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Un intreccio di storie - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:31

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    Un intreccio di storie

    Come un sasso gettato in un lago crea cerchi concentrici che si allargano sempre più, decidere di cambiare il corso della propria esistenza influenza anche l’ambiente circostante. E apre la speranza alle possibilità infinite di cui è capace la nostra vita

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    Come un sasso gettato in un lago crea cerchi concentrici che si allargano sempre più, decidere di cambiare il corso della propria esistenza influenza anche l’ambiente circostante. E apre la speranza alle possibilità infinite di cui è capace la nostra vita

    Tu sei molto di più di ciò che hai realizzato sinora nella tua vita. Sei molto di più del problema che assilla la tua mente in questi ultimi giorni, mesi, anni, ore o minuti. Sei molto di più dell’immagine che hai costruito, di come ti vedi e di come gli altri ti possono vedere. Un concetto fondamentale per chi pratica il Buddismo si riassume in quattro brevi parole: da ora in poi. Significa che puoi trasformare la tua vita da questo preciso istante, indipendentemente dal tuo passato e dalle circostanze che finora hanno gravato sulla tua esistenza. Significa che ciò che hai realizzato fino a oggi non rappresenta tutto ciò che sei capace di realizzare, ma solo una minima parte.
    La libertà profonda di cui parla il Buddismo è proprio la possibilità di attingere a una parte di noi non contaminata dal passato, dalle esperienze, dalle illusioni della mente che ci portano a rinnegare che possiamo essere e diventare “altro”. È questa l’oscurità della nostra vita a un livello profondo: è il non riconoscere l’infinita potenzialità della nostra vita. È quella battaglia che si svolge all’interno di noi tra una parte che ci incoraggia ad andare avanti e l’altra che ci ripete incessantemente che non cambierà mai niente perché in fondo in fondo… non lo meritiamo. E sono tante le cause che possono portarci a credere di non meritare qualcosa ed elencarle qui sarebbe occupare troppo spazio.
    Ognuno ha la sua storia, il suo passato, le sue sofferenze. Ma l’elemento cruciale è proprio la possibilità di cambiare la nostra storia a partire da questo preciso istante in cui stiamo leggendo. Quando siamo i primi a non credere in noi stessi l’ambiente circostante non crederà in noi. «In qualunque battaglia, se venite sconfitti, in realtà voi stessi vi siete sconfitti prima che lo faccia il vostro avversario. Non dovete permettervi di soccombere alla pressione o alle circostanze avverse. Quello è il momento di rinnovare il vostro impegno di vincere, il momento di ritrovare l’ardente desiderio di vincere» (NRU, 15, 124). Dunque, scrive Daisaku Ikeda, lo sforzo più arduo è quello che si compie prima dentro di noi, trovando l’ardente desiderio di vincere. «Prima vincete con la mente, poi vincete con le vostre capacità» (ibidem, 125). Spesso le capacità ci sono: il problema è che non le vediamo. Dobbiamo credere che siano possibili. Dunque dobbiamo vincere prima dentro di noi, aprendo la speranza alle potenzialità infinite di cui è capace la nostra vita.
    Stefania è una cara amica, oltre a essere una compagna di fede meravigliosa. Ha incontrato suo marito quando aveva quindici anni ed è stato il classico colpo di fulmine. Aveva progettato con lui tutta la sua vita; aveva immaginato di poter invecchiare con lui già da quando era giovanissima. Mario era bellissimo e poi era così sicuro di sé! Sembrava in grado di gestire i rapporti con il mondo; in confronto a lui Stefania si sentiva piccola piccola. Probabilmente viveva per lui. Il tempo passava e Stefania diventava sempre più dipendente da Mario e dai figli. La vita era così semplice in fondo: lei non doveva pensare a niente.
    In venticinque anni che erano sposati non era mai entrata in un bar a prendere un caffè da sola, non sapeva cosa fosse un mutuo, un conto in banca, un credito o un debito. Non che non ci fossero nella sua casa, ma era Mario che se ne occupava. All’improvviso nel 2007 la catastrofe: a Mario viene diagnosticato un tumore al polmone con metastasi cerebrali. Ho avuto la sfortuna di essere io, in quanto neurologa, a comunicarle la diagnosi e un giudizio prognostico brusco: sopravvivenza a cinque anni del 5%, che in realtà era come dirle che doveva iniziare a pensare che avrebbe perso l’unica persona della vita per cui stava vivendo.
    Il tempo passa, un anno di cure e di assistenza. Stefania era diventata un’infermiera. Aveva deciso di farlo morire nella loro casa, che nel frattempo era diventata un ospedale. Ma Stefania non ha mai perso la fede. Piangendo, disperandosi, tutti i giorni apriva il butsudan e recitava Daimoku. Mario non voleva morire, stava lottando con tutte le sue forze per continuare a vivere. Finché una notte Mario muore e Stefania ancora una volta, non sapendo cosa fare per aiutarlo, recita Daimoku perché non potrebbe fare altro. Quando la vedo il giorno dopo era come se intuissi il senso di questa morte; ma era difficile per me comunicarglielo. Stefania era sempre stata dipendente, troppo dipendente. Stefania non era esistita come persona. Questa morte poteva avere due conseguenze: Stefania poteva seguire il marito morendo con lui o poteva iniziare a… esistere. Le dissi che questa era la sua grande opportunità ma non le specificai niente altro. Mi guardò smarrita e continuò a recitare Damoku per tante ore. Mi colpiva la sua profonda fede. Davanti al Gohonzon era sola, stavolta completamente sola, con l’atteggiamento di chi non capisce, non sa, davanti alla tragedia più profonda della sua vita.
    Il tempo passa. La casa è messa all’asta, un figlio va a vivere da solo. Lentamente, gradualmente Stefania prende in mano la sua vita, finalmente la sola responsabile di se stessa. Inizia a lavorare. La prima volta che entra in un bar per prendere un caffè mi telefona con l’entusiasmo di una bambina dicendomi: «Non ci crederai mai: sono in un bar a bere un caffè!». Quando riesce a vendere la sua casa acquista fiducia anche nelle proprie capacità di risolvere gravi problemi finanziari. Lei che non era in grado di andare oltre il giro del palazzo, gira per Roma come corriere perdendosi tra le strade e litigando con il navigatore. Infine il senso della sua storia: inizia a lavorare come operatrice domiciliare di una paziente affetta da SLA. Si trova davanti a una riproduzione della sua storia, stavolta come spettatrice. Quando il marito della paziente piangendo afferma di non avere la forza di andare avanti, che si sente solo, che è sempre stato dipendente dalla moglie, Stefania capisce perché è lì in quel momento. Si identifica con il marito e inizia a raccontargli la sua storia, trasmettendogli la convinzione che dentro ognuno c’è un potenziale infinito a cui attingere, ci sono risorse inimmaginabili. Tornata a casa apre il suo butsudan e davanti al Gohonzon ringrazia la sua vita, per la possibilità che ha avuto di trasformare la sua esistenza, per aver compreso la sua grande missione, che è quella di incoraggiare chi pensa di non farcela da solo.

    Infinite possibilità

    Quando ammiriamo la gioventù, in realtà non facciamo altro che riportarci a un momento in cui, per definizione, la persona sta scegliendo chi vorrà diventare, l’adulto che vorrà essere. Ciò che suscita in noi gioia, ammirazione e a volte anche invidia, è proprio questa possibilità di scegliere tra le infinite possibilità della vita. Ma si tratta di un momento riproducibile in qualunque età cronologica. E si ripete ogni volta che, ponendoci davanti al Gohonzon, decidiamo di andare avanti, senza guardare più indietro, e trasformare la nostra vita come una tela di mille colori così come l’abbiamo disegnata. In quel preciso istante troviamo il coraggio di opporci a un destino già segnato e decidiamo chi vogliamo diventare. È questa la differenza tra destino e karma. Nel destino il passato ci insegue e si riproduce secondo un copione già deciso. Il karma si può trasformare: indipendentemente da quello che abbiamo fatto in un passato pregresso o recente, la nostra storia può cambiare. E tutto ciò accade in un momento preciso: quando decidiamo di voltare pagina. In quel momento stiamo mettendo le cause interne per trasformare la nostra esistenza, ossia stiamo mettendo in moto la nostra vita verso quel cambiamento desiderato. È una scelta coraggiosa, perché per poter determinare di vincere dobbiamo “sollevarci” rispetto alla nostra storia, in un certo senso dobbiamo vincere sul passato, acquistare occhi diversi per osservare le altre possibilità che sinora abbiamo precluso alla nostra vita.
    «La nostra preghiera fa emergere uno stato vitale elevato che ci permette di affrontare le circostanze della vita, qualunque sia la sconfitta che abbiamo subìto in precedenza» (D. Ikeda, In cammino con i giovani, Esperia, 2011, pag. 75). La lotta è prima di tutto dentro di noi, nella mancanza di amore che abbiamo nei confronti di noi stessi. Ikeda specifica questo concetto: «Gli individui di notevole fama non sono diventati “grandi” dall’oggi al domani. Essi sono stati fermi nel superare le proprie debolezze, nello sconfiggere la mancanza di amore per se stessi e di motivazione finché sono diventati dei veri vincitori nella vita» (ibidem, pag. 79). Dunque non ci amiamo quando rinunciamo a un sogno, quando crediamo che nulla potrà mai cambiare. Così come ci sottovalutiamo nel momento in cui non crediamo di poter “creare la storia”. Infatti nel momento in cui decido di cambiare la mia storia, da questo momento cambia anche la storia del mio ambiente. È come un sasso gettato in un lago: crea cerchi concentrici che si allargano sempre più. Persino il battito di ali di una farfalla può provocare un tornado a miglia di distanza. Cambiare la nostra storia è quindi cambiare il mondo! Nella prefazione della Nuova rivoluzione umana Ikeda specifica che il cambiamento di una singola persona può cambiare l’intera umanità. Dunque non cambiamo solo per noi stessi, non vinciamo solo per noi. La nostra storia è intimamente legata a quella del nostro ambiente, dei nostri cari, degli amici, del nostro paese e dell’universo intero. «La storia è creata dalle persone. Ognuno di voi è un protagonista chiave di questa impresa. Non contate sugli altri. Mettete in scena il vostro emozionante spettacolo di creatività! […]. Avanzate e migliorate voi stessi giorno dopo giorno! Se vi compiacete di ciò che avete raggiunto e smettete di lottare, andrete incontro solo al ristagno e alla sconfitta. Decidete di diventare migliori di quello che eravate ieri! Vincete coraggiosamente oggi! Questa è la formula per raggiungere la vittoria completa» (NRU, 15, 143).

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    Honnin-myo, il futuro nel momento presente

    È un principio buddista che viene spesso tradotto, oltre che “vera causa”, come “ricominciare da adesso”. Ed è generalmente affiancato dal suo complemento honga-myo, che significa “vero effetto”.
    Perché è aggiunto l’aggettivo vera/o? Noi crediamo che ciò che siamo ora è un effetto delle cause che abbiamo posto in passato, ossia che esiste un tempo lineare che dal passato va al futuro trascinandosi dietro tutto ciò che abbiamo seminato, come una sorta di destino ineluttabile, già predeterminato. Tutto ciò è corretto ma incompleto.
    Il termine “vero” interrompe questo circolo inevitabile e lineare, e ci riporta al momento presente, che potrà sconvolgere un percorso già stabilito e spezzare le catene di un destino che sembra inevitabile.
    È “vero” perché è l’unico momento reale in cui posso fare qualcosa perché il passato è già dato e il futuro non è ancora presente. In altri termini, indipendentemente da ciò che è stato finora, il futuro può essere del tutto diverso, dipendentemente dalle cause che stai ponendo ora nella tua vita, dai tuoi pensieri, dalle tue parole, dalle tue azioni in questo preciso istante. Parte dal concetto che è un’illusione l’idea di congelare l’attimo, la vita è segnata dalla successione di attimi. Non si può congelare la ­gioia, ma neanche la sofferenza. Questa sofferenza non sarà per sempre. Ma neanche questo stato di estasi che stai vivendo. Tutto muore e rinasce nello stesso istante, come le cellule del corpo che muoiono e rinascono, come le foglie di un albero che cadono e rispuntano. In alcuni momenti ci sfugge l’impermanenza dei fenomeni e gli attimi sembrano eterni.
    Proprio nei momenti in cui non si vede alcuna via di uscita e sembra che la condizione del momento sarà eterna, honnin-myo spezza questa catena. Recitando Daimoku si entra nel ritmo del funzionamento reale della vita e della morte, si accetta l’impermanenza della vita, consapevoli che questo momento è l’unico veramente importante, perché rappresenta l’effetto del passato ma che decide anche quale futuro vogliamo costruire. Honnin-myo esprime due concetti contemporaneamente: “ricomincio” e “adesso”. Ricomincio significa interrompo quanto è avvenuto finora e riparto verso nuove direzioni. Ma significa anche non delegare più ad altri il percorso che voglio imprimere alla mia vita. Ossia decido di non affidare più ad altri la mia vita e mi assumo la responsabilità di prenderla in mano e di decidere verso quali direzioni viaggiare. “Adesso” significa cogliere la bellezza in ogni attimo, vivere questo e ogni momento successivo come se fosse l’ultimo momento, che decide il mio domani, il mio futuro o la mia prossima esistenza. (m.c.g.)

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