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Tutto il mondo è la mia casa - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:25

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Tutto il mondo è la mia casa

Aida Allushi, Castiglione del Lago (PG)

Il beneficio più grande è stata la trasformazione del mio cuore e l’aver fatto il voto di realizzare kosen-rufu. Ogni mia sfida è indirizzata in questa direzione, proprio come la frase del capitolo “Durata della vita del Tathagata”: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?»

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Il beneficio più grande è stata la trasformazione del mio cuore e l’aver fatto il voto di realizzare kosen-rufu. Ogni mia sfida è indirizzata in questa direzione, proprio come la frase del capitolo “Durata della vita del Tathagata”: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?»

Ho partecipato al primo incontro buddista il 9 giugno 2010. Separata da un anno, mi sembrava di essere in una campana di vetro: tutto quello che facevo non lo “sentivo” davvero e la cosa che mi faceva urlare dentro era che non mi godevo pienamente mio figlio. Andavo al lavoro, tornavo a casa e mi domandavo spesso: «Tutto qui? È tutta qui la vita?».
Iniziai a recitare subito Nam-myoho-renge-kyo: sentivo che qualcosa cambiava nelle mie reazioni e mi piaceva. Cominciai a sognare una casa, un progetto che mi stimolasse. Vedendo che la mia esistenza rifioriva, dopo cinque mesi decisi di ricevere il Gohonzon.
Recitavo costantemente un’ora e mezzo al giorno, a volte due e, poco dopo aver ricevuto il Gohonzon, riuscii a comprendere il vero motivo della mia sofferenza e dei miei fallimenti: il profondo disprezzo che nutrivo verso me stessa e di conseguenza il non meritare niente. Non fu facile: fino ad allora avevo sempre negato tutto, ma adesso era il momento di cambiare. Dall’età di dieci anni avevo subito violenze da parte di un parente e non potendo confidarmi con nessuno, nella mia mente di bambina provavo vergogna e senso di colpa. Nella mia famiglia si parlava solo di lavoro: i miei avevano ruoli dirigenziali e il senso del dovere era molto forte. Crescendo, aumentava anche il disagio e studiavo con senso di rivalsa nella speranza di ottenere un po’ di considerazione, perché mi sembrava che gli altri fossero sempre migliori di me.
All’età di vent’anni ero riuscita a trasferirmi all’Università di Perugia. Finalmente sola e lontana da tutti. Ma dopo due anni, per problemi finanziari, avevo cominciato a lavorare tralasciando l’università e non sapendo come affrontare le tante difficoltà avevo deciso di accettare l’appoggio di un amico che divenne poi mio marito, scambiando la riconoscenza nei suoi confronti per amore e abbandonando l’università. Durante il matrimonio, ancora una volta mi ero trovata di fronte al dovere, alla costrizione e ai ricatti. Me ne ero andata dall’Albania perché volevo cominciare una nuova vita e mi ritrovavo punto e a capo.
Decisi di credere davvero nella mia Buddità: la sofferenza per la mancanza d’amore verso me stessa era enorme. Recitavo Daimoku e piangevo, ma non mi fermavo perché mi era chiaro che dovevo passare da lì. Mi incoraggiava tanto quella frase di Daisaku Ikeda: «Più buia è la notte, più vicina è l’alba». Ho capito che dovevo essere io a cambiare, dovevo trasformare quella forza negativa che mi ancorava alla sofferenza nella determinazione di vincere. Studiavo il Gosho Risposta a Kyo’o: «Si dice che il leone, re degli animali, avanzi di tre passi, poi si raccolga su se stesso per saltare, sprigionando la stessa potenza nel catturare una piccola formica o nell’attaccare un animale feroce. […]. Credi profondamente in questo mandala. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone» (RSND, 1, 365).
Le cose intorno a me iniziarono a cambiare: il rapporto con mio figlio era pieno di gioia e lui migliorava in tutti gli aspetti della sua vita. Dal punto di vista professionale ero in continua crescita, sia in termini di responsabilità sia economici. Una collega, che da tempo agiva contro di me alle mie spalle aveva iniziato palesemente a calunniarmi. Mi fu consigliato di recitare Daimoku per la sua felicità, e così feci. Più recitavo e più il problema si accentuava, ma io riuscivo a non farmi coinvolgere emotivamente. Tutto si risolse quando fece una scenata pazzesca di fronte a colleghi e clienti senza accorgersi di essere ascoltata anche dai proprietari, che decisero di licenziarla. Con la mia tranquillità ero diventata un punto di riferimento per i colleghi, tanto che mi offrirono un contratto a tempo indeterminato. Pensai che finalmente potevo comprarmi una casa e mi attivai per ottenere il mutuo; ma c’era sempre qualcosa che mi impediva di andare fino in fondo. Intanto la casa in cui ero in affitto era sempre aperta per le attività. Mi alzavo ogni mattina alle cinque per recitare due ore di Daimoku prima di preparare mio figlio e andare al lavoro. Un giorno, mentre recitavo per trasformare anche il rapporto con il mio ex marito, da tempo in separazione giudiziaria, sentii dal profondo del mio essere che dovevo affidarmi al Gohonzon e provai un senso profondo di liberazione. Il rapporto con il mio ex marito migliorò tanto che arrivammo alla separazione consensuale.
Parlavo a tutti del Buddismo: alle mie sorelle, incuriosite dal mio cambiamento, ai miei genitori, che ne apprezzavano la filosofia. Decisi così di offrire una prova concreta alla mia famiglia. Sentivo una profonda gratitudine per la Soka Gakkai e anche per questo ho sempre contribuito con l’offerta; inoltre recitavo Daimoku con l’obiettivo di dedicare la mia trasformazione allo sviluppo di kosen-rufu.
Quando a ottobre 2011 partecipai alla riunione europea a Roma per ricordare il cinquantesimo anniversario della visita di sensei nel nostro continente, vidi la bandiera albanese… Da tempo mi chiedevo se in Albania qualcuno praticasse il Buddismo, anche se da quando ero venuta in Italia mi sentivo distante dalla mia terra. Quel giorno si sciolse qualcosa dentro di me: il mio cuore batteva di nuovo per il mio paese d’origine e, per la prima volta, sentii una profonda gratitudine per i miei genitori, che mi avevano dato la vita e per tutto quello che avevano fatto per me, tanto che sentii il bisogno di chiamarli per ringraziarli. Non abituati al mio calore, mi chiesero: «Va tutto bene?». Da tempo riflettevo sulla frase del Gosho che spiega: «L’inferno sta nel cuore di colui che disprezza suo padre e non si prende cura di sua madre» (RSND, 1, 1008). La mattina dopo mentre recitavo Daimoku percepii con chiarezza la mia missione per kosen-rufu, ma non sapevo come realizzarla. Di lì a poco sono entrata in contatto con Micol, un’italiana che vive e pratica in Albania. Ero felicissima. Sono andata a Tirana, dove ho partecipato a un meeting con i membri albanesi. Con Micol abbiamo deciso di tradurre tutto il materiale necessario e condiviso l’obiettivo di far sviluppare la Soka Gakkai locale. Così è iniziata una nuova avventura: per tradurre ogni giorno gli incoraggiamenti del presidente Ikeda mi alzavo ancora prima, recitavo un’ora e mezza di Daimoku, traducevo per un’altra ora e mezza. Lavoravo dieci ore, mi occupavo di mio figlio e facevo attività. Ogni giorno.
Le traduzioni sono state l’occasione per studiare e rafforzare la mia fede e il legame con il presidente Ikeda: mi sentivo vicina a ogni sua parola. Quando ho deciso di lottare sviluppando l’atteggiamento di cui ci parla, ho preso decisioni cruciali per la mia vita. Desidero tanto che in Albania si diffonda il Buddismo del Daishonin; il paese dal quale sono scappata dove è radicata l’idea di dover soffrire e sopportare, specialmente nelle donne, adesso è il paese verso il quale ho un debito di gratitudine.
Tutti questi sforzi mi hanno permesso di affrontare la tendenza che si manifestava nei rapporti con gli uomini, ossia di essere usata. Ho deciso di creare un io forte e indipendente. Anche se non ero alla ricerca di una relazione, ho conosciuto un uomo con cui ho sentito subito un’armonia bellissima. L’amicizia è diventata amore basato su rispetto e stima. Lui vive in Colombia e io, per stare con lui, ho dovuto viaggiare tanto affidandomi alla preghiera e ai miei sentimenti perché molti mi dicevano che era una pazzia.
A Bogotà faccio parte del gruppo Flor de Loto e ho fatto conoscere il Buddismo a diverse persone! Il mio compagno ha aperto la sua casa per le riunioni del gruppo. Anche il mio lavoro, che ho sempre svolto con dedizione, passione e sincerità è cambiato e l’esperienza accumulata si è rivelata preziosa per un importante progetto di import-export. A giugno mi sono trasferita in Colombia per lavorare e vivere con il mio compagno. Tutte le mie preghiere per acquistare una casa e l’impegno profuso sono sfociati in qualcosa di ancora più importante.
Ma il beneficio più grande è stata la trasformazione del mio cuore e l’aver fatto il voto di realizzare kosen-rufu. Ogni mia sfida è indirizzata in questa direzione, proprio come la frase del capitolo “Durata della vita del Tathagata”: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?» (SDL, 305).
Mia sorella, in Albania, pratica regolarmente il Buddismo, mentre i miei genitori leggono le traduzioni che preparo. Il 16 marzo di quest’anno sono stati stampati i primi libretti di Gongyo in albanese; inoltre a Tirana per la prima volta c’erano persone di ogni età al meeting: questo è un grande passo per kosen-rufu in Albania. Sono sempre di più i miei connazionali che iniziano a praticare in Italia, Belgio, Regno Unito, perfino in Islanda: ovviamente portano il Buddismo ai loro familiari e agli amici. Non manca il supporto dei responsabili italiani, in particolare di Anna Conti e Tamotsu Nakajima, che spesso vanno in Albania per sostenere l’organizzazione che sta nascendo. Il presidente Ikeda dice: «Tutto ciò che facciamo per kosen-rufu porta benefici a noi, alla nostra famiglia e ai nostri compagni di fede. Questo è inconfutabile alla luce delle scritture del Daishonin e dei sutra» (NR, 337, 6). Ringrazio sensei e la vita per tutto quello che sento.

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