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Fiero di me stesso - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 18:36

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Fiero di me stesso

Dimitri Alaimo, Palermo

Volevo parlare apertamente di me, e tutto ciò mi sembrava davvero da “rivoluzione copernicana”. Per tanti anni avevo vissuto con un profondo senso di vergogna e disprezzo verso me stesso; pensavo che sarei morto così

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Volevo parlare apertamente di me, e tutto ciò mi sembrava davvero da “rivoluzione copernicana”. Per tanti anni avevo vissuto con un profondo senso di vergogna e disprezzo verso me stesso; pensavo che sarei morto così

La prima volta che pronunciai Nam-myoho-renge-kyo era nel maggio del 2000. Mia sorella Eva, che aveva appena iniziato, mi disse: «Tu prova, anche cinque minuti la mattina e cinque minuti la sera e osserva cosa succede nella tua vita».
Provai e devo dire che l’universo mi rispose subito: iniziai per avere chiarezza e capire dove fosse il mio posto, se di nuovo a Palermo, la città da dove ero scappato, o Londra, la città da cui ero appena tornato, dopo averci vissuto un anno.
Dopo qualche giorno Chris, il mio vecchio manager e oggi uno dei miei più cari amici, mi chiese di tornare a Londra da Harrods, un grande magazzino di lusso famoso in tutto il mondo, come suo assistant manager, quindi con un aumento di stipendio.
Mi sembrava incredibile e ovviamente accettai con grande gioia. Sapevo che il ritorno a Londra sarebbe stato per me un’occasione davvero unica per affrontare altri e ben più profondi nodi della mia vita. Harrods divenne la mia casa per ben sette anni. Ricordo tutto con grande emozione e profondo senso di gratitudine; lì ho conosciuto una quantità enorme di persone, con la maggior parte delle quali esiste ancora oggi un profondo legame di amicizia e affetto.
La mia pratica diventò sempre più costante: andavo ai meeting e recitavo tanto Daimoku. Con grande fatica imparai a fare Gongyo, ma in tutto questo sentivo ancora poca gioia e tanto senso del dovere; sapevo che non era così che doveva funzionare. Il risentimento verso la mia famiglia era immutato e mi ripetevo spesso che questo non andava bene, ma comunque andavo avanti.
I miei genitori avevano allevato me e i miei fratelli in un ambiente familiare ostile e senza amore. L’inferno dentro al quale ci facevano vivere non lasciava scampo e fagocitava tutti. Malgrado ciò la vita mi mandava già da tempo dei segnali precisi su quello che avrei dovuto guardare con più coraggio, per esempio a proposito dei miei orientamenti sessuali. Io comunque, imperterrito, fingevo e mi dicevo: «Come faccio a dirlo ai miei genitori? Come potrebbero tollerare un figlio come me?».
Mettevo davanti al Gohonzon la ferma determinazione di parlare apertamente di me, e tutto ciò mi sembrava davvero da “rivoluzione copernicana”. Per tanti anni avevo vissuto con un profondo senso di vergogna e disprezzo verso me stesso; pensavo che sarei morto così. Ero un malato da evitare. Mia madre non è mai stata tollerante verso le diversità, quindi quello che chiedevo a me stesso, attraverso la pratica buddista, era davvero tanto.
Ricevetti il Gohonzon il primo giugno del 2003 a Londra. Mi erano occorsi tre anni per decidere profondamente e con gioia che anche “un caso disperato” come me diventasse una persona di valore.
I benefici, così come i momenti di lotta, ovviamente, da quel momento in avanti non mancarono.
I risultati si vedevano in maniera tangibile, ero riuscito a creare un rapporto d’affetto e a tratti di complicità con mio padre, dopo anni di mal sopportazione reciproca. Era davvero una vittoria senza uguali ma rimaneva ancora mia madre. Alla fine del 2009 sentii che era arrivato il momento di lasciare il Regno Unito e provare a contribuire alla realizzazione di kosen-rufu nella città da cui ero andato via dieci anni prima.
Trovai il lavoro, malgrado la crisi che mostrava già tutta la sua drammaticità, e poi la casa che desideravo mettere a disposizione per l’attività. Così avevo determinato e così l’ambiente aveva risposto: un delizioso loft in pieno centro e proprio alle spalle del Teatro Massimo di Palermo!
Iniziai anche l’attività di protezione e accoglienza del gruppo Prometeo, curato dalla Divisione uomini.
Tutto quello che stavo realizzando mi dava un grande senso di pienezza e di soddisfazione, ma c’era ancora tanto da lavorare. Rideterminai di proseguire nella mia rivoluzione umana.
Dopo aver recitato tanto Daimoku decisi di andare temporaneamente a stare a casa di mia madre con l’obiettivo di parlarle chiaramente di me.
Sapevo che non c’era moltissimo tempo perché avevo deciso di accettare qualunque proposta di lavoro, anche fuori Palermo e, se necessario fuori dall’Italia. Una mattina sentii Daniele, il più giovane dei miei fratelli, litigare animatamente con mia madre. Cercare di confrontarsi con lei, mantenendo la calma, era praticamente impossibile.
Mi intromisi nella loro discussione perché volevo spostare il confronto su di me e parlar chiaro: mi sbagliavo! Mia mamma non si fece sfuggire l’occasione per offendermi, e io le risposi a tono: stava accadendo di nuovo.
Lo scontro culminò con una lite molto brutta, che mi ferì profondamente. Sentivo solo rabbia e disprezzo nei suoi riguardi ma sapevo anche che, come spiega il Buddismo, avendo “scelto io” questi genitori, sicuramente da tanto squallore avrei potuto creare valore nella nostra vita. Quella stessa sera mia madre mi mandò un messaggio al cellulare in cui diceva di assumersi totalmente la responsabilità per l’accaduto, mi chiedeva anche perdono per le cose orribili che mi aveva detto, cosa mai successa prima. Così l’indomani mattina le domandai: «Ti vergogni di me? Di come sono, di come parlo, del fatto che non ho una donna, perché io non voglio una donna?». Mi fissò per qualche secondo e mi disse: «Non esiste madre al mondo che si possa vergognare di un figlio». E io ancora: «Hai idea di quante volte avrei voluto un tuo abbraccio?». Lì cominciò a piangere ininterrottamente e tra le lacrime mi rispose: «Io non ti abbraccio, e non vi abbraccio, perché non lo so fare, nessuno mi ha insegnato a farlo!».
«Benissimo – risposi – possiamo iniziare da subito». Così le andai incontro e riuscii a stringerla in un abbraccio fortissimo. Lei iniziò a singhiozzare senza riuscire a smettere e promise di rispettarmi per quello che ero. Anche Daniele, che aveva assistito, era visibilmente commosso.
Da allora il nostro rapporto ha attraversato alti e bassi, ma sento ogni giorno di più il senso di gratitudine verso i miei genitori e sono sicuro di essere sulla giusta strada. Un altro mio grande desiderio è che sparisca all’interno della società qualunque forma di pregiudizio.
Adesso voglio realizzare un obiettivo che mi sta molto a cuore: dato che amo viaggiare vorrei poter fare attività in tutti i Centri culturali di tutti i paesi che visiterò. Nichiren Daishonin mi ha insegnato a recitare con la forza di un leone all’attacco per vincere su ogni problema e di questo gli sono immensamente grato.

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