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Una bella famiglia - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:17

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Una bella famiglia

Antonella Pescini, Tavarnelle Val di Pesa (FI)

«Bene! Ne beneficerà la mia carriera!», penso; invece, mi ritrovo con più lavoro e meno tempo libero. Mi viene proposta la responsabilità di gruppo, che accetto volentieri. Il gruppo cresce, si divide e insieme crescono anche i miei figli: l’adolescenza si avvicina con tutte le gioie e le sofferenze che comporta

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«Bene! Ne beneficerà la mia carriera!», penso; invece, mi ritrovo con più lavoro e meno tempo libero. Mi viene proposta la responsabilità di gruppo, che accetto volentieri. Il gruppo cresce, si divide e insieme crescono anche i miei figli: l’adolescenza si avvicina con tutte le gioie e le sofferenze che comporta

Pratico il Buddismo dal 2004, spinta da una crisi matrimoniale: due figli piccoli venuti da lontano e, unica prospettiva, la separazione. Ho impiegato un anno per capire che mi dovevo affidare completamente al Gohonzon e, attraverso il Daimoku, il sostegno dei miei compagni di fede e l’attività per gli altri, ho compreso che tutto dipende da me. Quindi mi sono messa in discussione e ho aperto la mia vita e il mio cuore a colui che oggi, dopo quasi vent’anni di matrimonio, è ancora mio marito, maturando il desiderio di camminare insieme e di crescere con i nostri figli.
Il tempo passava e la mia vita, come la mia pratica, era fluida, regolare: Gongyo mattina e sera, riunioni di discussione, recitazioni. Cercavo di essere una brava mamma, una brava moglie, una brava figlia: doveri che sentivo forti, ma a volte pesanti. Pur avendo una bella famiglia e un buon lavoro, una strana “uggiolina” strisciava silenziosamente dentro di me. Nel frattempo l’azienda dove tuttora lavoro si trasferisce e il tempo per gli spostamenti triplica: dovevo alzarmi almeno mezz’ora prima e la sera arrivavo a casa un’ora dopo.
Recito Daimoku e chiedo di spostarmi in un’altra società del gruppo, così da poter tornare nella sede precedente, ma i miei capi non hanno nessuna intenzione di mollarmi: sono “una risorsa preziosa” e mi affidano ulteriori incarichi. Il mio “piccolo io” gongola: «Bene! Ne beneficerà la mia carriera!», penso; invece, mi ritrovo con più lavoro e meno tempo libero. Mi viene proposta la responsabilità di gruppo, che accetto volentieri. Il gruppo cresce, si divide e insieme crescono anche i miei figli: l’adolescenza si avvicina con tutte le gioie e le sofferenze che comporta. Continuo a praticare con costanza e determinazione col desiderio di usare la mia vita come prova concreta di Nam-myoho-renge-kyo, seguendo l’esempio dei tre maestri della Soka Gakkai. Nel frattempo sul lavoro non si muove niente. So di essere capace, cosa confermata anche dai miei superiori visto che mi offrono l’occasione di partire con un progetto pilota di telelavoro, cioè la possibilità di lavorare da casa, perché sono corretta e affidabile. Di nuovo il mio “piccolo io” esulta. Ci penso, recito Daimoku, ringrazio per la stima e la fiducia, ma rifiuto. Pretendo una promozione: anche se solo cinquanta euro lorde in tutto, sono comunque un riconoscimento tangibile.
Il tempo passa: Tavarnelle, Firenze, Roma. Roma, Firenze, Tavarnelle. I ragazzi crescono: quattordici anni lei, quindici lui e i disagi dell’adolescenza diventano sempre più marcati. Recito Daimoku per stare comunque bene, leggo gli incoraggiamenti che il presidente Ikeda rivolge ai giovani e mi accorgo che quelle inquietudini giovanili sono normali. Mi tranquillizzo e decido di impegnarmi a sviluppare fiducia nei loro confronti; intanto finisce l’anno scolastico. Irene, che frequenta la Divisione futuro, supera bene l’esame di terza media e Tommaso, invece, raccoglie i frutti di un anno vissuto male e viene bocciato. L’insoddisfazione si fa sentire di nuovo: dove abbiamo sbagliato? Siamo due genitori presenti, in famiglia c’è dialogo e io continuo a recitare Daimoku cercando di vederli diventare preziosi giovani di valore, come ci insegna il presidente Ikeda.
L’estate scorsa un grave episodio mise a dura prova la nostra famiglia. Una domenica mattina veniamo svegliati dai carabinieri: la mia macchina, rinvenuta a dieci chilometri di distanza, è cappottata e distrutta. Nessuno dentro, nessuno ha chiamato i soccorsi, eppure chi era a bordo deve essersi fatto male. Sospettano una bravata da ragazzi. Controllo dove solitamente metto le chiavi e non ci sono. Corriamo in camera dei ragazzi. Tutto tranquillo, dormono. Sveglio Tommaso, già tumefatto e incerottato a causa di un altro incidente del giorno prima, in motorino.
Incoraggiati dai carabinieri cerchiamo di approfondire l’accaduto e nel pomeriggio mio figlio confessa di aver preso la macchina con altri due amici. Nello sconcerto penso subito a quanto siamo stati protetti, l’auto è completamente distrutta – impossibile uscirne incolumi -, ma nessuno si è fatto male. Con mio marito prendiamo atto che dobbiamo rimboccarci le maniche e vedere cos’altro c’è da cambiare nella nostra vita: potevamo accusarci l’un l’altro, ma siamo rimasti uniti, certi che insieme saremmo diventati più forti. Recito Daimoku e affrontiamo tutto con fermezza, perfino quando il maresciallo cerca di spaventarci dicendo che il Tribunale dei minori potrebbe mettere in discussione l’adozione e portarceli via perché ritenuti incapaci di gestire la situazione. Chiediamo aiuto a un counselor e tutti e quattro iniziamo un bel percorso sostenuto da Daimoku e studio. Intanto il settore in cui faccio attività muove i primi passi per portare la mostra Senzatomica compact, una versione ridotta dell’esposizione originale, nel comune di Tavarnelle. Decido che questa esperienza si trasformi in un passo avanti per kosen-rufu e la mia sofferenza manifesta finalmente il suo nome: paura. Paura di essere inadeguata, paura di non essere accettata come mamma adottiva, di venire rifiutata.
In quel momento, davanti al Gohonzon, ho capito che il timore che i miei figli si sentissero rifiutati in realtà era la mia paura di essere rifiutata. Dopo un primo attimo di disorientamento ho provato una gratitudine infinita per quell’apparente insormontabile difficoltà. Gratitudine per i miei figli e per le loro mamme lontane che hanno avuto il coraggio di compiere un atto d’amore e che, anche loro, fanno parte della nostra famiglia. Recito Daimoku per la loro e la nostra felicità, fosse anche quella di ritrovarsi un giorno tutti insieme. E così si è sciolto il terrore di perderli e quel sordo malessere ha lasciato finalmente il posto all’amore.
Il percorso con i counselor continua. Ogni tanto i ragazzi recitano Daimoku con me. Ora siamo più uniti che mai. Tommy ha cambiato scuola, adesso frequenta agraria, gli piace e i risultati sono buoni: «Un ragazzo con la testa sulle spalle», ci dicono i professori. Irene sogna la musica e, dopo aver sostenuto una severa selezione, frequenta il liceo musicale.
Tornando al mio lavoro, una volta rimasta senza auto, uso i mezzi pubblici: mi alzo alle 5.45 e a malapena riesco a fare Gongyo, ma in pullman faccio amicizia con persone incredibili e racconto loro di come sia possibile, abbracciando la Legge mistica, trasformare le difficoltà in grandi occasioni. Spesso Giovanni, il mio corresponsabile, prende il mio stesso pullman e parliamo delle attività, anche se il tempo da dedicare a me, alla famiglia e ai miei compagni di fede è sempre meno. Continuo a impegnarmi al massimo nella pratica e nello studio, sostengo l’esame del Dipartimento di studio del secondo livello quando, improvvisamente, mentre recito davanti al Gohonzon mi rendo conto che ho fatto della mia promozione il mio “oggetto di culto” perdendo di vista il vero obiettivo: migliorare la qualità della mia vita.
Eccomi a fine anno, tempo di premi e promozioni. Il mio superiore, mortificato, mi dice che la proposta di avanzamento che ha presentato per me non è stata accettata. In quel momento ripenso all’offerta per il telelavoro fattami l’anno prima e chiedo se è sempre valida, ma la risposta è negativa. Ho perso la mia occasione.
Torno a casa e mi metto a recitare Daimoku senza pensare, mi affido. Dato che uno dei significati di kyo è azione, il mattino seguente inoltro comunque la richiesta di telelavoro. Esito un secondo, schiaccio “enter” e con quell’invio schiaccio l’ostinato attaccamento a quella promozione. Respiro: ho già vinto. In dieci giorni arrivano tutte le autorizzazioni e l’accordo da firmare, lo leggo e quasi non ci credo: fra rimborsi e altri benefit la mia retribuzione aumenta di quasi centocinquanta euro mensili… tre volte il valore della promozione! A marzo ho iniziato questa nuova avventura: tre giorni a casa e due in ufficio. Le ore risparmiate per il pendolarismo le offro mettendo a disposizione la nostra casa tutti i giorni per la recitazione. Quando i ragazzi rientrano da scuola io ci sono e posso anche assistere i miei genitori prendendomene cura come loro avevano fatto con me.
Di nuovo gratitudine nei confronti di sensei, che ci incoraggia con il suo esempio e della nostra organizzazione, che ci supporta con le tante occasioni di attività, tra le quali la possibilità di inaugurare Senzatomica compact proprio a Tavarnelle, primo comune in Italia (vedi NR, 512, 23).
I miei responsabili mi sono sempre stati vicino, e tutto questo non sarebbe stato possibile senza mio marito che mi ha sempre sostenuta prendendosi cura dei ragazzi quando ero impegnata nell’attività, aprendo la nostra casa per le riunioni e raccontando, lui per primo, come sia cambiata la nostra vita con il Buddismo.

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