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Una nuova luce - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:12

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Una nuova luce

Francesca N.

«Giovedì sera c’è una riunione buddista a casa mia, vuoi venire?». Oggi ho quaranta anni e posso affermare che quella fu la più bella dichiarazione d’amore che un essere umano potesse farmi!

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«Giovedì sera c’è una riunione buddista a casa mia, vuoi venire?». Oggi ho quaranta anni e posso affermare che quella fu la più bella dichiarazione d’amore che un essere umano potesse farmi!

«La vita è buffa!», ma chissa perché quando si sente dire questa frase non ride nessuno.
Fin dall’infanzia mi sono posta una domanda: «Perché sono loro i miei genitori?». Sono cresciuta con i miei nonni entrambi alcolizzati. Ricordo ancora la paura e l’ansia che mi assaliva al tramonto: era l’ora in cui mio nonno rientrava dal lavoro tutte le sere sempre ubriaco. Ogni volta non sapevo cosa sarebbe accaduto, spesso erano grida feroci, bestemmie in slavo, una lingua sconosciuta, che gelava il sangue. Il suo sguardo diventava cattivo, aveva gli occhi color ghiaccio e io rimanevo immobile e terrorizzata. Ho iniziato presto a vedere in profondità il lato oscuro, la sofferenza dell’essere umano. Se tutto andava bene entro mezz’ora sarebbe crollato sul letto. La notte le mie coperte erano umide, piangevo a denti stretti per non farmi sentire, dovevo essere forte e non avere paura. La tendenza a rimuovere velocemente il terrore mi apparteneva fin dalla tenera età. Nuotavo nel mondo d’inferno come un pesce nell’acquario che sbatte la testa agli angoli quando impazzisce. Il karma è formato da pensieri, parole e azioni e la mia mente iniziava ad alimentarsi di pensieri oscuri, che si andavano ad accumulare al mio bagaglio karmico, già pesante di suo.
L’alba era la mia angoscia. Ogni mattina il pensiero di stare con i miei compagni delle elementari mi terrorizzava. Non parlavo mai e, se lo facevo, avevo grosse difficoltà nell’esprimere parole e concetti. L’avessi saputo allora, di essere “perfettamente dotata”! Non sapevo cosa condividere con loro. Quello che imparavo nei miei tristi pomeriggi fra le quattro mura paterne era fare un solitario con le carte ed essere un contenitore della grande sofferenza della mia famiglia. Finalmente alle 19,30 era l’ora della serie televisiva Happy Days e per mezz’ora circa mi perdevo in una famiglia allegra e spensierata. Subito dopo, la telefonata dei miei genitori: «Come stai Francesca?», «Sto bene, ciao». Fuori dalla finestra di quei trentacinque metri quadri di casa, c’era un grande albero che guardavo per ore: il tronco forte, grande, fermo e i suoi rami che proteggevano la finestra dove appiccicavo il nasino e ripetevo: «Dove sono i miei genitori?». Loro erano giovani, belli, sani; perché mi lasciavano lì? Il Gosho di Capodanno afferma: «L’inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (RSND, 1, 1008). Da lì cominciai a fare i conti con questa grande verità. Dov’era il padre di cui ero perdutamente innamorata e dov’era il seno di mia madre quando mi soffocavo con il cuscino pur di non farmi sentire piangere? Dopo le scuole medie partii per una vacanza estiva, era il periodo in cui iniziava a sbocciare la mia femminilità, il momento delicato in cui una bambina si prepara a diventare donna e a sognare il primo bacio. Accettai un invito da un ragazzo che mi piaceva. Che bella la prima passeggiata, il primo lucidalabbra… lui mi portò in una strada chiusa, fermò l’auto di colpo, mi violentò. Il primo bacio non è mai arrivato e tanto meno la passeggiata. L’unica cosa che ricordo è una bambina chinata ad una fontanella nel vano tentativo di strapparsi la pelle con l’acqua!
Passavano gli anni tra anoressia e bulimia, tutta la mia energia era diretta all’autodistruzione. Offendevo la mia vita in modo continuo e atroce, sopravvivevo. Dormivo per giorni interi, non uscivo di casa per mesi. Il prossimo era un nemico, la famiglia un concetto astratto da distruggere.
Iniziai a fare uso di stupefacenti, trovai lavoro in una grande azienda, mi laureai alla facoltà di Economia a Perugia. Ricordo che dopo un esame di diritto, con esito alto, uscii dall’aula nel mondo di Estasi e mi trovai di fronte un ragazzo. Ho impresso ancora il suo volto nella mente, dolce, sereno. Andai verso di lui e lo abbracciai stretto come se non lo vedessi da una vita! Gli sorrisi, un caffè insieme, e durante la conversazione mi chiese: «Come vanno le cose in famiglia?». Ho ancora i brividi: in quel preciso istante, mi sono resa conto che non lo conoscevo più di tanto, ma lui tranquillo mi disse: «Giovedì sera c’è una riunione buddista a casa mia, vuoi venire?». Oggi ho quaranta anni e posso affermare che quella fu la più bella dichiarazione d’amore che un essere umano potesse farmi! La prima volta che ho udito il Daimoku, la mia vita ha trovato la sua casa, lì ho percepito che la mia esistenza era salva, quel suono così familiare era tornato. A quel ragazzo dolce va il mio più grande grazie! Da quel giorno non ho più smesso di praticare, ma continuavo a fare uso di droga. Decisi di ricevere il Gohonzon, ma mi dissero che non era il momento. Quello fu il dolore più atroce. Sentivo per l’ennesima volta che la mia vita subiva un abuso. Non ero pronta a comprendere che era una protezione, una prova per la mia fede, la determinazione di voler continuare a vivere. Passarono anni. Un responsabile a una riunione mi disse in merito all’assunzione di cocaina: «Francesca, le tue azioni non sono coerenti con la fede. Prendi una decisione». Decisi di ricevere il Gohonzon. Dopo una settimana entrai in coma per overdose. Al risveglio tutta la collera esplose e i miei genitori decisero per un ricovero coatto in ambiente psichiatrico. Ricordo farmaci e lucchetti alle porte, ma nella mia stanza, dopo essere stata chiusa a chiave, recitavo Nam-myoho-renge-kyo con un’altra paziente. Fui dimessa ed entrai in una comunità di recupero. Il Daimoku stava iniziando ad agitare la “melma stagnante nel fondo del bicchiere” come cita un esempio buddista che paragona la nostra vita a un bicchiere d’acqua apparentemente pulita ma con il fondo melmoso: quando iniziamo a recitare l’acqua si intorbidisce, portando in superficie ciò che dobbiamo cambiare. Recitai tanto, le forze protettrici si attivarono attorno a me, nella figura di persone stupende, professionali, che hanno curato il mio corpo e la mia anima. Il fango contenuto nel mio bicchiere iniziava a schiarirsi. Vissi in comunità per tre lunghi anni, vennero a farmi visita grandi Budda, come Barbara, verso la quale il mio debito di gratitudine è infinito. Mi affidarono l’omamori, un piccolo Gohonzon, che veniva custodito in cassaforte tutte le sere. Spesso se ne occupava un’operatrice che svolgeva questo gesto con amore. Letizia, questo il suo nome, solo nello scorso dicembre mi ha confidato che da allora recita Daimoku e lo scorso Natale con luce immensa negli occhi mi ha detto: «Quest’anno sono diventata membro!». Avevo il permesso di partecipare a tutte le riunioni, e quello è stato il periodo in cui ho sentito fortemente il sostegno di questa grande famiglia che è la Soka Gakkai. Alle riunioni mi incoraggiavano a praticare, a resistere e a lodare la mia vita! Non mi hanno lasciata mai un attimo da sola. Alla riunione mi accompagnava Claudio che lavorava in comunità e ogni volta che gli chiedevo di entrare lui sorridendo rispondeva: «Su, vai dai Budda che io devo lavorare». Oggi Claudio è membro della Soka Gakkai e responsabile di gruppo.
Tra un laboratorio di scrittura, di musicoterapia e tante lavate di verdura nell’acqua ghiacciata, parlavo della pratica a tutti. Nel luglio 2007 uscii dalla comunità con la mia auto, carica di tante cose e pronta a correre incontro alla vita. Un biglietto dei miei genitori diceva: «Ben rinata Francesca!».
I miei genitori stavano rinascendo insieme a me. Iniziai a fare attività, ripresi a lavorare nella stessa azienda, iniziai a percepire Nam-myoho-renge-kyo in tutti i fenomeni della vita. Mi trasferii vicino a loro. Sentivo che era ora di ripagare il mio debito di gratitudine. Decisi di prendermi pienamente la responsabilità della mia vita e di un gruppo di giovani stupendi e coraggiosi, con le loro sofferenze, belli con le loro risate, grandi nelle loro lotte. Quando li guardo penso a quanto sono fortunata a essere circondata da tanto amore e bellezza, a quanto sia onorata di essere al loro fianco.
Ora il mio interrogativo iniziale: «Perché sono loro i miei genitori?» è risolto. Sono loro perché li ho scelti per trasformare il nostro karma insieme, per arrivare fin qui! Mia madre e mio padre mi hanno dato la possibilità di nascere, permettendomi di donare la mia vita preziosa, risvegliata alla Buddità, a kosen-rufu.
Come mi sento oggi? Come una bambina che vede la vita in 3D, piena di gioia, allegra, innamorata della vita, in attesa del primo bacio…

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