Nonostante il Gohonzon sia stato iscritto da Nichiren Daishonin per la diffusione della Legge, è solo con l’avvento della Soka Gakkai che ciò ha iniziato a farsi realtà. In questa breve ricostruzione storica ripercorriamo i fatti principali che hanno portato, nel 1991, alla separazione tra la Nichiren Shoshu e la Soka Gakkai
Nell’estate del 1282, poco prima di morire, Nichiren Daishonin, consapevole dell’importanza di preservare la purezza del proprio insegnamento, lasciò al discepolo più fedele, Nikko Shonin, l’eredità della propagazione del suo insegnamento alle generazioni future tramite due atti di trasmissione: l’Atto di Ikegami e l’Atto di Minobu.
Gli altri preti anziani, che avevano contaminato la dottrina del maestro inserendovi princìpi di altre scuole, dopo la morte di Nichiren distrussero diverse sue lettere accampando fra le motivazioni il fatto che fossero scritte in lingua volgare e non nella lingua “dotta” riservata ai trattati.
Da questi cinque preti anziani si svilupparono in seguito varie scuole buddiste le quali, in contraddizione con quanto indicato da Nichiren stesso, non si preoccuparono affatto dell’ampia diffusione di Nam-myoho-renge-kyo. A dire il vero, fino all’avvento della Soka Gakkai anche all’interno della Nichiren Shoshu non ci si era mai occupati della propagazione.
Il ruolo dei laici
Nikko Shonin trasferì le ceneri del suo maestro e il Dai-Gohonzon ai piedi del monte Fuji, dove fondò la scuola omonima per preservare lo spirito e la pratica indicati dal Daishonin. La scuola prese poi il nome di Nichiren Shoshu, o scuola ortodossa Nichiren, portando avanti il compito di custode dell’insegnamento di Nichiren Daishonin e del Dai-Gohonzon, con alterne vicende che videro succedersi patriarchi sinceramente devoti e altri corrotti e più interessati al potere temporale. Quanto ai laici, la gente comune, il loro ruolo era solo quello di sostenere economicamente i monaci, unici depositari della loro possibilità di Illuminazione.
Nichiren aveva iscritto il Gohonzon per la propagazione della Legge mistica nei “diecimila e più anni dell’Ultimo giorno della Legge” in tutto il mondo, ma dalla sua morte fino alla fondazione della Soka Gakkai, il Buddismo non era ancora uscito dal Giappone.
La Soka Gakkai
Nel 1930 un maestro di scuola elementare, Tsunesaburo Makiguchi, fondò la Soka Kyoiku Gakkai, prevalentemente composta da educatori, insieme a Josei Toda, un altro insegnante elementare che lavorava nella scuola diretta da Makiguchi. In quegli anni la politica giapponese cominciò a essere dominata dal militarismo. In ogni aspetto della vita sociale fu incoraggiata la fede nello Shintoismo e, di conseguenza, diminuì la libertà di pensiero e di religione. Il governo arrivò a interferire persino nelle questioni dottrinali delle varie scuole buddiste e, verso il 1940, impose a tutte le religioni di accettare il talismano shintoista. Il governo militare cercò di manovrare anche il clero della Nichiren Shoshu per convincerlo ad accettare di porre accanto al Gohonzon l’amuleto shintoista, costituito da una lunga striscia di carta che recava il nome della divinità shinto Amaterasu.
Nel giugno 1943, il presidente Makiguchi e Toda furono convocati al tempio principale e, alla presenza del patriarca Nikkyo, il clero ordinò alla Soka Gakkai di accettare il talismano. Makiguchi e Toda si rifiutarono di accettare questo compromesso, perciò furono dapprima perseguitati e poi incarcerati. A causa delle pessime condizioni di salute in cui versava e dell’austerità e rigore che vigeva nel carcere, Makiguchi morì nel novembre 1944. Le riunioni di discussione organizzate all’epoca dalla Soka Gakkai avvenivano alla presenza di poliziotti che avevano il compito di controllare le attività eversive e antimperialiste dei suoi membri.
Dal dopoguerra a oggi
Dopo la morte di Makiguchi in prigione, Josei Toda ricostruì la Soka Gakkai, decimata dalle defezioni prebelliche e dalla guerra stessa; lanciò l’obiettivo di accogliere nella Gakkai 750.000 famiglie prima della sua morte, e lo realizzò.
Fra i sogni di Toda c’era quello di avviare una raccolta di fondi fra i membri della Soka Gakkai per poter realizzare la costruzione dello Sho Hondo: un grande tempio ai piedi del monte Fuji che avrebbe custodito il Dai-Gohonzon per l’eternità e che avrebbe permesso a moltissime persone di incontrare il Gohonzon iscritto per il genere umano. Lo Sho Hondo venne inaugurato nel 1972 con le lodi e il sostegno del patriarca dell’epoca, Nittatsu, che affermò: «Questa costruzione sarà da considerarsi come la realizzazione del Grande santuario di honmon, volontà di Nichiren Daishonin» (DU, 76, 34).
Negli anni e con lo sviluppo esponenziale della Soka Gakkai, l’equilibrio fra il clero della Nichiren Shoshu e il versante laico della Gakkai si fece sempre più instabile: da una parte il clero godeva i vantaggi di avere alle sue spalle una organizzazione laica in crescita, ma dall’altra questa presenza iniziava a minacciare le pretese di superiorità del clero. Nel tentativo di riequilibrare questi rapporti difficili, nell’aprile del 1979 il presidente della Soka Gakkai, Daisaku Ikeda, fu costretto alle dimissioni mantenendo solo la carica di presidente della Soka Gakkai Internazionale.
Alla morte di Nittatsu, sessantaseiesimo patriarca, avvenuta nel luglio del 1979, Nikken gli succedette con una procedura non trasparente, tanto che la sua nomina venne subito contestata da un gruppo di preti all’interno della Nichiren Shoshu.
L’ordine di scioglimento
La Soka Gakkai in quel periodo contava ormai milioni di membri che erano una fonte sicura di reddito per il clero e per il mantenimento dei templi: la Nichiren Shoshu pose sempre più l’accento sull’usanza tradizionale giapponese di fare offerte ai preti in occasione delle cerimonie funebri, fino a chiedere cifre esagerate alle famiglie minacciando la “caduta nell’inferno” del defunto in caso di mancata elargizione. Col passare degli anni, sotto la guida di Nikken l’atteggiamento della Nichiren Shoshu verso i membri della Soka Gakkai e verso il presidente Ikeda si fece sempre più aspro e teso, nonostante i molti tentativi di conciliazione portati avanti dalla Soka Gakkai.
Nel 1990 il patriarca Nikken ordì un piano per distruggere la Soka Gakkai e riportare i credenti laici direttamente sotto il controllo del clero, denominato “operazione C”. Fra i registi dell’operazione, anche una serie di personaggi politici giapponesi ai quali l’attività della Soka Gakkai non era gradita, oltre a vari esponenti della stampa scandalistica.
Con un pretesto il clero innescò una catena di eventi che portarono, il 7 novembre 1991, al recapito di un “ordine di scioglimento della Soka Gakkai” firmato da Nikken. E il 28 novembre 1991 la Nichiren Shoshu scomunicò la Soka Gakkai, impedendo ai membri di tutto il mondo di visitare il Dai-Gohonzon al tempio principale e interruppe la consegna dei Gohonzon ai membri della Soka Gakkai.
Secondo il loro piano, i membri “smarriti” avrebbero abbandonato la Soka Gakkai rifugiandosi sotto l’ala protettiva del clero. Ma la risposta fu completamente diversa e sedici milioni e duecentoquarantamila persone in tutto il mondo firmarono una petizione per le dimissioni del patriarca Nikken.
Nel giugno del 1993 il reverendo Sendo Narita, capo del tempio Joen di Tokyo, nel quale era custodita la matrice originale del Gohonzon trascritto dal patriarca Nichikan, uno dei più illustri patriarchi nella storia della Nichiren Shoshu, decise di donare questa matrice alla Soka Gakkai, affinché potesse riprendere a consegnare i Gohonzon.
I preti riformatori
Nel frattempo proseguiva una massiccia campagna di attacchi dei mass-media contro la Soka Gakkai in Giappone, accompagnata dal tentativo da parte del clero di costruirsi una base di fedeli all’estero, dove i particolari della vicenda non erano sufficientemente noti, che potesse continuare ad assicurare loro la prosperità economica. Gli strumenti utilizzati non erano le normali attività di propagazione, bensì il tentativo di portare dalla propria parte i membri della Soka Gakkai. Iniziarono intanto a venire alla luce una serie di scandali e di esempi di corruzione radicata all’interno del clero. Più di quaranta preti si dissociarono dalla Nichiren Shoshu costituendo due associazioni per la riforma del clero.
Il patriarca Nikken avviò un’opera di distruzione sistematica di tutti gli edifici che, nell’area del Taiseki-ji, erano stati realizzati grazie all’offerta dei membri della Soka Gakkai, fino ad arrivare, nel 1998, ad abbattere lo Sho Hondo, costruito con le donazioni di otto milioni di membri di tutto il mondo.
Negli anni successivi, la Soka Gakkai Internazionale ha proseguito la sua diffusione nel mondo, che la vede attualmente presente in 192 paesi, perseguendo il dialogo e l’apertura verso gli altri movimenti religiosi e laici che desiderano realizzare concretamente la pace nel mondo e un futuro migliore per l’umanità.
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I diversi tipi di Gohonzon
Okatagi, omamori, tokubetsu: scopriamo il significato di questi termini
Prima di arrivare all’iscrizione del Dai-Gohonzon, Nichiren aveva iscritto diversi Gohonzon personali per singoli discepoli. Alcuni di questi sono molto semplici, per diventare via via più completi fino a quello iscritto il 12 ottobre del 1279: il Dai-Gohonzon per tutta l’umanità, dal quale i patriarchi nei secoli successivi copieranno i Gohonzon destinati ai membri. A parte le varianti nei singoli caratteri, nessuno di questi Gohonzon era diverso dal nostro nella sostanza. A partire dalla morte di Nichiren, i Gohonzon da affidare ai seguaci venivano iscritti dal patriarca – eccetto nei casi in cui un tempio si trovasse lontano da quello principale -, nel qual caso era il prete di quel tempio a iscriverli personalmente. A quell’epoca era possibile procedere in questo modo perché i praticanti erano pochi e inoltre, a partire dal 1650, in Giappone fu proibito cambiare religione, per cui l’oggetto di culto veniva tramandato all’interno della famiglia di generazione in generazione. Con la nascita della Soka Gakkai nel 1930, e soprattutto con la diffusione del Buddismo del Daishonin dopo la fine della guerra, tante persone cominciavano a praticare e divenne difficile iscrivere i Gohonzon uno a uno, a mano. Così si è cominciato a stamparli. Okatagi non vuol dire altro che “stampato su matrice di legno” (kata = forma; gi = legno). Anche il tokubetsu (che letteralmente vuol dire “speciale”, (toku = diverso dal solito; betsu = separato) è un okatagi: non c’è alcuna differenza dal normale formato se non nella dimensione, più grande all’incirca del venticinque per cento.
Nessuno di questi due termini compare nel Gosho, mentre l’omamori viene citato nel Gosho Risposta a Kyo’o, dove Nichiren lo affida a Shijo Kingo e Nichigen-nyo “per la protezione” della figlioletta Kyo’o. Omamori è un solo ideogramma (mamori) che vuol dire “proteggere”. A parte l’omamori, che è personale, il Gohonzon (okatagi, tokubetsu) viene consegnato alla famiglia, per cui anche se ci sono più persone che praticano nella stessa casa il Gohonzon affidato sarà uno. Ancora oggi esistono Gohonzon scritti a mano dai vari patriarchi: questi sono i Joju-Gohonzon, dove joju vuol dire “scritto a mano”. Comunque le dimensioni sono irrilevanti, è solo la fede nel Gohonzon che determina i benefici che si possono ottenere dalla pratica buddista.