(romanzo di Alexandre Dumas)
A Toda piaceva molto il romanzo Il conte di Montecristo dello scrittore francese Alexandre Dumas (1802-70), tradotto in giapponese col titolo Gankutsu-o (Vincitore indomabile) da Ruiko Kuroiwa (1862-1920).
L’eroe della storia è Edmond Dantès, che s’imbarca come giovane marinaio. Tradito da compagni invidiosi, viene arrestato con false accuse e quindi imprigionato nel castello della piccola isola d’If, al largo delle coste francesi, che ricordo di aver visto dal porto di Marsiglia, insieme ai membri locali della Divisione giovani.
Mentre si trova in prigione, Dantès incontra l’abate Faria, che diventa per lui un mentore. L’anziano priore gli impartisce un’ampia istruzione e gli rivela anche che nell’isola di Montecristo è sepolto un favoloso tesoro. Dopo quattordici anni di carcere, Dantès riesce a evadere dalla fortezza d’If, recupera il tesoro e riprende il posto nella società sotto la falsa identità del conte di Montecristo. Con l’ausilio del suo ingegno e dell’enorme ricchezza, egli trova il modo di ricompensare tutti coloro che lo avevano trattato benevolmente nel passato, mentre si vendica di coloro che lo avevano fatto imprigionare.
Toda proclamava: «Sono il “Montecristo” dei mondi del pensiero e della religione, il “Montecristo” di kosen-rufu. Vendicherò sicuramente Makiguchi, che è morto in prigione!». Quando scrisse il romanzo La rivoluzione umana, per il protagonista della storia sotto le cui spoglie si celava lo stesso Toda, scelse il nome Gan Kutsuo (omonimo di Gankutsu-o, ovvero Dantès).
Un giorno, Toda mi disse: «Daisaku, penso che sia ora che studiamo Il conte di Montecristo», e assegnò il romanzo al gruppo Suiko-kai della Divisione giovani uomini, di cui facevo parte. Nel romanzo il giovane Dantès esprime la sua gratitudine verso l’abate Faria, con queste parole: «Il mio vero tesoro […] sono quei lampi d’intelligenza che hai fatto emergere dal mio cervello […]. È con questo che mi hai reso ricco e felice […]. Ti sono debitore del mio vero bene, la mia attuale felicità». […]
Una volta, Toda espresse in questo modo ciò che aveva provato quando aveva saputo della morte in carcere di Makiguchi: «Non mi era mai successo prima di sentire un tale dolore. Fu in quel momento che decisi: avrei provato al mondo intero se il mio maestro era stato nel giusto o dalla parte del torto. Se avessi avuto bisogno di uno pseudonimo, mi sarei chiamato Montecristo, e avrei realizzato qualcosa di grande, in modo da ripagare il mio maestro».
(NR, 387, 14).
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Pagine di speranza
di Mauro Ciullo
La lettura del Conte di Montecristo è stata di grande ispirazione per la mia vita. Le vicissitudini di Dantès hanno rappresentato per me un vivido esempio della vittoria che attende coloro che vivono con integrità e lottano per la giustizia, in contrasto con l’inevitabile fine miserevole a cui sono destinate le persone che basano la propria vita sull’inganno e l’astuzia, costruendo la propria felicità sull’infelicità degli altri.
Anche le parole conclusive del romanzo, “attendere e sperare”, che avevo sentito citare tante volte, mi sembravano sempre un invito alla passività, ad aspettare che qualcosa cambi senza fare nulla. Ma dopo aver letto il romanzo, ho compreso la profondità di queste parole, proprio perché pronunciate dal conte di Montecristo, e le ho fatte mie come un invito a vivere, lottando con tutto me stesso, con coerenza e integrità, e “attendere” il risultato di questo modo di condurre l’esistenza, che immancabilmente si manifesterà, continuando a “sperare”, dove per speranza intendo anche la consapevolezza delle cause che sto ponendo nella mia vita.