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Chi decide della mia vita? - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 17:46

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    Chi decide della mia vita?

    Di fronte alle scelte che la vita continuamente ci pone davanti, qual è il segreto per fare la cosa giusta? Decidere di dedicare il tempo alla nostra rivoluzione umana e al benessere altrui è senz’altro l’opzione vincente

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    Di fronte alle scelte che la vita continuamente ci pone davanti, qual è il segreto per fare la cosa giusta? Decidere di dedicare il tempo alla nostra rivoluzione umana e al benessere altrui è senz’altro l’opzione vincente

    «Non riesco più a venire alle riunioni perché mio figlio piccolo non mi lascia un minuto libera». «Non posso più partecipare alla riunione di studio del Gosho perché esco sempre tardi dal lavoro». «Da quando devo assistere mia mamma, non riesco a trovare il tempo nemmeno per fare Gongyo».
    Quante volte abbiamo sentito o abbiamo detto queste parole? Sappiamo che la quantità di impegni, sul lavoro, in famiglia o per la nostra stessa salute, fanno parte della vita quotidiana e tendiamo a darli per scontati. Ci sono e basta. Come pensare, da comuni mortali, che fare la spesa per la propria famiglia, a metà settimana, appena finito di lavorare possa essere un ostacolo alla pratica del Buddismo perché ci impedisce di partecipare alle riunioni? O che lo sia la lezione di inglese che possiamo fare solo la sera, perché prima dobbiamo studiare per gli esami, andare in palestra, fare la fisioterapia, e proprio quella sera che ci sarebbe anche la recitazione? Dalla mamma al manager, la giornata di molti trabocca di impegni. E ci sono lavori sommersi e non riconosciuti come mandare avanti una casa con tutto quello che comporta in fatto di organizzazione che non consumano meno tempo di un lavoro retribuito.
    Accanto a questa realtà, ci sono altre voci. «Sento una grande differenza quando riesco a iniziare la giornata recitando una bella quantità di Daimoku rispetto a quando sono troppo stanca per alzarmi» dice Rosy di Vercelli, estetista imprenditrice e madre di tre vivacissimi maschietti, di cui due gemelli, da domare ogni giorno. «Quando riesco a mantenere una pratica costante – continua Rosy – il Daimoku mi fa strada tra tutte le situazioni: la programmazione del lavoro, i corsi di aggiornamento, la gestione dei dipendenti. Poi, a casa, ci sono i compiti, l’allenamento di calcio di tutti e tre e le tonnellate di lavatrici da fare, insomma l’organizzazione casalinga. Quando vado alla riunione, la mia è una scelta che quella sera condizionerà la vita di tre figli e un marito, ma se ne sono accorti anche i bambini che quando partecipo, dopo sono più serena».
    Anche chi ha alle spalle appena qualche mese di pratica e di partecipazione alle attività ha sperimentato come ciò condizioni in modo radicalmente positivo il ritmo della giornata. Allora, perché è così difficile scegliere di praticare? Se dovessimo aggiornare la lista dei dieci eserciti che il re demone del sesto cielo schiera ogni giorno per «farci smettere di pregare, fiaccare lo stato vitale, indebolire la fede» (BS,133, 42), dovremmo includere… «le cose da fare!», commenta Fabio studente al conservatorio di Firenze, insegnante di italiano e musica nella scuola primaria nonché responsabile giovani uomini di centro. «Sono sempre stato incoraggiato – continua Fabio – a mettere al centro della mia vita la pratica buddista. Quando mi succede di rallentare, dopo mi accorgo che la mia energia diminuisce. L’oscurità fondamentale che è dentro alla mia vita è sempre in gara con la mia parte illuminata». E l’oscurità non è solo nella vita del singolo ma in una intera società, attiva ispiratrice di illusioni e oggetti di culto potentissimi in quanto collettivi e condivisi.

    I sudditi del tempo

    La cultura dell’Occidente della nostra generazione e di alcune generazioni precedenti ha tramandato un concetto preciso del tempo. Scrive Ryszard Kapuscinski in Ebano: «Nel concetto europeo il tempo esiste obiettivamente, indipendentemente dall’uomo […]. L’europeo si sente schiavo del tempo, ne è condizionato, è il suo suddito in tutto e per tutto». Questo non è l’unico modo possibile di vivere il tempo. Scrive sempre Kapuscinski: «Gli africani autoctoni intendono il tempo in modo completamente opposto: il tempo è qualcosa che l’uomo può creare, infatti l’esistenza del tempo si manifesta attraverso gli eventi, e che un evento abbia luogo oppure no, dipende dall’uomo». Certo che salire su un bus e sapere che l’orario di partenza sarà quando il mezzo sarà al completo, per noi è accettabile solo quando siamo in vacanza, forse. Ma ciò significa che il nostro non è l’unico modo di intendere il tempo, anche se è l’unico sostenibile in una società in cui si deve passare il badge entro le nove di mattina e fare un’ora al massimo di intervallo, sennò i minuti in eccesso vengono trattenuti dalle ferie.
    Il concetto di “efficienza” è talmente positivo per la nostra cultura, che non dubitiamo minimamente che possa trattarsi di uno specchio per le allodole, il lato luminoso di un oggetto di culto diverso da Nam-myoho-renge-kyo. Dentro alla nostra giornata, presi dal senso del dovere, ci dobbiamo far stare di tutto e di più, per sentirci efficienti e produttivi cosicché “il tempo” molto spesso diventa il vero oggetto di culto della nostra vita e le cose da fare prendono il controllo della nostra esistenza. Non c’è da stupirsi se presi dall’ansia o spossati dalla fatica non si “trovi il tempo” per praticare. In inglese quando ci si deve ricordare un’occasione importante a cui partecipare si dice save the date e il verbo inglese to save, nella stessa lingua che ha coniato il motto time is money (il tempo è denaro, n.d.r), vuol dire “risparmiare, mettere da parte” e anche “salvare”. Insomma per trovare il tempo per fare una cosa, quel tempo lo si deve “mettere in salvo”. Questa riflessione può aiutarci a non cadere nel tranello del fare per primo quello che ci mette più ansia, ma occorre andare più a fondo.
    Come essere “felici e a proprio agio” in questo Ultimo giorno della Legge in cui il tempo è il tiranno? Nichiren scrive: «Usa la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra» (RSND, 1, 889) e in questo “prima” ci sono due concetti sovrapposti: prima come importanza significa anche prima in senso cronologico, ovvero, prima di agire è necessario recitare Nam-myoho-renge-kyo. Adottare la strategia del Sutra del Loto e quindi fare Daimoku non è la “prima cosa” della lista, ma è ciò di cui è fatta la nostra stessa vita.

    L’arte di saper scegliere

    Innanzitutto, è necessario recitare Daimoku prima di ogni altra cosa perché lo svolgimento delle nostre azioni e degli eventi del nostro ambiente in una determinata maniera è conseguenza proprio del nostro ichinen (la determinazione contenuta in un istante). Inoltre, recitare Daimoku prima di compiere delle azioni, innalza la condizione vitale. È questa che influenza il modo di percepire la vita e di conseguenza ciò che riteniamo importante. Quindi, chi vive nel mondo di Animalità darà priorità ad azioni che soddisfino gli istinti, come il mangiare o il dormire o il divertirsi oltre misura. Chi vive nel mondo di Avidità, metterà al primo posto le azioni volte al conseguimento del desiderio insaziabile da cui è dominato. Chi vive nel mondo di Collera, riempirà la lista di conti in sospeso da regolare a suon di telefonate o dispetti che occuperanno tutto il suo tempo e le sue energie.
    Confrontando idealmente la lista di priorità di due persone diverse si potrebbe avere una chiara idea di quale sia il mondo in cui vivono e quale sia il loro oggetto di culto: ad esempio il lavoro, per chi elenca tra le prime dieci cose da fare della giornata dieci impegni di lavoro, la vanità dell’apparire di chi passa tutto il suo tempo a comperare cose di marca, l’affermazione personale, oppure i figli. Se si scelgono anche le priorità della vita basandosi sulla recitazione del Daimoku, prima di ogni altra cosa, succederà che la lista delle cose importanti sarà illuminata dalla saggezza del mondo di Buddità. Inoltre, nel vivere e trasformare in azione i propositi si manifesteranno gli effetti latenti accumulati durante la recitazione. Questo processo di trasformazione della realtà diretto dal nostro ichinen nella recitazione e realizzato dalle nostre azioni quotidiane è la nostra rivoluzione umana. Non solo troveremo il tempo per le cose, ma riusciremo a farne di più perché saremo “a ritmo”. «Quando al mattino riesco a recitare con serietà e concentrazione – ci racconta Dino, responsabile commerciale in un’azienda di Torino e padre di un bimbo – le cose durante la giornata si manifestano in modo armonico e riesco a fare più cose come se succedessero in un universo in cui tutto gira nella sua giusta orbita».
    Infine è necessario recitare Daimoku prima di ogni altra cosa, per comprendere che “ogni cosa è illuminata”. O, meglio, che ogni obiettivo della nostra giornata si può trasformare in Illuminazione. «Ho sempre cercato di evitare l’errore – prosegue Dino – di considerare gli impegni giornalieri separatamente rispetto all’attività buddista bensì di dare a tutto la massima importanza, senza permettere alla mia mente di decidere le priorità. Cerco di evitare in ogni ambito di fare le cose per dovere e di trarre dalla recitazione la saggezza per decidere il meglio per me e per gli altri, passo dopo passo. Sforzandomi al massimo, consapevole che non sono perfetto». Anche Fabio di Firenze conferma e rafforza il concetto: «Quando un compagno di fede mi dice che deve diminuire l’attività buddista perché deve preparare un esame o deve lavorare di più, per consigliarlo mi ispiro sempre alla mia esperienza, altrimenti non riuscirei a trasmettere nulla. Centrale per me in questo caso è il principio di bonno soku bodai (le illusioni e i desideri sono Illuminazione). Se dividiamo l’attività buddista dalla vita quotidiana, non crediamo che i desideri possano trasformarsi in Illuminazione. Pratichiamo quindi un altro insegnamento, non il Buddismo di Nichiren. Questa consapevolezza scorre in tutte le azioni della mia giornata e mi permette di fare attività buddista senza interruzioni».

    Una vita fatta… a mano

    Del resto lo stesso Nichiren Daishonin ci indica assai chiaramente la strada, con straordinaria modernità e lungimiranza, quando nella seconda metà del milleduecento incoraggia il samurai Shijo Kingo che si preoccupava di non avere abbastanza tempo per dedicarsi alla pratica del Sutra del Loto a causa del suo lavoro: «Così come stai vivendo, tu pratichi il Sutra del Loto ventiquattro ore al giorno. Splendido! Considera il servizio al tuo signore come la pratica del Sutra del Loto. Questo è il significato di “nessuna cosa che riguardi la vita o il lavoro contrasta in alcun modo con la vera realtà”» (Risposta a un credente, RSND, 1, 804). La remunerazione di un tale approccio è che giorno dopo giorno si forma un atteggiamento in grado di orientare ogni momento della nostra vita verso la creazione di valore e di compiere in questa stessa esistenza la nostra rivoluzione umana.
    Dice Daisaku Ikeda a questo proposito: «Dentro di noi stiamo costruendo una felicità che non è influenzata dai mutamenti esterni. Perfino negli abissi dell’angoscia o nei momenti di estasi, al centro del nostro essere ci sarà sempre questo tesoro indistruttibile. Allora, potremo partecipare pienamente delle gioie e dei dolori del mondo senza esserne governati, con la forza di superare le avversità senza esserne schiacciati e di godere della prosperità senza esserne corrotti». Per costruire questa felicità ci vuole sforzo, determinazione perché, come diceva Marguerite Yourcenar, «ogni felicità è un capolavoro».
    Lasciando che il Daimoku orienti le nostre scelte e ispiri la giornata con azioni di valore, e, a volte, con l’umiltà di chiedere aiuto ai compagni di fede, dentro di noi sentiremo rinascere la nostra vita “fatta a mano” con la soddisfazione di un abile artista.

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    Il passaggio dall’oscurità alla saggezza
    La trasformazione interiore è qualcosa che avviene attimo dopo attimo, come una rivoluzione silenziosa. «È questa trasformazione dell’ichinen – ha spiegato Katsuji Saito nella lezione pubblicata su Buddismo e società n. 137 – nel nostro cuore la chiave da cui parte la nostra rivoluzione di esseri umani che vivono nella società di oggi»

    Nella frase: «Non importa quanto forte Nichiren possa pregare per te, se manchi di fede sarà come tentare di accendere il fuoco con un’esca bagnata. Sforzati di raccogliere il potere della fede. Considera prodigiosa la tua sopravvivenza», il Daishonin spiega chiaramente cosa sia davvero “importante”: importante è il cuore che crede nella Legge mistica, l’avere fede nella Legge mistica.
    Sappiamo che nella nostra vita esiste l’illusione fondamentale od “oscurità fondamentale”, che non è altro che ignoranza della Legge mistica [o il suo rifiuto] o mancanza di fede in essa. Come abbiamo visto, questa oscurità che offusca la nostra vita sparisce nel momento in cui la natura buddica si manifesta. Come il buio dentro una stanza scompare appena entra un raggio di luce, così l’oscurità si dissolve di fronte alla luce della saggezza. Per questo la nostra condizione vitale può essere trasformata immediatamente. E qui sta il punto: il passaggio dall’oscurità alla saggezza avviene dentro il cuore. Per questo il cuore è così importante.
    Secondo il principio della “simultaneità di causa ed effetto” questa trasformazione che avviene nel cuore è immediata. Il Buddismo di Nichiren insegna che noi, così come siamo ora, possiamo trasformare il karma e conseguire la Buddità grazie al principio chiave della “trasformazione dell’ichinen“. Ed è questa trasformazione dell’ichinen nel nostro cuore la chiave da cui parte la nostra rivoluzione di esseri umani che vivono nella società di oggi.
    «Per cambiare la nostra vita – dice il presidente Ikeda – bisogna innanzi tutto conoscere cosa c’è nel nostro cuore. I risultati saranno completamente diversi a seconda di ciò su cui è concentrata la nostra mente. Le funzioni sottili della mente sono l’argomento centrale della dottrina dei dieci mondi e del loro mutuo possesso. Afferma Nichiren: “L’obiettivo principale di tutti i sutra è spiegare il miracolo della vita. Chi ha compreso il funzionamento della mente viene chiamato Tathagata” (GZ, 564). Ogni cosa dipende dal cuore» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 3, esperia, pag. 150). Dunque, per trasformare il nostro ichinen e rivoluzionare la nostra condizione vitale bisogna prima di tutto sapere cosa c’è dentro il nostro cuore, o su cosa è concentrata la nostra mente, perché a seconda di questo dato di partenza il risultato sarà completamente diverso.
    Nichiren – nella citazione precedente – afferma che il Budda è colui che ha compreso “il miracolo della vita”. Quindi l’obiettivo principale del Buddismo è spiegare tale miracolo a tutte le persone. “Il miracolo della vita”, in questo caso, si riferisce proprio alla possibilità di “trasformare l’ichinen” di “rivoluzionare l’ichinen“: è proprio per questa sua capacità che la vita può essere considerata miracolosa.
    Il presidente Ikeda continua: «Coloro che lottano e si impegnano per approfondire la fede riescono a far emergere la natura di Budda. È la via del bodhisattva. Il bodhisattva è disposto ad addossarsi compiti gravosi e affronta volentieri le difficoltà per amore della Legge, degli altri e della società. È l’antitesi esatta di ciò che troviamo nei vari mondi fino ai due veicoli. Raggiungere questo stadio comporta una trasformazione della vita» (Ibidem, pag. 151). Qui Ikeda spiega che per comprendere “il miracolo della vita”, ossia per realizzare “la trasformazione dell’ichinen“, bisogna mettere in pratica concretamente i principi del Buddismo. È necessario trasformare il nostro modo di vivere e passare dalla visione egocentrica delle persone dei due veicoli a quella compassionevole dei bodhisattva. Solo dedicando la vita a recare beneficio agli altri e proteggendo la Legge si realizza “la trasformazione dell’ichinen” e si matura una fede risoluta. Solo così si può conseguire la Buddità.

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