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Illuminare a passo di danza - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:51

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Illuminare a passo di danza

«Buddità significa creatività infinita e ricercarla quotidianamente mi consente di comunicare con più forza agli altri la certezza delle risorse che hanno a disposizione». Queste le parole di Piera Pieraccini, specializzata in artiterapie, in particolare nella danza movimento terapia. Laureata in psicologia, lavora a Firenze e insegna a Bologna

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«Buddità significa creatività infinita e ricercarla quotidianamente mi consente di comunicare con più forza agli altri la certezza delle risorse che hanno a disposizione». Queste le parole di Piera Pieraccini, specializzata in artiterapie, in particolare nella danza movimento terapia. Laureata in psicologia, lavora a Firenze e insegna a Bologna

Quando hai iniziato a interessarti alla danza e all’espressione del corpo?

I linguaggi artistici mi hanno appassionato fin da quando ero ragazzina per la loro potenza espressiva che va ben oltre la parola, ma anche per le loro implicazioni psicologiche.
Per questo mi sono interessata anche agli studi di psicologia, cercando di approfondire sia come il linguaggio del corpo esprima l’io profondo più di quanto possa fare il linguaggio verbale, sia come l’arte in generale abbia il potere di liberare energie sconosciute e rivelatrici del mondo interiore dell’individuo.

Come sei arrivata a trovare questo collegamento tra l’espressività artistico-corporea e gli aspetti psicologici?

La mia ricerca nel campo della danza, del movimento e, in parte, del teatro usciva da quelli che erano i canoni classici: era rivolta soprattutto a far emergere l’interiorità della persona. Il modo unico e creativo di “essere al mondo” si esprime sia nella bellezza della danza intesa come forma d’arte sia nell’espressività gestuale e corporea del disagio psichico. In realtà trent’anni fa non avevo un’idea molto chiara di ciò che stavo facendo, percepivo solamente un forte impulso che mi guidava, un’intuizione che però non scorgeva riferimenti esterni. Ero alla ricerca di qualcosa che a quel tempo in Italia non esisteva.

Questo accadeva prima di praticare il Buddismo, dopo cos’ è successo?

Il Buddismo ha rappresentato l’incontro con il mio potenziale più profondo. Sono riuscita a sbocciare completamente come essere umano trovando anche la mia strada in ambito professionale e ho imparato a coltivare disciplina e concentrazione. Ho lavorato su me stessa per diventare paziente e coraggiosa, dando fiducia e valore alla mia ricerca, a quel mio particolare linguaggio, alla mia intuizione. In quei primi anni di pratica buddista trovai una scuola di formazione di matrice americana, fondata a Bologna nel 1982. In quel tipo di studi che in Italia allora erano praticamente sconosciuti, trovai conferma alle mie intuizioni. Sono stata una delle prime iscritte a questa scuola e quindi una pioniera delle artiterapie in Italia. All’epoca c’era davvero il deserto, eravamo solo quattro gatti a credere in questo tipo di cura, non c’era nessuna esperienza precedente e il mondo delle terapie classiche e istituzionali non incoraggiava progetti innovativi. Tuttavia, fortunatamente cominciai a lavorare, inizialmente nelle aziende sanitarie locali. Ho incontrato diffidenze e dubbi a non finire, ma alla fine molti operatori hanno iniziato a credere in quello che facevo, alla luce dei grandi benefici che i pazienti affetti da disagi psichici, talvolta anche molto gravi, ne traevano. La mia attività abbracciava gli ambiti più diversi: affrontavo problematiche legate al disagio psico-sociale, alla condizione femminile, alle difficoltà dell’età evolutiva.
Oggi quella fase pionieristica si è conclusa e sono diventata una formatrice nel campo delle artiterapie, mentre a livello nazionale ed europeo sono nate tante scuole e associazioni e queste terapie sono divenute professioni riconosciute e accreditate anche dalla comunità scientifica. Ci sono sempre più psichiatri e psicologi, non solo artisti, che si specializzano in queste discipline.

Hai accennato anche a tantissime difficoltà che hai incontrato: perché non hai mai mollato?

Ho perseverato perché da un lato constatavo l’efficacia che aveva il mio lavoro sulle persone che seguivo, dall’altro ero sostenuta dall’insegnamento buddista che incoraggia a non arrendersi mai, a prescindere dalle risposte che riceviamo dall’ambiente.

Sei partita come una vera pioniera, senza punti di riferimento professionali. Come sei riuscita a creare negli anni questa espansione?

Guardandomi indietro mi rendo conto che da quella che è stata inizialmente la mia ricerca solitaria ne è sorto un movimento molto importante. In tutti questi anni sono stata costantemente sostenuta dalle parole del presidente Ikeda e di sua moglie Kaneko. Il loro sostegno mi ha sempre fatto riemergere dai momenti di sconforto e d’incertezza, trasmettendomi la sensazione che erano lì con me a condividere il mio percorso. Quindi direi che loro hanno rappresentato per me un sostegno continuo, ho sempre sentito la presenza del maestro al mio fianco.
Grazie alla mia esperienza ho potuto introdurre al Buddismo diverse persone e coinvolgerne tantissime altre che erano al corrente della mia storia.

Come ha inciso il Buddismo nella tua professione? Senti che in qualche modo l’abbia influenzata?

Direi che sono riuscita a tirare fuori la capacità di stare nelle situazioni più difficili: se non avessi seguito l’insegnamento buddista non mi sarei mai addentrata in determinate sfere dell’animo umano, mi sarei fermata prima. Il Gohonzon è sempre stato come una “lanterna nei momenti bui”. Mi ha permesso di accedere all’umanità profonda dell’altro, al di là del disagio, della difficoltà, dei blocchi. La mia pratica personale insieme all’attività che ho svolto con gli altri, mi ha permesso di trovare l’energia necessaria per avventurarmi in dimensioni sconosciute, illuminare zone oscure, aprire varchi ed esplorare nuovi linguaggi e connessioni tra loro, al fine di aiutare le persone a migliorare la loro situazione. Tutta questa ricerca mi ha portato anche a terminare gli studi di psicologia, nonostante abbia una famiglia numerosa e tanti impegni quotidiani.

Qual è un altro aspetto della tua esperienza lavorativa in cui ti sei resa conto che l’esperienza accumulata col Buddismo ti è stata particolarmente utile?

Per esempio con i miei studenti. L’apertura creata nella mia vita si è trasformata in un grande sostegno che riesco a trasmettere loro nel percorso che hanno intrapreso. E questo riesco a farlo perché io per prima ho imparato a dare fiducia al profondo processo creativo della vita, e quindi sono in grado di comunicarlo anche agli altri con maggiore convinzione.
Buddità significa creatività infinita e ricercarla quotidianamente mi consente di comunicare con più forza agli altri la certezza delle risorse che hanno a disposizione.

Per te quindi cos’è la creatività?

È l’istinto stesso della vita, è il nucleo profondo di ciascun individuo indipendentemente dalla condizione in cui si trova. La creatività appartiene al talento umano e non alla patologia umana, è un’esperienza che introduce al senso profondo delle cose, alla sorgente della propria originalità. E il fatto di praticare mi dà modo di accedere con più facilità a questa sfera interiore.

Ci racconti un’esperienza significativa che hai fatto in tutti questi anni?

Tanti anni fa, quando iniziai a lavorare nelle aziende sanitarie, c’era un ragazzo affetto da problemi gravi. Aveva un comportamento talmente aggressivo che teneva tutti a distanza. Gli operatori lo assegnarono a me, ma lui non riusciva neanche a entrare nella stanza che era stata adibita alle terapie. Quando arrivavo alla ASL, lui restava in un’altra stanza del centro e si agitava come un matto, rompendo sedie, tavoli, urlando e picchiando chi gli capitava vicino: tutti lo temevano. Devo ammettere che anch’io all’inizio ne avevo paura. La mattina, quando sapevo di incontrarlo, cercavo di pregare molto. Capivo che aveva molta paura di intraprendere questo lavoro. Per due mesi, mentre imperversava la sua furia distruttiva, sono rimasta nella stanza dove si svolgevano le terapie aspettando con fiducia per circa un’ora. Un giorno entrò nella stanza, si mise a sedere di fronte a me, facendomi capire che era pronto. Da allora abbiamo iniziato a lavorare in modo spedito e intenso. È avvenuta una trasformazione incredibile in questo ragazzo. Tutte le volte che arrivavo allo studio era il primo a venirmi incontro: mi abbracciava calorosamente e mi precedeva nella stanza.

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