Takahiro Mizukami ha approfondito alcuni testi fondamentali che spiegano come la vita di ciascuno sia degna di rispetto al pari di quella del Budda. Oltre a una lezione sul Sutra del Loto, Mizukami ha commentato i Gosho Il conseguimento della Buddità e L’eroe del mondo
Il 2013 si conferma un periodo di svolte e determinazioni per i membri della Soka Gakkai: oltre alla data verso cui l’intera organizzazione sta guardando e indirizzando le proprie attività (il 18 novembre 2013, giorno dell’inaugurazione della nuova sede centrale in Giappone), quest’anno vede la fine del ciclo del corso di studio europeo iniziato nel 2011. Un percorso cominciato con Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della SGI scomparso lo scorso febbraio, e concluso con Takahiro Mizukami, vice responsabile del Dipartimento.
Il corso si è aperto con il benvenuto dei responsabili europei Hideaki Takahashi e Suzanne Pritchard ai 474 partecipanti provenienti da tutta Europa. Pritchard ha ricordato con gratitudine Saito, sottolineando come il percorso intrapreso con lui abbia gettato le basi per una religione umanistica volta alla realizzazione della pace nel mondo e come egli stesso abbia incarnato lo spirito buddista di vivere come se ora fosse «il mio ultimo istante di vita» e lo spirito di avere un «cuore corretto e saldo al momento della morte».
Lo slogan del corso, “Be a Champion of Victory Toward 18 Nov!” (Siate campioni di vittoria verso il 18 novembre), è stato il filo conduttore delle lezioni tenute da Mizukami, che ha cercato di mettere subito a proprio agio i presenti con un atteggiamento cordiale e disponibile.
Mizukami, cinquantun’anni, giornalista del Seikyo Shimbun, aveva già visitato il continente europeo negli anni ’90 accompagnando il presidente Ikeda.
Durante il corso ha approfondito i due Gosho, Il conseguimento della Buddità in questa esistenza e L’eroe del mondo, e il capitolo del Sutra del Loto Durata della vita del Tathagata.
La felicità, ineguagliabile tesoro
Il conseguimento della Buddità in questa esistenza (RSND, 1, 3) è stato oggetto di studio anche per i membri provenienti da tutta Italia che il 4 agosto sono giunti ad Assago per assistere alla tradizionale lezione con il responsabile del Dipartimento di studio dell’organizzazione.
«Il titolo di questo Gosho significa che in questa vita, anzi in questo preciso momento, possiamo conseguire la grande e suprema condizione vitale di Buddità», ha esordito Mizukami. Nasciamo e moriamo ciclicamente, e le nostre vite ripetono svariate volte le sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte. Ma il Daishonin assicura che si può spezzare la catena di sofferenza in questa vita. Per fare ciò è necessario cogliere “la mistica verità che è originariamente inerente a tutti gli esseri viventi”, Myoho-renge-kyo, e manifestare la condizione di Buddità nella propria vita recitando con fede nel Gohonzon.
“Conseguire la Buddità”, ha spiegato Mizukami, significa manifestare una condizione interiore di felicità assoluta, in cui si gioisce per il solo fatto di essere vivi, in qualunque circostanza e ovunque ci si trovi.
«Ciò non toglie che sia giusto e naturale desiderare anche la “felicità relativa”, legata cioè alle circostanze contingenti, e adoperarsi per realizzarla»: Josei Toda affermava che la religione dovrebbe servire anche a realizzare i propri desideri, come vivere in una casa che piace, avere una famiglia felice, prosperare negli affari e godere di buona salute. In caso contrario, la religione diventa mero idealismo.
«[Se manteniamo la fede] – scrive Josei Toda – chi non ha soldi, li può guadagnare. Chi non ha un fisico forte, può acquisire buona salute. E pur recitando solo per i nostri scopi, ci è garantito di conseguire una condizione vitale di felicità assoluta. So che non state pregando per ottenere la felicità assoluta ma, pur senza desiderarla, la otterrete inevitabilmente. Anche se non la volete».
«Quando ho letto queste parole – ha esclamato Mizukami – sinceramente ho pensato: meno male… Possiamo desiderare anche la felicità relativa!».
Tuttavia è fondamentale l’atteggiamento con il quale si recita Daimoku: se si pensa che la Legge mistica sia al di fuori di noi, non si sta praticando l’insegnamento corretto. Nella pratica quotidiana questo equivale, per esempio, a incolpare gli altri e l’ambiente della nostra infelicità, o a farsi sviare dalle parole e dalle azioni di chi ci circonda. Ma il Daishonin ammonisce con chiarezza: un simile atteggiamento non permetterà di essere protagonisti di un reale cambiamento, né di manifestare la condizione vitale di Buddità.
La cosa importante è sforzarci di credere che “Myoho-renge-kyo è la nostra vita stessa”: credere nel Gohonzon significa credere nel proprio infinito valore e potenziale.
Fedeli a se stessi
In ogni situazione Toda sottolineava l’importanza di rimanere fedeli a se stessi. Il suo punto di partenza era la profonda consapevolezza che la Buddità è la vita stessa e che propagare la Legge mistica nell’Ultimo giorno significa credere fermamente che la nostra vita non è altro che Nam-myoho-renge-kyo.
Ognuno può essere protagonista della propria esistenza. Mizukami ha riportato la storia di un membro della Divisione donne che aveva vissuto fino all’ultimo, dedicandosi alla fede e trasmettendo la Legge mistica. Tre mesi prima di morire la donna lasciò una lettera con il desiderio che venisse letta al suo funerale in cui affermava che «la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo di fronte al Gohonzon è ciò che ci permette di alzarci da soli».
Il Buddismo del Daishonin insegna che la nostra vita racchiude tutto l’universo, anche la Buddità. Ciò che conta quindi è la nostra vita: se perdiamo di vista questo punto fondamentale e dimentichiamo il supremo valore della nostra vita, condurremo un’esistenza debole e servile, subordinata a qualcosa di esterno. In questo modo qualsiasi cosa diventerà “un’infinita e dolorosa austerità”.
Con un’immagine ricca di suggestione, Mizukami ha aggiunto: «L’universo è in movimento, tutto è in continuo movimento. Questo mutamento continuo è stato estrapolato nell’arco di “un attimo” e nella forma di “una misura”: il Gohonzon. In questo senso quando preghiamo di fronte a esso ci colleghiamo a tutti i cambiamenti, e riusciamo a trasformare e a dirigere ogni cosa verso il bene, verso la pace e la felicità».
In questo Gosho Nichiren Daishonin scrive anche: «Sia che tu invochi il nome del Budda, che reciti il sutra o semplicemente offra fiori e incenso, tutte le tue azioni virtuose metteranno nella tua vita buone radici e benefici». In altre parole, la cosa più importante è dedicarsi con un cuore sincero a kosen-rufu, colmi di gratitudine per aver potuto abbracciare il Gohonzon. Come affermava Toda, riuscire o meno a godere nell’eterno futuro di una condizione vitale di assoluta felicità dipende unicamente dall’esistenza attuale. Per questa ragione adesso è il momento di decidere: “Voglio dimostrare la prova concreta della grandiosità della Legge mistica”, “Ora è il momento di lottare fino alla fine per il bene dei compagni di fede e per kosen-rufu“.
«Una donna semplice ha potuto testimoniare che recitare Nam-myoho-renge-kyo e trasmetterlo agli altri è stato la ragione e la gioia della sua vita. Allo stesso modo – ha incoraggiato Mizukami – desidero che ognuno di noi comprenda sempre più profondamente che la grandiosità del Daimoku e della nostra fede si trova nella forza, nella vitalità e nella gioia di “alzarsi da soli”. Mi auguro che ognuno di noi divenga un sole luminoso di saggezza, coraggio e compassione, in modo da avvolgere di luce il luogo in cui vive e tutto il mondo».
Una strada che non si dimentica
«Immaginate che qualcuno riduca in polvere cinquecento, mille, diecimila, un milione, nayuta, asamkhya di mille milioni di mondi, e che poi, muovendo verso oriente, lasci cadere una particella di polvere ogni volta che abbia superato cinquecento, mille, diecimila, un milione, nayuta, asamkhya di mondi» (SDL, 296).
Il numero di particelle di polvere, descritte nel capitolo “Durata della vita del Tathagata” del Sutra del Loto, argomento della seconda lezione, ha lo scopo di solleticare la fantasia di chi lo legge per condurlo a intuire in modo autonomo il tempo infinitamente lontano in cui il Budda ha conseguito l’Illuminazione per la prima volta. Difficile pensare a un tempo infinito, così provare a immaginare una quantità di anni simile, può aiutare a far “trovare la strada” da soli: «Il Sutra del Loto, ha commentato Mizukami, ci aiuta ad aprire gli occhi e a trovare da soli le risposte. È un po’ come arrivare in un posto accompagnati o meno: nel primo caso, senza fare alcuno sforzo, difficilmente saremo in grado di ritrovare la strada. Da soli, magari sbagliando, riusciremo a tornare sulla medesima via». Il modo in cui il Sutra del Loto descrive la vita, la Legge mistica, ha proprio questo scopo: mettere tutti, nessuno escluso, in grado di trovare la strada, di raggiungere la meta, di conseguire la Buddità.
Uno dei punti focali di questa sessione di studio è stato che “il Budda non è altro che un essere umano migliore”, e che “fare la propria rivoluzione umana significa cambiare il modo di vedere le persone”. Due concetti apparentemente semplici che ben riassumono il desiderio del Budda. Il Sutra del Loto spiega che Shakyamuni si è illuminato alla Legge mistica nell’infinito passato, ma fa credere di conseguire l’Illuminazione per la prima volta sotto l’albero di Bodhi affinché tutte le persone si sentano in grado di fare il suo stesso cammino e manifestare la medesima natura illuminata. Naturalmente per fare questo è fondamentale la relazione tra maestro e discepolo: credere, studiare e ricercare il cuore del maestro mette ciascuno nella condizione di manifestare il suo stesso stato vitale. Scritto cinquecento anni dopo la morte di Shakyamuni, il Sutra del Loto abbatte l’autoritarismo e la divinizzazione del Budda, perché seguire il suo esempio, percependo che la vita di ciascuno è sacra e degna di rispetto quanto quella del Budda, non vuol dire omologarsi, ma anzi manifestare il proprio potenziale al massimo, attraverso il proprio carattere, la propria personalità e il ruolo nella società che ciascuno sceglie.
Il ciclo eterno di nascita e morte
«Finché era in vita era un Budda vivente e ora è Budda defunto. Si è Budda sia nella vita sia nella morte. Questa è la profonda dottrina del conseguimento della Buddità nella forma presente» (L’inferno è la Terra della Luce Tranquilla, RSND, 1, 403).
Quando si parla di vita e morte, ogni cosa si complica. Si dice che la paura della morte o comunque il desiderio di darle un senso sia quello che spinge le persone prima o poi a ricercare qualcosa che esuli dal semplice susseguirsi della quotidianità. Cosa vuol dire per un buddista “vita eterna” o “ciclo eterno di nascita e morte”? Anche qui Mizukami ha cercato di tradurre la profondità di certe intuizioni in immagini che potessero semplificarne la comprensione: «Il capitolo “Durata della vita del Tathagata” spiega come nascita e morte siano aspetti intrinseci all’esistenza e pertanto andrebbero vissuti per ciò che sono».
«È importante vivere basandosi sulla Legge mistica fino alla fine della propria vita, perché si è Budda sia nella vita sia nella morte. Vivere nell’orbita della Buddità è un po’ come viaggiare in autostrada su una macchina potente, ammirando il susseguirsi delle varie fasi dell’esistenza».
Nel saggio Rinnovarsi ogni giorno (NR, 371, 10), il presidente Ikeda racconta che nel suo diario giovanile aveva appuntato progetti e obiettivi dai trenta ai sessant’anni di età, perché data la malattia che lo aveva afflitto da giovane, mai avrebbe pensato di vivere più a lungo. Oggi, a ottantacinque anni, il suo desiderio è quello di dedicarsi ulteriormente a kosen-rufu, e parla di come i membri della Soka Gakkai dovrebbero percepire la possibilità di guidare questo movimento “colmi di gioia” per tutti i tre tempi di passato, presente e futuro. In un altro saggio del 2006, Ikeda narra di quando Toda gli parlò del Budda Soka Gakkai: nel capitolo del Sutra del Loto “Bodhisattva Mai Sprezzante” è descritto un Tathagata Re Suono Maestoso e si dice che dopo la sua scomparsa ne apparve un altro con lo stesso nome e che «questo processo continuò finché uno dopo l’altro non furono apparsi ventimila milioni di Budda, tutti con lo stesso nome» (SDL, 354).
Tutti questi Budda hanno salvato gli essere umani per molto tempo. Toda dedusse che la descrizione di questo Budda nel Sutra del Loto potesse essere perfettamente interpretata come un’organizzazione o un “armonioso sangha“.
La vita di ciascuno ha un limite, e un limite lo ha anche ciò che si può realizzare in una singola vita; ma se lo spirito del Budda fosse incarnato in un’organizzazione basata sullo spirito di maestro e discepolo, allora la sua forza, grazie alle attività di tale organizzazione, non si estinguerebbe mai.
Mizukami si è soffermato su questo punto: portare avanti kosen-rufu non riguarda solo il presidente Ikeda, perché i membri della Soka Gakkai sono il Budda di cui parlava Toda.
Questo vuol dire vivere in eterno: continuare a dedicarsi a kosen-rufu fino alla fine.
«Il Budda, ha rassicurato Mizukami, non è colui che ha capito fin dall’inizio ogni cosa o come agire, bensì è colui che attimo dopo attimo si domanda costantemente come aiutare le persone»; come afferma la parte conclusiva del capitolo sedicesimo del Sutra del Loto, che leggiamo quotidianamente in Gongyo: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?» (ibidem, pag. 305).
Vincere significa armonia
Il terzo e ultimo argomento di questo corso di studio è stato il Gosho L’eroe del mondo: «La legge del Budda riguarda principalmente la vittoria o la sconfitta, mentre la legge del re si basa su ricompensa o punizione» (RSND, 1, 741).
Spesso la domanda che sorge spontanea è cosa voglia dire vincere nel Buddismo. Scrive Daisaku Ikeda: «Il mio maestro Josei Toda era solito dirmi: “Fede è la lotta di una persona e dell’umanità contro i propri limiti. Fede è la battaglia della natura del Budda contro la natura demoniaca della vita. In ciò sta il significato dell’affermazione che il Buddismo è vincere o perdere”. Avanzando, è normale incontrare frustrazioni e ostacoli. Quando ciò accade, dovete esprimere il vostro massimo nella recitazione del Daimoku e dovete agire. In questo modo raggiungerete un più elevato stato vitale per poi avanzare nuovamente. Questo impegno continuo è il lavoro della fede. La vostra vittoria sarà determinata dal fatto se in questa lotta con voi stessi, con i vostri limiti e con la natura demoniaca della vita, risulterete vincitori o perdenti» (NR, 105, 16). Cosa vuol dire vincere nelle battaglie quotidiane con se stessi, in famiglia, nel lavoro e nella società?
Scrive Ikeda: «La Legge mistica è un insegnamento di armonia. È la legge fondamentale che abbraccia e dà significato a tutte le cose. La vera vittoria nel Buddismo del Daishonin consiste nel trasformare l’incomprensione in comprensione, il conflitto in fiducia reciproca e la divisione in unità, attraverso il potere della Legge mistica. La vittoria certa per la quale il Daishonin esorta i discepoli a lottare consiste nella realizzazione della propria felicità e di quella degli altri, attraverso il potere armonizzante della Legge mistica» (BS, 146, 46).