Cercare l’Illuminazione in un futuro indeterminato – e non adesso, dentro noi stessi – è frutto di una errata concezione del tempo, come illudersi che le cose in futuro miglioreranno da sole. Per liberarsi da false strutture mentali è basilare comprendere la visione buddista dei tre tempi di passato, presente e futuro
Il cartografo e filosofo greco Anassimandro fu il primo a immaginare che la Terra è un corpo che galleggia nello spazio: «Una delle idee più audaci, rivoluzionarie e portentose dell’intera storia del pensiero umano», disse il pensatore austriaco Karl Popper. Prima di questa intuizione si pensava infatti che il mondo fosse piatto, composto soltanto da cielo e terra così come li vediamo.
La pratica e lo studio del Buddismo richiedono un’operazione simile a quella compiuta da Anassimandro oltre duemilacinquecento anni fa: lasciare la mente aperta a possibilità che ancora non conosce. Un’operazione particolarmente importante perché la maggior parte delle clamorose intuizioni del Buddismo nel nostro sistema di pensiero occidentale non esiste, ed è per questo motivo che nel vocabolario non ci sono parole che possano tradurle. Per esempio, per tentare di rendere il significato di concetti filosofici fondamentali come ichinen, soku, jihi dobbiamo ricorrere a una spiegazione.
Nel caso della concezione temporale del Buddismo, accettando un certo grado di approssimazione, affermiamo che il concetto di tempo è circolare, poiché i tre tempi di passato, presente e futuro fanno capo al singolo istante presente facendovi in un certo senso costantemente “ritorno”. Ma anche solo riuscire a immaginare una cosa del genere è molto difficile, di conseguenza può essere naturale ricorrere al proprio modo di concepire il tempo che, però, non corrisponde alla realtà. Il fisico italiano Carlo Rovelli dice in proposito: «A un livello più fondamentale, la nozione di tempo non serve, anzi, è fuorviante, per descrivere il mondo». Secondo la scienza il tempo non esiste di per sé; ciononostante l’argomento è ignorato dai programmi delle scuole dell’obbligo e se ne trova poca traccia nei palinsesti di divulgazione scientifica dei media. Il parlarne crea imbarazzo a causa della radicata convinzione che il tempo scorra fisicamente: nella nostra percezione corrente la convenzione si è sostituita alla realtà.
Fortunatamente, per cogliere il punto di vista del Buddismo sulla natura del tempo (e anche della scienza, che ha confermato sinora le intuizioni buddiste), non ci è richiesto di studiare fisica teorica quantistica.
Nichiren Daishonin insegna che è l’oscurità fondamentale a impedire la percezione della vera natura dell’esistenza, e che recitare Nam-myoho-renge-kyo con sincerità permette a chiunque di far emergere la saggezza innata della vita, spezzare le catene dell’illusione e afferrare nel proprio cuore l’essenza della realtà e, quindi, anche del tempo. Per ottenere questo risultato, tuttavia, ci si deve armare di spirito di ricerca e assumere un atteggiamento aperto, mettendosi in gioco con tutto il cuore, recitando Daimoku con coraggio, fino in fondo e senza riserve; altrimenti è come se vivessimo ancora nella credenza che la Terra è piatta e, per paura di precipitare nel vuoto, non ci spingiamo oltre le Colonne d’Ercole.
Per evitare che le nuove idee siano bloccate da una visione sbagliata ognuno di noi dovrebbe fare la sua “rivoluzione di Anassimandro”. In questo modo potremo studiare il Buddismo con la vita e imprimere una svolta decisiva alla nostra esistenza.
L’invenzione del concetto di tempo
Il tempo quotidiano è un’invenzione di indubbia utilità. In scienza serve per misurare e per comparare; a noi per sapere quando è il momento di scendere di casa per prendere l’autobus, per dare appuntamento a una persona; per pianificare, progettare, misurare la produttività, scrivere la storia… La lista tende all’infinito, non c’è cosa della vita individuale e collettiva che non sia regolata dal tempo.
Fino a un certo momento storico sono stati i cicli delle stagioni, del giorno e della notte, delle lune e delle maree a regolare il rapporto dell’uomo col mondo circostante; ma con l’evolversi delle scoperte scientifiche e tecnologiche questo rapporto è cambiato e il tempo si è gradatamente separato dai ritmi naturali per assumere vita propria e divenire un concetto astratto a sé stante.
Noi oggi lo utilizziamo per organizzare la vita di tutti i giorni, misurandolo con uno specifico strumento: l’orologio. Ed è anche a causa dell’uso costante degli orari che non ricordiamo più che lo scorrere del tempo è una convenzione: il concetto di tempo è reso ai nostri occhi oggettivo e tangibile proprio dalla sovrapposizione “fisica” con l’orologio.
Per fare un esempio, a una riunione di discussione si parlava delle similarità tra filosofia buddista e scienza; nei primi del Novecento scienziati e filosofi affermavano che il tempo esiste solo in relazione allo spazio, e, che, come spiega anche il Buddismo, il tempo è l’eterno mutare di tutte le cose nel momento presente. A un certo punto una persona un po’ spaventata ha esclamato: «Come sarebbe che il tempo non esiste, e l’orologio?»; nel dire questo, ha agitato il polso mostrando le lancette che avanzavano dimostrando che il tempo passa. Il tempo sembra in costante avanzamento, proprio come l’incedere delle lancette dell’orologio o il procedere delle ore in un display.
In questa visione che potremmo definire del “tempo lineare”, noi concepiamo tre fasi temporali distinte: le cose già accadute (il passato, inalterabile); ciò che deve ancora avvenire (il futuro, inconoscibile); e il momento presente (al quale solitamente si attribuisce minore importanza). In generale siamo portati a lamentarci del passato: se avessi avuto genitori diversi a quest’ora io… se non avessi sposato questa persona oggi sarei… se non avessi avuto quell’incidente o quella malattia… Inoltre, si può tendere a nutrire una speranza di tipo passivo, con obiettivi vaghi, senza termini (questi si chiamano sogni…) per i quali non è possibile arrivare a dimostrare a se stessi e agli altri una prova concreta inequivocabile.
In sintesi, il risultato di tale approccio è che non dà potere alle persone, portandole a non agire nel tempo presente, illudendosi. Quando pratichiamo intrappolati in questo schema mentale, si rimane in attesa di qualcosa che accadrà, derubati della responsabilità sulla nostra stessa vita; cerchiamo l’Illuminazione al fuori di noi stessi, con una grande sofferenza, perché in realtà la nostra vita si gioca nelle azioni che stiamo per compiere in questo momento. Scrive il presidente Ikeda: «Come sarà il futuro? Nessuno conosce la risposta a una simile domanda. Quello che sappiamo è che gli effetti che appariranno nel futuro sono tutti contenuti nelle cause poste nel presente» (Giorno per giorno, esperia, 2011, 7 ottobre).
Trasformare gli effetti del passato
Nelle spiegazioni della Legge di causalità Nichiren Daishonin pone sempre l’attenzione sul presente, e nel Sutra dell’Osservazione della mente come la terra è scritto: «Se vuoi conoscere le cause del passato, guarda gli effetti del presente; se vuoi conoscere gli effetti del futuro, guarda le cause del presente». Ma allora che cos’è il tempo?
Il tempo non è qualcosa che scorre e che causa differenze tra “prima” e “dopo”: il tempo è l’inevitabile cambiamento costante di tutte le cose, che noi percepiamo tramite il variare dello stato vitale in ogni istante. «L’orologio – afferma Daisaku Ikeda – può indicare che è passata solo un’ora, ma durante questo intervallo uno può aver vissuto, in termini di ritmo vitale, per dieci ore. […] Quello che percepiamo è il flusso della nostra energia vitale» (La vita mistero prezioso, Bompiani, 1999, pag. 75).
Detto questo, che ne è del passato e del futuro?
Riguardo al passato, innegabilmente quel che è già accaduto ci influenza. Per esempio, un criminale che si trova in prigione, anche praticando il Buddismo non può cambiare quel che ha fatto oppure evitare di scontare la pena. Una persona che ha perduto un familiare non può riportarlo in vita, o far sì che il crack finanziario che lo ha rovinato non sia mai esistito. Noi non possiamo cambiare in alcun modo quello che è già accaduto, ma possiamo trasformare, in maniera inimmaginabile, i suoi effetti nel presente attraverso la pratica. Per esempio, in una intervista un’atleta paralimpica con un forte handicap dovuto a un incidente ha ringraziato la vita per averle dato l’occasione di potersi sfidare, e sperimentare così uno stato vitale meraviglioso: ha trasformato cioè una grande sofferenza in una fonte di gioia profonda. Il mondo è pieno di esempi simili: il Buddismo spiega che questo è proprio il corretto modo di affrontare il passato e che dovremmo farlo nostro. Inoltre, recitando Daimoku con tutto il cuore e facendo emergere la Buddità, tramite la fede tutto il nostro passato, positivo o negativo che sia, da quel momento inizia a contribuire alla nostra felicità presente.
E il futuro? Governarlo significa essere padroni del nostro stato vitale adesso, in questo momento, liberi di esprimere noi stessi al massimo potenziale umano possibile, in armonia con l’ambiente circostante e senza esserne fuorviati, traendone anzi vantaggio per la crescita personale. Il Buddismo mette in grado ognuno di noi di guidare il proprio cambiamento personale in ogni istante, di essere cioè maestri della nostra mente e cambiare il proprio futuro (vedi riquadro a pagina 19).
Per fare un esempio, nella visione che abbiamo ribattezzato “del tempo lineare”, la differenza tra una mela acerba e la stessa mela matura la spieghiamo così: mela acerba + tempo che passa = mela matura.
Nel Buddismo, invece, ciò che separa la mela matura dalla mela acerba non è lo scorrere del tempo, ma il cambiamento interno della mela, in relazione con il sole, la terra e l’acqua. Allo stesso modo, non è il tempo che passa che ci cambierà, ma sarà la trasformazione concreta all’interno di noi stessi in questo istante, in relazione al nostro ambiente attuale, a indirizzare la nostra vita. Gli obiettivi non si realizzano nel futuro ma adesso, in noi stessi, elevando lo stato vitale con il Daimoku e trasformando la sofferenza prima di tutto dentro di noi.
L’ichinen, la motrice di un TIR
In sostanza la percezione del tempo nel Buddismo è l’espressione della nostra parte più profonda (ichinen, una delle nostre parole intraducibili, che indica la mente in ogni istante presente), una sorta di sintesi fra la nostra forza vitale e il nostro obiettivo fondamentale.
Con una metafora, immaginiamo l’ichinen come la motrice di un autoarticolato, un TIR che rappresenta la nostra vita. La motrice viaggia in una certa direzione e con una certa velocità, ed è fondamentale per il TIR poiché è lei che lo muove.
Che ne siamo consapevoli o no, è il profondo di noi stessi, ciò che davvero desideriamo, a indirizzare la motrice, ovvero il nostro ichinen; uno degli effetti benefici della pratica buddista è proprio quello di riuscire a “vedere” che cosa c’è veramente nel nostro cuore per poterlo cambiare. Questo perché se ciò che desideriamo è in sintonia con l’intenzione del Sutra del Loto, i nostri desideri saranno naturalmente realizzati. Tutti noi siamo nati per essere felici assieme alle altre persone: se manca una delle due condizioni (il desiderare la nostra e l’altrui felicità), non riusciamo a far emergere lo stato vitale della Buddità (cfr. BS, 137, speciale “È il cuore che è importante”). Per questo è indispensabile sapere che cosa c’è nel nostro cuore: Nichiren Daishonin spiega che «nessuna preghiera di un devoto del Sutra del Loto rimarrà senza risposta», e non che tutti i nostri desideri egoistici saranno realizzati come se il Gohonzon fosse la lampada di Aladino. Questa è un’illusione.
Per tornare alla metafora del TIR, possiamo cambiare inoltre a nostro piacimento la potenza della motrice recitando Nam-myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon; l’altro immenso beneficio della pratica buddista è di poter cambiare in ogni momento il nostro stato vitale per il principio del mutuo possesso dei dieci mondi.
Questo significa che soltanto trasformando lo stato vitale tramite la fede e direzionando la nostra energia (o mente, o cuore) verso ciò che desideriamo, possiamo influire sulla direzione del cambiamento costante di ogni cosa.
Il valore di un singolo istante di vita
Un recente film di fantascienza racconta di un futuro in cui il valore economico di scambio (la moneta) è il tempo. In breve, ogni persona ha in sé un timer bioelettronico che gli permette di “ricaricarsi” di tempo da vivere “guadagnandolo” con il lavoro, e se il timer si azzera la persona muore all’istante. La benzina si paga in giorni e il mutuo in mesi di vita; la gente comune vive correndo sul filo dei minuti, rischiando continuamente di morire, mentre i ricchi possiedono secoli e possono fare tutto molto, molto lentamente. Il film aiuta a riflettere sul nostro modo di intendere e spendere il tempo, che in questo caso corrisponde letteralmente alla vita; il tempo ha di conseguenza un valore inestimabile, proprio come spiega la filosofia buddista.
Noi abbiamo la possibilità e la responsabilità di scegliere come usare il tempo, ma a differenza del film non sappiamo quanto ci rimane da vivere. Così può succedere di dilapidarlo, inconsapevoli del suo valore e significato, oppure di esserne schiavi, soccombere alla paura di morire e attaccarsi ossessivamente al presente.
Abbiamo visto che il tempo nel Buddismo è centrato sul singolo istante presente e che corrisponde all’energia vitale, alla vita stessa; e nella vita è compresa anche la morte. Vita e morte sono inseparabili, sono le manifestazioni della realtà essenziale, che invece è eterna. Nel Buddismo, l’eternità corrisponde al singolo istante di vita o ichinen.
Nel Buddismo non c’è nessun’altra possibilità di scelta, nessun miracolo, nessuna scorciatoia: tutto è determinato dalla nostra mente (o cuore) in ogni istante (ichinen).
L’ichinen è invisibile, ma la sua trasformazione in una persona è rivelata dall’aspetto e dal comportamento: si manifesta in una determinazione incrollabile, una forte preghiera, una azione instancabile e una gioia profonda prima, dopo e durante la realizzazione dei propri desideri. Inoltre, quando l’ichinen si trasforma, istantaneamente ogni cosa nel nostro ambiente si mette a lavorare in direzione del cambiamento che desideriamo. In questo senso, il passato e il futuro sono totalmente nelle nostre mani.
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La conquista interiore del tempo
Diventare maestri del proprio cuore e della mente è il modo per costruire l’esistenza più felice: questo è ciò che spiega Daisaku Ikeda nella famosa lezione sul Conseguimento della Buddità in questa esistenza
La nostra mente muta costantemente, ma quando sconfiggiamo la nostra oscurità interiore o ignoranza attraverso una forte fede che si manifesta nella recitazione del Daimoku, la verità mistica innata appare dentro di noi e la vita di Myoho-renge sboccia nel nostro cuore. […]
Se seguiamo la mente illusa delle persone comuni – che tende a essere debole e facilmente sviabile – il nostro potenziale interiore può rapidamente inaridirsi o, ancor peggio, possiamo soccombere a impulsi negativi e distruttivi. È un problema che origina dai sottili meccanismi di funzionamento della mente. Poiché la nostra mente è la chiave per il raggiungimento della Buddità in questa esistenza, dobbiamo superare questa forma di debolezza interiore. Questo è ciò a cui serve, soprattutto, la pratica buddista. La mente illusa delle persone comuni vacilla costantemente, non dobbiamo farne la nostra base o la nostra guida.
Il Daishonin sottolinea questo punto nel famoso brano in cui dice di «diventare maestri del proprio cuore e non fare del cuore il proprio maestro», tratto dal Sutra delle sei paramita secondo il quale: «La nostra mente può uscire improvvisamente dal nostro controllo. Perciò dobbiamo domarla come un elefante selvaggio non permettendole di essere la nostra maestra ma cercando piuttosto di guidarla noi». Anche nel Sutra del Nirvana c’è un’affermazione simile: «Prego perché diventiate maestri della vostra mente e non lasciate che essa sia la vostra maestra». È un ammonimento che il Daishonin ribadisce più volte, facendone una direttiva di fede per i suoi discepoli. […] Vivere così significa “prendere rifugio nella Legge”, l’ultima esortazione che fece Shakyamuni ai discepoli prima di morire. (BS, 119, 52-53)
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Ichinen, tutta la vita in un istante
Questo, in sostanza, il concetto che l’allora responsabile del Dipartimento di studio della SGI Katsuji Saito spiegò al corso di studio tenuto nel 2009. Gli effetti del passato e del futuro possono modificarsi in un istante perché ogni istante presente compenetra l’universo stesso
La Legge di causa ed effetto che opera attraverso le tre esistenze di passato, presente e futuro esprime una visione dell’esistenza dove tutto scorre in base al tempo e, sebbene tale visione contenga l’idea della potenzialità del cambiamento, porta facilmente a cadere nell’inganno del determinismo o della predestinazione. Consideriamo invece i princìpi del mutuo possesso dei dieci mondi e quello di ichinen sanzen (tremila condizioni in un istante di vita), che rivelano il principio mistico per il quale la vita nell’istante presente (ichinen) compenetra tutto l’universo.
Secondo il principio del mutuo possesso dei dieci mondi, una vita in un istante può passare dal mondo di Inferno al mondo di Buddità. Perciò l’essenza di questa teoria è la trasformazione della condizione vitale, il “potenziale di trasformazione della vita presente”. La teoria di ichinen sanzen, che afferma che tutto l’universo (sanzen) è insito nella vita (mente, cuore) dell’istante presente (ichinen), esprime ancora più precisamente l’enorme influenza che ha la nostra condizione vitale nell’istante presente. Entrambi questi princìpi esprimono il potenziale di trasformazione della vita nell’attimo presente (ichinen), cioè la “trasformazione dell’ichinen“. Ponendo al centro della Legge di causa ed effetto che opera attraverso le tre esistenze di passato, presente e futuro la trasformazione della nostra vita nell’istante presente, cioè la trasformazione del nostro ichinen, possiamo trasformare il nostro karma. Dunque al centro della trasformazione del karma ci sono due elementi: il presente e il cuore dell’essere umano.
Per riassumere, nella teoria della trasformazione del karma il punto cruciale non è la teoria generale della causalità deterministica che va dal passato al presente al futuro, bensì il potenziale di trasformazione insito nell’essere umano che vive nel presente e costruisce istante per istante il suo futuro. […] Un altro aspetto riguarda la possibilità di “sradicare tutte le offese” attraverso la trasformazione dell’ichinen dall’oscurità fondamentale alla fede nella Legge mistica, in altri termini la possibilità di cancellare il potere di influenza del cattivo karma delle vite passate. L’espressione “cancellare” non significa che il comportamento o le azioni fatte nelle vite passate vengono cancellati, ma che viene cancellato il loro potere di influenza. […] Per questo il Daishonin scrive: «Le sofferenze dell’inferno svaniranno immediatamente». Nel momento in cui il nostro cuore in balia dell’oscurità si trasforma in un cuore che crede, tutte le offese derivanti dall’ignoranza fondamentale e dall’offesa alla Legge delle vite passate vengono cancellate e le sofferenze vengono del tutto sradicate. La cosa più importante, dunque, è che le “sofferenze dell’inferno” svaniscono in questa vita presente. Questo è il grande beneficio derivante dalla “trasformazione dell’ichinen“. (BS, 137, 30-31-35)
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Mente, cuore, vita: Un concetto difficile da esprimere
Un unico ideogramma per esprimere concetti così diversi fra loro, almeno nella cultura occidentale dove la mente e il cuore stanno spesso agli antipodi
Mente, cuore, vita. Tre parole che nella nostra lingua possono indicare concetti anche molto diversi ma che spesso corrispondono, in particolare nei testi buddisti, allo stesso carattere giapponese: kokoro (o shin, che corrisponde alla seconda lettura dello stesso carattere).
[…] Kokoro o shin in generale indica contemporaneamente sia la mente che tutte le attività umane di cui essa sarebbe il centro, non solo quindi del pensiero e della volontà ma anche dei sentimenti […], la fede o la fiducia, la determinazione, il coraggio, la compassione ecc., sono altre espressioni con cui spesso questo termine viene tradotto.
Anche se in italiano è stato reso a volte con il termine “cuore”, non risulta che vada mai interpretato come “cuore” nel senso di “sede dei sentimenti” separatamente da “mente” intesa come “sede del pensiero”, ma piuttosto in termini di “vita” che può essere profondamente diretta verso la Legge o verso l’errore. Prendiamo ad esempio la seguente affermazione di Daisaku Ikeda: «Buddismo è vincere o perdere, ma cosa esattamente ci permette di vincere? È il nostro cuore, la nostra mente. Tutto dipende dal fatto che il nostro cuore si trovi dalla parte della Legge corretta e non dell’errore. Quando il Daishonin afferma che il Buddismo riguarda la vittoria o la sconfitta sta riferendosi a questa lotta che avviene nel profondo del nostro cuore» (MDG, 2, 287). […] Sappiamo che nella nostra vita esiste l’illusione fondamentale od “oscurità fondamentale”, che non è altro che ignoranza della Legge mistica [o il suo rifiuto] o mancanza di fede in essa. Come abbiamo visto (cfr. pag. 38), questa oscurità che offusca la nostra vita sparisce nel momento in cui la natura buddica si manifesta. Come il buio dentro una stanza scompare appena entra un raggio di luce, così l’oscurità si dissolve di fronte alla luce della saggezza.
Per questo la nostra condizione vitale può essere trasformata immediatamente.
E qui sta il punto: il passaggio dall’oscurità alla saggezza avviene dentro il cuore. Per questo il cuore è così importante. Secondo il principio della “simultaneità di causa ed effetto” questa trasformazione che avviene nel cuore è immediata. […] il Buddismo di Nichiren insegna che noi, così come siamo ora, possiamo trasformare il karma e conseguire la Buddità grazie al principio chiave della “trasformazione dell’ichinen“. Ed è questa trasformazione dell’ichinen nel nostro cuore la chiave da cui parte la nostra rivoluzione di esseri umani che vivono nella società di oggi. (BS, 119, 48)