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Vicini, non solo idealmente - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:15

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Vicini, non solo idealmente

Nel dopoguerra il Giappone aveva visto sorgere, dapprima a Tokyo poi in vaste zone del paese, enormi complessi abitativi. I praticanti che vi risiedevano si resero conto, col tempo, che potevano giocare un ruolo importante per la qualità della vita di quelle zone

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Nel dopoguerra il Giappone aveva visto sorgere, dapprima a Tokyo poi in vaste zone del paese, enormi complessi abitativi. I praticanti che vi risiedevano si resero conto, col tempo, che potevano giocare un ruolo importante per la qualità della vita di quelle zone

Il Nuovo Rinascimento presenta alcuni estratti dal volume 24, pubblicato sulle pagine del Seikyo Shimbun. Il testo integrale è disponibile su www.ilvolocontinuo.it

Dal momento della sua fondazione, nell’ottobre 1973, i membri della Divisione condomini, si erano impegnati con grande entusiasmo nelle attività, cercando di rendere i loro complessi abitativi delle “cittadelle permeate di armonia”. Organizzavano incontri e conferenze a livello di regione, prefettura e territorio dove si ribadiva quanto fosse importante guadagnarsi la fiducia della comunità in cui si vive. I membri della Divisione condomini miglioravano la comunicazione con gli altri inquilini dei complessi residenziali e, man mano che li incoraggiavano a risolvere i problemi contingenti, aumentava di pari passo l’amicizia e la comprensione reciproca.
Nichiren insegna che: «Il luogo in cui la persona sostiene e onora il Sutra del Loto è il luogo della pratica in cui la persona si reca» (Gli insegnameni orali, BS, 123, 53).
In altre parole, il luogo in cui ci impegniamo nella fede e nella pratica buddista è il posto dove ci adoperiamo per conseguire l’Illuminazione. Di conseguenza, la lotta che ingaggiamo come buddisti non consiste tanto nel ricercare qualche lontano ideale di perfezione, quanto piuttosto nel riconoscere che il luogo dove viviamo in questo preciso momento è il posto ottimale per portare fino in fondo la pratica buddista, rendendo i nostri centri abitativi una “Terra della Luce Tranquilla”.
La costruzione di complessi residenziali di grandi dimensioni ebbe inizio in Giappone dopo la Seconda guerra mondiale. I bombardamenti avevano distrutto aree molto vaste di tante città e in tutto il paese si riscontrava una forte carenza di abitazioni che ammontava a oltre quattro milioni. Per venire incontro a tale esigenza, a Tokyo furono realizzati enormi complessi residenziali dapprima nelle circoscrizioni di Minato e Shinjuku, poi, seguendo il periodo di inarrestabile crescita economica della nazione, questi grandi agglomerati abitativi spuntarono un po’ ovunque in tutto il paese.
Quello era un periodo in cui la maggior parte delle case giapponesi venivano ancora costruite in legno, di conseguenza, i complessi residenziali, con le loro pareti esterne in cemento, la cucina-sala da pranzo dotata di lavelli in acciaio inox e altre innovazioni, erano considerati la quintessenza della moderna vita cittadina. Poiché sempre più spesso le famiglie erano costituite solo da genitori e figli, senza altri parenti, la gente era soddisfatta di vivere in quegli appartamenti, anche se piccoli.
In particolare, a molti ragazzi della nuova generazione piaceva l’idea di abitare in un complesso residenziale.

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Benché la gente desiderasse vivere all’interno di quei complessi, iniziavano a venire fuori i primi problemi legati a queste enormi strutture, compreso il fatto che i residenti avevano poco contatto con i loro vicini. A volte una persona poteva anche morire in solitudine nel suo appartamento e nessuno se ne rendeva conto per giorni. A gennaio del 1974, il corpo di una donna anziana fu ritrovato nella vasca da bagno del suo appartamento nel complesso residenziale di Shibuya. Era morta da una settimana.
Nell’agosto dello stesso anno, un uomo che viveva al quarto piano di un complesso nella prefettura di Kanagawa uccise una casalinga con i suoi due figli che abitavano al piano di sotto, per il rumore assordante che proveniva dalla loro casa.
All’improvviso tutti i riflettori vennero puntati sui problemi causati dalla soglia di rumorosità e dai conflitti tra i residenti di questi appartamenti “da favola”. Nella sentenza del primo processo per omicidio si leggeva, tra l’altro, che forse il conflitto si sarebbe potuto evitare se ci fosse stata una migliore comunicazione tra i due.
I membri della Divisione condomini erano preoccupati per il verificarsi di incidenti del genere, e si risvegliarono con grande passione alla loro missione. Ognuno di loro pensava: «Dobbiamo rendere il nostro complesso residenziale una cittadella armoniosa basata su cordiali relazioni interpersonali tra tutti i residenti».
I seguaci di Nichiren che vogliono «adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese» non possono ignorare i problemi esistenti nelle proprie singole realtà. Considerano, invece, queste difficoltà come se fossero le proprie e si impegnano fino in fondo per risolverle.
Chi viveva nei complessi abitativi era diviso dai propri vicini solamente da una semplice parete di cemento. Perché, allora, i rapporti di buon vicinato erano del tutto inesistenti?
Le persone che si trasferivano in questi condomini di nuova costruzione provenivano da regioni diverse del Giappone ed erano estranee le une alle altre. In teoria, avrebbero dovuto fare un piccolo sforzo per presentarsi e salutarsi, conoscersi reciprocamente e tenere viva la comunicazione.
La maggior parte di coloro che decisero di trasferirsi nei complessi residenziali negli anni Sessanta e Settanta erano in una fascia di età compresa tra i trenta e i quaranta anni. Questa generazione teneva moltissimo alla propria privacy mostrando al contempo una spiccata tendenza a evitare contatti con altre persone. Era innegabile che anche questo fattore contribuisse ad aumentare le barriere psicologiche che dividevano i vicini. Se ci si rifiuta di avere a che fare con la gente, si evitano anche tutti i problemi e i fastidi che derivano dal normale interagire umano. Ma quando si vive in un condominio, ci sono molte situazioni che richiedono necessariamente una certa attenzione e un po’ di cooperazione tra vicini. Senza una base comune di comprensione e di fiducia reciproca, si potrebbe facilmente cadere nella pretesa di volere tutelati solo i propri diritti e le proprie libertà personali, ma all’insorgere di conflitti, non saremmo poi in grado di parlare con gli altri e i problemi inevitabilmente peggiorerebbero, arrivando anche a ritorsioni dannose e spiacevoli.
Naturalmente questo non si verifica soltanto nei grandi complessi, può accadere con frequenza e facilità anche in situazioni più piccole.
Per realizzare una buona convivenza è indispensabile essere capaci di cooperazione, attenzioni verso gli altri, riguardo, buone maniere, sostegno e comprensione reciproca. Una filosofia con una idea ben precisa di ciò che significhi essere “umano” è necessaria per coltivare tutte queste qualità. Il Buddismo è proprio questa filosofia.
Uno dei princìpi fondamentali del Buddismo è l’origine dipendente, che esprime l’interdipendenza di tutte le cose. Questo per sottolineare il fatto che le cause e le condizioni danno luogo a situazioni che sono collegate l’una alle altre. In altre parole, niente può esistere se viene separato da tutto il resto. Tutte le cose esistono in una condizione di interconnessione e influenza reciproca. Allo stesso modo, nessun essere umano può continuare a vivere in completa solitudine, separato dal resto del mondo. Le nostre vite non solo sono interconnesse tra loro, ma sostengono anche quelle degli altri.
I membri della Divisione condomini presero quindi la decisione di trasformare i loro complessi abitativi in cittadelle armoniose. Molti di loro accettarono incarichi come componenti delle associazioni dei residenti per essere utili così a tutti.
La mattina del 7 febbraio 1977, fu mandato un servizio in televisione, dove si faceva vedere che, grazie a un movimento organizzato da una associazione di residenti guidata da una donna, membro della Soka Gakkai, era stato costruito un parcheggio in un complesso residenziale di Senboku New Town (Senboku Città Nuova), una città costi­tuita per lo più da pendolari nei pressi di Osaka. Il parcheggio era pieno di macchine posteggiate a schiera con estrema cura e non si vedeva una sola auto per le strade interne del condominio.
Prima poteva capitare che la viabilità delle strade interne al complesso residenziale venisse bloccata dalle auto in sosta, creando situazioni critiche. Per esempio, nel caso in cui fosse stato richiesto un intervento dei pompieri, il loro camion non sarebbe riuscito ad arrivare a destinazione. Anche se la legge vietava il parcheggio non autorizzato lungo le strade, e sempre per legge era obbligatorio che ogni proprietario immatricolasse anche il posteggio della propria auto, il complesso residenziale disponeva di uno spazio limitato per parcheggiare e chi possedeva una macchina era costretto spesso e volentieri a lasciarla nelle strade del condominio. La polizia li richiamava di frequente, ma era davvero poco quello che potevano fare i residenti di quegli enormi edifici.
In questo contesto, si verificò un evento tragico. Un bambino, mentre correva tra due auto parcheggiate lungo la strada, venne investito da una vettura e trasportato di urgenza in ospedale. La vista della madre di quel bimbo addolorò profondamente una donna appartenente alla Soka Gakkai, che non riuscì a togliersela dalla mente. Pensava tra sé: «È successo proprio quello che tutti temevano, un incidente. Dobbiamo fare qualcosa per il parcheggio all’interno del condominio. Abbiamo bisogno di un posteggio, è fuori discussione». Così portò il suo caso all’attenzione del municipio. Andò anche a bussare a tutte le porte del complesso residenziale, per dare inizio a un movimento per la costruzione di un parcheggio. Alcune persone appoggiarono la causa e collaborarono, ma molti pensarono che la faccenda non li riguardasse affatto, e questo era il risultato della mancanza di comunicazione tra i residenti.
Coloro che cercano di realizzare qualcosa, immancabilmente arrivano a scontrarsi contro barriere inaspettate. Ma una volta raggiunto l’obiettivo, è indubbio che inizia a farsi strada un miglioramento.

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Il complesso residenziale a Yoshikawa-cho, nella prefettura di Saitama, fu inaugurato nel 1973 e vi si trasferirono circa milleottocento famiglie, per un totale di seimila persone, provenienti da tutte le diverse regioni del Giappone. Come sempre, nel caso di nuovi complessi abitativi o di insediamenti residenziali unifamiliari, la comunicazione tra chi viveva lì era piuttosto scarsa. I membri della Soka Gakkai che vi abitavano, tuttavia, si accordarono subito tra di loro su come avrebbero potuto trasformare quel complesso residenziale al più presto in una comunità accogliente e cordiale. Volendo dare una mano in qualunque modo, molti di loro si resero disponibili per essere attivi all’interno della comunità, incluse le associazioni dei residenti. Un uomo diventò un referente degli anziani di quell’enorme condominio, e organizzava regolarmente degli incontri. Si adoperò al massimo per andare a trovare gli anziani nei loro appartamenti e accertarsi del loro stato di salute.
Alcuni membri della Divisione donne, coordinandosi con il centro di salute pubblica e il comune, promossero delle attività volte a tutelare la salute delle giovani madri e dei bambini. Un altro uomo della Soka Gakkai, si adoperò per l’installazione di un semaforo pedonale vicino alla fermata del bus che serviva il complesso abitativo. Tutti si erano impegnati senza risparmiarsi e senza pensare a un tornaconto personale. Erano animati da uno spirito altruistico verso la comunità e dal desiderio di far fiorire il proprio quartiere. Attraverso la fede e la pratica buddista, questi membri della Soka Gakkai avevano sviluppato un atteggiamento e una fede tali da voler contribuire nella società.
Come scrive Nichiren Daishonin: «Se accendi una lanterna per un altro, illumini anche il tuo cammino» (GZ, 1598). Questa è una filosofia che porta a una convivenza armoniosa fra le persone e a credere che aiutando gli altri si aiuta anche se stessi.
Il Daishonin afferma nel Gosho Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese: «Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese» (RSND, 1, 25).
«I quattro quadranti» si riferiscono alle quattro direzioni della bussola e qui si intende il paese e la società, mentre con «tranquillità» si vuole indicare un mondo che è al sicuro e in pace. In altre parole, se ricerchiamo la pace e il benessere personale, allora dovremmo trovare il modo di portare la pace e il benessere anche alle nostre comunità. Le azioni che sono in accordo con questo tipo di pensiero sono rese manifeste dal tipo di vita che conducono i membri della Soka Gakkai.
Il contributo dato in ogni angolo del Giappone dai membri della Divisione condomini risultò straordinario. Il loro impegno volto a diventare cittadini modello e a rendere i loro condomini dei luoghi di cui tutti potevano esserne orgogliosi, fu la forza trainante per lo sviluppo della comunità ed ebbe come effetto un certo avvicinamento tra i residenti. I membri si impegnarono, per esempio, a salutare tutti i vicini con grande cordialità quando si incontravano. Presero anche l’iniziativa di partecipare agli eventi organizzati nella comunità, come le danze tradizionali che si tenevano nel mese di agosto per celebrare la festività di Obon [festa tradizionale buddista durante la quale vengono onorati i morti, celebrata tutti gli anni in Giappone, n.d.r.] oppure preparare le torte di riso per festeggiare il Capodanno. Tuttavia, quel loro modo di mettersi a disposizione degli altri non in tutte le comunità veniva sempre apprezzato.
In un complesso abitativo nella regione del Kansai, molti dei residenti cominciarono a non vedere di buon occhio i membri della Soka Gakkai che facevano volontariato. Alcuni venivano derisi per il loro serio impegno, ma nonostante questo, i membri continuarono a lavorare nelle proprie comunità con entusiasmo; non lo facevano perché volevano essere lodati. Il loro desiderio di contribuire alla società nasceva da un profondo senso di responsabilità: come buddisti avevano deciso coscientemente di adoperarsi per gli altri. In questo anche quando venivano criticati non si sentivano feriti; tutto questo non esercitava nessun tipo di effetto su di loro.
Come scrisse Goethe: «Un grande e onesto sforzo / portato avanti con calma e zelo; / il tempo viene, il tempo va, gioiosamente si innalza fino ai nostri giorni».
I membri della Soka Gakkai fecero del loro meglio per fare la differenza nelle attività in cui si erano impegnati, e, dal momento che i risultati erano sotto gli occhi di tutti, la gente cominciò ad apprezzare i loro sforzi. Alla fine anche i più scettici ne furono conquistati e cominciarono anche loro a collaborare.

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Quelle azioni riuscirono a creare una rete di umanesimo e di amicizia in ogni comunità, trasformando quel diffuso senso di alienazione in armonia, condivisione e comunicazione.

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