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Conflitti inevitabili - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:03

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Conflitti inevitabili

Sebastian Porcu, Cagliari

«Senza grandi difficoltà non esisterebbe il devoto del Sutra del Loto». Leggendo queste parole sentii che non dovevo aver paura della sofferenza, ma proprio come un grande mare, accoglierla e contenerla. Percepii la mia vita come quella del Budda, che è infinitamente più grande di tutta la sofferenza che può arrivare

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«Senza grandi difficoltà non esisterebbe il devoto del Sutra del Loto». Leggendo queste parole sentii che non dovevo aver paura della sofferenza, ma proprio come un grande mare, accoglierla e contenerla. Percepii la mia vita come quella del Budda, che è infinitamente più grande di tutta la sofferenza che può arrivare

Tutto iniziò il giorno in cui mio fratello, che da anni soffriva d’epilessia, si avventò, in preda a delle allucinazioni, violentemente su mio padre: dopo questo episodio i miei genitori dovettero portarlo al Centro d’igiene mentale. Io avrei voluto mettere la testa sotto il cuscino e non alzarmi più dal letto finché tutto non fosse finito. Presto capii, però, che per superare questa grave situazione, avrei dovuto compiere un grande approfondimento in termini di fede.
I primi giorni passarono in modo molto sofferto. Svegliarsi era come un pugno nello stomaco. L’unica cosa che potevo fare era andare di fronte al Gohonzon: all’inizio era quasi nauseante, ma continuando a stare dritto e a recitare Daimoku sentivo emergere il coraggio.
Mio fratello, intanto, non migliorava: rifiutava di assumere le medicine e frequentemente aveva comportamenti violenti nei confronti di medici e infermieri, tanto che decisero di legarlo al letto.
La visione di quella scena fu devastante: un misto di rabbia e di impotenza. Aumentai il Daimoku e approfondii il Gosho Una nave per attraversare il mare della sofferenza che afferma: «Le correnti delle difficoltà si riversano nel grande mare del Sutra del Loto e si scagliano contro il suo devoto. Il fiume non viene respinto dal grande mare, né il devoto biasima le avversità. Se non fosse per lo scorrere dei fiumi, il grande mare non esisterebbe. Senza grandi difficoltà non esisterebbe il devoto del Sutra del Loto» (RSND, 1, 29). Leggendo queste parole sentii che non dovevo aver paura della sofferenza, ma proprio come un grande mare accoglierla e contenerla. Percepii la mia vita come quella del Budda, che è infinitamente più grande di tutta la sofferenza che può arrivare.
I miei genitori sembravano persi e non sapevano che fare. Decisi che avrei risolto quella difficoltà e dissi loro che questo era un problema che avrebbe richiesto un grande sforzo e che la parola “malattia” era solo un termine che gli esseri umani utilizzavano per descrivere un fenomeno. Li spronai a pensare che la vita è molto più complessa di quello che la mente può esprimere a parole e che essa contiene in sé una congenita capacità di rinnovamento, tale da poter trasformare qualsiasi cosa. Mio padre, che fino ad allora si era limitato ad annuire a testa bassa, si girò fissandomi negli occhi: capii allora che le mie parole avevano fatto breccia nel suo cuore e in quello di mia madre e li vidi tornare a casa col viso più sereno.
Nei giorni seguenti la paura si faceva sempre più intensa. Iniziai a recitare tanto Daimoku e approfondii il concetto secondo il quale “il Buddismo è vincere o perdere”. Avevo sempre interpretato questa frase come “il Buddismo è realizzare o non realizzare” e, infatti, la mia preghiera era disperatamente indirizzata al desiderio che mio fratello guarisse. Leggendo un incoraggiamento di Satoru Izumi (1912-2005), responsabile del Dipartimento della SGI per i consigli sulla fede, capii l’erroneità di questa impostazione. Spesso noi abbiamo una sorta di pretesa che le cose cambino come per magia. Izumi, invece, invita a diventare prima di tutto consapevoli che tutto ciò che viviamo è conseguenza di offese commesse in passato che si ripresentano come effetti negativi nel presente. Di conseguenza egli esortava a ringraziare il Gohonzon, perché solo attraverso queste grosse sofferenze possiamo mostrare il potere del Budda.
Le condizioni di mio fratello, intanto, rimanevano uguali e lui continuava a rifiutare i farmaci, tanto che un giorno mia madre mi chiese se volessi entrare nella sua stanza per convincerlo a prenderle. In quel momento provai molta paura, ma ricordai un incoraggiamento di Hideaki Takahashi, responsabile europeo: «Se guardi la vita di sensei puoi vedere la lotta». Lo ripeté due volte con determinazione assoluta e capii in quell’istante che la frase “il Buddismo è vincere o perdere” si riferisce alla lotta continua che accade all’interno del nostro cuore in ogni momento, tra oscurità e Illuminazione, tra paura e coraggio, tra la nostra parte misera e quella degna. Decisi di non essere sconfitto.
Entrai, vidi mio fratello in stato di semicoscienza legato al letto. Non sapevo cosa fare, tutto mi sembrava surreale, iniziai a recitare Daimoku e, in preda a un turbinio di emozioni, gli lessi un passo del Sutra del Loto, che dice: «Se una persona che soffre per una malattia può ascoltare questo sutra, la sua malattia svanirà ed egli non conoscerà né vecchiaia né morte» (SDL, 386). Poi gli dissi che non l’avrei lasciato solo nella sua lotta e che nei momenti in cui avrebbe creduto di non farcela, avrebbe potuto pronunciare Nam-myoho-renge-kyo lottando con tutto se stesso. Infine gli chiesi se aveva capito e lui mi rispose di sì, che aveva capito che io gli volevo bene. In quell’istante sentii che io e lui avevamo parlato con la vita e non con le parole, aveva sentito il mio sostegno e i miei sentimenti per lui. È stato un avvenimento molto profondo.
I giorni seguenti invitai mia madre (nella foto tra i fratelli) a recitare Daimoku vicino a mio fratello e lui iniziò a ripeterlo con noi, da prima sdraiato sul letto, poi seduto, finché ci ritrovammo in tre a far Daimoku guardandoci in faccia.
Da lì a pochissimo tempo mio fratello migliorò gradualmente, finché fu dimesso!
A distanza di pochi mesi mio fratello sta bene, ogni giorno compie passi significativi verso l’autosufficienza, ha ridotto il dosaggio dei farmaci e il medico che lo segue dice che ci sono ottimi margini di miglioramento. Lui e mia madre continuano a fare Daimoku, e ogni volta che ci vediamo dedichiamo almeno mezz’ora alla recitazione tutti assieme.
Il Gosho afferma: «Un grande disastro si trasforma sempre in una grande fortuna» (RSND, 1, 731). Mio fratello soffriva da quindici anni di questi disturbi e noi eravamo talmente abituati che ci sembravano normali. Paradossalmente la manifestazione di questa grave crisi è stata la chiave che ci ha permesso di risvegliarci da questa sorta di impotenza in cui eravamo caduti e agire per una trasformazione radicale della situazione. Dunque, ciò che sembrava un disastro si è trasformato nella nostra più grande fortuna!
Sento di aver vinto in modo totale, perché neanche una volta mi sono lamentato della struttura ospedaliera o del destino avverso. Ho vinto perché non sono stato schiacciato dalle circostanze, anzi grazie a queste, ho incoraggiato mia madre a praticare, sviluppando una speranza e una forza senza precedenti nella mia vita.
E poi ho ammorbidito il mio cuore. Prima pensavo: «Poverino, mio fratello, è in questo stato e io lo devo aiutare, “sacrificando” una parte della mia vita per lui». Ora ho compreso profondamente che ciò che lui sta affrontando in questa vita è esattamente quello che va bene per lui per tirare fuori il suo massimo potenziale, e io lo posso accompagnare in questa lotta, ma non farla al suo posto.
In secondo luogo ho capito il senso della vita di chi si trova nella stessa condizione di mio fratello. Molto spesso giudichiamo queste persone e ci chiediamo: «Che tipo di contributo possono dare alla società? In che modo potranno mai esprimere se stessi?». Questa, però, è un’illusione, in quanto anche dentro di loro si svolge quella eterna lotta che è congenita a ogni forma di vita: la lotta tra vincere o perdere.

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