daimoku finché non sentii il cuore libero dalla paura e la certezza che non c’era alcun pericolo né per la bimba né per me.
Nam-myoho-renge-kyo è stata l’ultima frase che ho pronunciato prima di addormentarmi.
Non so quanto tempo sia passato, ma ho aperto gli occhi perché sentivo il pianto di un neonato: non un pianto di dolore, ma un richiamo: era Eleonora.
E il papà di Eleonora? Giancarlo è un uomo straordinario, pratica il Buddismo dal 2000 e con tanto coraggio, forza e fede ha affrontato le difficoltà di quel periodo e oggi noi tre ci definiamo una squadra che continua a gioire e a emozionarsi.
Ogni giorno ringrazio il Gohonzon per tutto quello che ho e che avrò, per i sorrisi di mia figlia, l’amore di mio marito, l’affetto dei miei familiari tutti, le care e grandi amicizie che ho scoperto in questi anni, per l’occasione che la vita mi ha dato di trasformare il mio karma e diventare felice.
Il mio desiderio? Aiutare gli altri usando la mia vita.

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