Daisaku Ikeda scrive nell’editoriale che i membri della SGI attraverso il loro impegno nel dialogo aprono «nel cuore di innumerevoli persone porte di incrollabili “palazzi di speranza”. È dalle nostre preghiere e dal nostro desiderio sincero di rendere felici le persone che scaturiscono le parole di incoraggiamento che rendono efficaci tali sforzi. Nella società odierna, inondata di parole crudeli che feriscono, ingannano, lacerano il cuore degli individui, alienandoli e dividendoli, la nostra sfida è unire tutte le persone con una calorosa, sincera, traboccante benevolenza». In effetti fra le quattro virtù del Budda, affrontate nel principio presentato in questo numero, vi è quella della “felicità”: una felicità, una gioia che vive nel momento della sua condivisione insieme agli altri, come ci ha insegnato Nichiren: «”Gioia” significa che essi stessi e gli altri insieme provano gioia. […] sia essi stessi che gli altri insieme troveranno gioia nel possesso della saggezza e della compassione».
Nella relazione fra noi e gli altri, naturalmente ci troviamo ad affrontare la paura della perdita delle persone care e della morte in generale. Il fiore di tarassaco in copertina ci ricorda la fugacità della vita: basta un momento, un lieve soffio di vento che i semi volano via, lasciando vuoto il suo gambo. Come vuoto è lo spazio lasciato nel proprio cuore da qualcuno che non c’è più. Ma ecco che il concetto di eternità insito nella vita del Budda diventa il mezzo per attraversare la sofferenza della morte, regalando un nuovo senso al presente e agli eventi.
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