Il beneficio più grande è aver sperimentato uno stato vitale altissimo anziché cadere nella disperazione, di aver sentito di avere “un io forte e indistruttibile” come il Buddismo ci incoraggia a costruire
A tre anni ho perso mia madre che si era ammalata gravemente quando avevo un anno e mezzo. Mio padre si era poi risposato quando avevo sette anni, delegando completamente alla nuova moglie la responsabilità di crescere me e mia sorella maggiore. Quando trentenne, nel 1992, ho iniziato a praticare il Buddismo, il sentimento che aveva pervaso fino ad allora la mia vita era una profonda angoscia derivata dal senso di abbandono.
Così la mancanza di sostegno e di affetto ha segnato pesantemente la mia vita: ho sofferto di anoressia e attacchi di panico, avevo un rapporto pessimo con mia sorella che mi riteneva responsabile delle sue sofferenze familiari, i rapporti sentimentali con gli uomini duravano pochissimo e venivo lasciata senza preavviso.
Cominciando a praticare è nata subito la speranza di stare bene ed essere felice; decisi di realizzare degli obiettivi e sentii nascere una grande tranquillità interiore, per me sconosciuta. Mi dedicavo all’attività di protezione e a far conoscere il Buddismo agli amici e ai familiari. Un obiettivo che ritenevo impossibile era quello di poter trovare una persona con cui condividere una vita ricca di significato. Nonostante le situazioni sentimentali si riproponessero come in passato, non mi scoraggiavo e rileggevo la frase del Gosho: «Sviluppa sempre di più la tua fede fino all’ultimo momento della tua vita, altrimenti avrai dei rimpianti. Per esempio il viaggio da Kamakura a Kyoto dura dodici giorni: se viaggi per undici giorni e ti fermi quando ne manca uno solo, come puoi ammirare la luna sopra la capitale?» (Lettera a Niiike, RSND, 1, 911).
Nel 2008 ho conosciuto Gino e ci siamo innamorati. È iniziata una relazione davvero felice, in cui ho compreso come l’impossibile si possa trasformare in possibile. Dopo un anno e mezzo al mio compagno viene diagnosticata una malattia molto grave: una forma di leucemia mieloide acuta. Di nuovo lo spettro dell’abbandono, questa volta però forte delle esperienze vissute con il Gohonzon decido subito di non arrendermi e lottare a qualunque costo. Aumento il Daimoku, intensifico lo studio e la pratica per gli altri, anche il mio compagno inizia a praticare, il suo stato vitale si alza, lui è ottimista anche se i medici gli comunicano che la sua vita è alla fine in quanto la malattia è sempre più aggressiva. Gino è riuscito a vivere altri due mesi.
In ospedale recitava tanto Daimoku e parlava di Buddismo con gli altri, la sua condizione vitale era incredibile, vincendo, come lui stesso ha detto prima di lasciarci, la paura della morte.
Io gli sono stata sempre accanto incoraggiandolo fino alla fine: non avrei mai creduto di avere tutta quella forza! Il beneficio più grande è avere sperimentato uno stato vitale altissimo anziché cadere nella disperazione, di aver sentito di avere “un io forte e indistruttibile” come il Buddismo ci incoraggia a costruire. Ho recitato accanto a Gino per quattro ore fino a quando ho percepito che mi mancava ancora qualcosa; continuando a recitare Daimoku ho compreso che dovevo vincere definitivamente sulla paura dell’abbandono e sull’attaccamento, così, dentro di me, ho lasciato che lui se ne andasse tranquillamente. Mi sono sentita subito libera dalla paura. In quel momento ho vinto su un aspetto della mia vita che mi sembrava impossibile da risolvere. Questa esperienza mi ha permesso di approfondire la fede e di sperimentare una profonda gratitudine per il Gohonzon.
Dopo due mesi mi è stata proposta la responsabilità di un gruppo, una sfida che ho deciso di accettare, sostenuta dal desiderio di prendermi cura fino in fondo di ogni singola persona, di incoraggiarla e di indirizzarla verso la felicità. Ho anche trovato una nuova casa, al prezzo che volevo, nel centro di Lucca vicina al mio lavoro, dove ho dedicato una stanza al Gohonzon e all’attività. In quest’ultimo periodo ho riscoperto la relazione con mia sorella, tutti i nodi del nostro rapporto estremamente conflittuale si sono sciolti e ci siamo ritrovate. La mia seconda mamma si è riavvicinata a me e mi sostiene anche economicamente senza che io lo chieda. Lo scorso aprile due persone del gruppo hanno ricevuto il Gohonzon e il nostro desiderio è che arrivino tanti giovani e persone nuove ad ampliare la “famiglia Soka”che mi ha tanto sostenuto in questi anni e verso la quale sento una profonda gratitudine.