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Volume 27, capitolo 1 "Germogli di gioventù" puntate 41-49 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:20

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Volume 27, capitolo 1 “Germogli di gioventù” puntate 41-49

Shin’ichi era consapevole dell’importanza di prendersi cura dei bambini e lo faceva giocando e dialogando con loro. Ciò che lui vedeva non erano scolari in giovanissima età, bensì gli esseri umani di domani

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Shin’ichi era consapevole dell’importanza di prendersi cura dei bambini e lo faceva giocando e dialogando con loro. Ciò che lui vedeva non erano scolari in giovanissima età, bensì gli esseri umani di domani

Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[41] All’inizio dell’anno scolastico, Sachie Wakae, l’insegnante responsabile della classe di Tomoyo Kudo della Scuola elementare Soka di Tokyo, spiegò a tutti i suoi compagni che la bambina aveva una protesi alla gamba, e si raccomandò di non darle fastidio o prenderla in giro per questo.
Nell’autunno del 1979, Shin’ichi visitò la scuola e l’insegnante gli presentò Tomoyo. Shin’ichi sapeva che c’era un’allieva con un problema fisico e voleva incontrarla. Desiderava che la bambina potesse vivere al meglio in qualsiasi momento. Nella vita si affrontano molti momenti duri, tristi e dolorosi e non tutte le persone sono sempre ben intenzionate nei confronti altrui, anzi, molti feriscono o disprezzano gli altri con facilità. Per questo avere uno spirito forte, che non ci fa sconfiggere in nessuna circostanza, è un requisito essenziale per essere felice.
Shin’ichi disse a Tomoyo: «Potrai pensare che è duro vivere con la tua disabilità ma, se supererai quei momenti, potrai conquistare uno spirito più forte e più luminoso di chiunque altro. Conosci Helen Keller? È una donna che è riuscita a dare tanta speranza e tanto coraggio a tutti, superando tre sofferenze: non vedere, non sentire e non parlare. Grazie all’aiuto della sua maestra Anne Sullivan, ha imparato a scrivere e a studiare. Ha studiato nella più rinomata università femminile americana; poi ha viaggiato in molti paesi, dove ha tenuto conferenze e contribuito a varie attività per il benessere delle persone disabili, e in generale della società. Helen Keller ha trasformato il suo destino nella forza per aiutare gli altri. Ecco la sua grandezza. Impegnati anche tu nello studio e diventa una persona come Helen Keller».
Le parole di Shin’ichi penetrarono nel profondo del cuore di Tomoyo. Le persone che hanno dei modelli, degli ideali da seguire, sono persone forti. Nel loro cuore, anche nelle tenebre delle avversità, brillerà sempre la luce della speranza, si accenderà sempre il fuoco del coraggio.

[42] Shin’ichi suggerì agli insegnanti come interagire con Tomoyo. «È importante essere sempre molto premurosi con lei, ma non per questo deve essere trattata in modo speciale. Fate sì che possa sfidarsi in ogni tipo di attività come gli altri bambini, altrimenti non riuscirà a rendersi indipendente nella società e ciò sarebbe penoso per lei».
Far sì che i bambini diventino esseri umani indipendenti è un punto essenziale dell’educazione.
Di tanto in tanto Shin’ichi inviava parole di incoraggiamento a Tomoyo. Fece anche delle foto ricordo insieme a lei. Dopo la laurea Tomoyo lavorò per una grande società commerciale e poi si sposò. In seguito, nel periodo in cui si prendeva cura della madre anziana, decise di lavorare nel campo dell’assistenza sociale.
Tomoyo aveva un compagno di scuola, Masahiro Motokawa. Quando frequentava la quinta elementare la tipografia che dirigeva suo padre fallì. Per un certo periodo il padre continuò a lavorare giorno e notte senza neanche tornare a casa, ma non riuscì a risolvere la situazione dell’impresa, ormai senza via d’uscita. Il giorno prima della dichiarazione di fallimento decise che sarebbe fuggito: riunì la famiglia a casa della nonna per mettere tutti al corrente della situazione. Iniziò a parlare guardando il bambino negli occhi: «Devo dirvi la verità, la mia ditta sta per fallire. Vivrò lontano da voi, ma non preoccupatevi, verrà il giorno in cui potremo tornare a vivere tutti insieme. Non abbiate timore, lavorerò e vi invierò i soldi per vivere e per studiare. Mi raccomando Masahiro, prenditi cura di tua madre e di tua sorella». Quelle furono le sue ultime parole prima di scomparire.
Poco dopo il resto della famiglia traslocò in segreto. Andarono in una specie di catapecchia dove non batteva il sole, con i muri ammuffiti, la vasca da bagno rotta e senza televisione.
Il padre aveva contratto debiti enormi e i creditori, per cercare di riscuoterli, telefonarono persino alla scuola elementare per sapere dove abitasse suo figlio Masahiro.

[43] Si presentò a scuola una persona dallo sguardo minaccioso e dall’aria poco raccomandabile che chiese di Masahiro Motokawa, ma un insegnante gli disse in modo categorico: «Non posso farle incontrare l’allievo se viene per la questione dei debiti del padre, perché si tratta di una cosa che non lo riguarda. E non posso neanche darle il suo indirizzo o un suo recapito. La prego di andarsene».
Gli insegnanti erano molto preoccupati. Temevano che qualcuno, fuori dalla scuola, aspettasse il bambino per pedinarlo. Masahiro faceva parte della squadra di calcio della scuola e a volte tornava a casa tardi. In quei casi gli insegnanti accompagnavano gli alunni fino alla stazione di Taka-no-dai, controllavano che non ci fosse nessuno dall’aria sospetta e li facevano salire sul treno.
Anche Shin’ichi era stato informato dagli insegnanti della questione. Un giorno, dopo le lezioni, arrivò a scuola per portare dei giocattoli ai bambini. Mentre distribuiva i regali agli alunni che stavano per tornare a casa, chiese di poter parlare con lui. Masahiro arrivò accompagnato da un insegnante.
«Tu sei Masahiro. Mi hanno detto tutto, sai? Deve essere molto dura per te, ma chi soffre di più è tuo papà. Ora passerai sicuramente tanti momenti spiacevoli e difficili, ma in futuro verrà il giorno in cui tutte queste difficoltà diventeranno tesori per te. Tutte le persone importanti hanno sofferto nella vita. Mi raccomando, prenditi cura di tua madre e di tua sorella, come farebbe tuo padre». Shin’ichi gli regalò un robot giocattolo protagonista di un cartone animato. Il padre venne a sapere dalla madre che Shin’ichi stava incoraggiando personalmente il loro figlio. In cuor suo non sapeva come scusarsi.
Sei mesi dopo il fallimento dell’azienda, prese una decisione: «Smetterò di nascondermi e vivrò con la mia famiglia. Incontrerò i creditori e parlerò con loro, facendo capire con tutta la mia sincerità che onorerò i miei debiti, anche se ciò dovesse richiedermi un tempo e una fatica infinite. Mostrerò ai miei figli come deve vivere una persona, con sicurezza e orgoglio».

[44] La famiglia di Masahiro viveva in condizioni di estrema povertà. I pasti erano sempre frugali, perché non potevano permettersi di acquistare cibi costosi. Per Masahiro, yakiniku [un piatto di carne alla griglia, n.d.r.] consisteva in realtà in tanti germogli di soia arrostiti, un piatto poverissimo. Inoltre indossava quasi solo abiti usati, ricevuti dai parenti o da altre persone.
I genitori lavorarono incessantemente, riducendo al minimo le spese familiari, per consentire a Masahiro di frequentare le scuole medie, il liceo e l’Università Soka. Anche la sorella, che aveva due anni meno di lui, poté frequentare il liceo e l’Università Soka. Nonostante lo stato di indigenza in cui si trovavano, i genitori desideravano che i propri figli potessero ricevere quel tipo di educazione umanistica nelle scuole fondate da Shin’ichi.
Durante gli anni universitari, Masahiro fece parte del Circolo latino-americano, studiò intensamente lo spagnolo e continuò gli studi presso l’Università di Buenos Aires. Dopo la laurea lavorò per un’importante agenzia di traduzioni e successivamente decise di aprire un’agenzia in proprio. Con il desiderio di lavorare per la pace nel mondo, cominciò a contribuire alla promozione di scambi culturali.
Dopo l’apertura della Scuola elementare Soka di Tokyo, Shin’ichi continuò a incoraggiare i bambini che si trovavano ad affrontare dure avversità, e profuse tutte le sue energie in questo scopo. Non possono esserci passi avanti dell’educazione, nè dell’essere umano, se non si sostengono i bambini che affrontano grandi sofferenze.
Il 17 luglio del 1985, dopo più di sette anni dall’apertura della scuola, Shin’ichi partecipò a una cerimonia delle scuole Soka che si teneva prima delle vacanze estive, chiamata eiko-sai “festa gloriosa”. In quell’occasione chiamò Shinka, che frequentava la terza elementare, e suo fratello Hirotaka che era in prima, e decise di parlare un po’ con loro perché aveva saputo che la madre, Chieko, era deceduta il giorno prima. Shin’ichi la conosceva bene, aveva lavorato come infermiera in un centro di consulenza e assistenza medico-sanitaria presso la sede centrale della Soka Gakkai. Il padre dei bambini, Ittoku Hayashida, era un ragioniere conosciuto e molto attivo nella società. Verso la fine dell’anno precedente avevano scoperto che la madre aveva un tumore al colon. Si operò un mese dopo, ma le trovarono delle metastasi anche nelle parti adiacenti e non fu possibile rimuovere il focolaio tumorale. Il medico le disse che le restavano solo tre mesi di vita. Fu dimessa e dopo sei mesi dall’operazione fu nuovamente ricoverata. Sui suoi bambini, ancora piccoli, si scagliò la spietata tempesta del karma. Non sarebbero stati felici se non avessero avuto la forza di vincere anche su quella sofferenza.

[45] La mattina del 16 luglio 1985, prima di andare a scuola, i fratellini Shinka e Hirotaka si recarono all’ospedale dove era ricoverata la madre. Chieko strinse le mani dei figli con un dolce sorriso sulle labbra, poi i bimbi andarono a scuola; e sempre con un sorriso radioso quel pomeriggio morì serenamente.
Appresa la notizia, Shin’ichi decise di vegliare sulla crescita dei bambini per tutta la vita, pensando così di “tranquillizzare” anche la madre che se ne era andata lasciando due bimbi piccoli. Perciò il giorno successivo incontrò Shinka e Hirotaka a scuola, alla festa di eiko-sai.
«Sappiate che la vostra mamma è sempre viva. Vive nel vostro cuore, perciò non dovete preoccuparvi. Considerate mia moglie come la vostra mamma e me come il vostro papà. Così avete due papà. Non dovete temere nulla!». Ascoltando quelle parole a Shinka e Hirotaka vennero le lacrime agli occhi. Shin’ichi li strinse forte a sé.
«Non piangete… Voi siete dei piccoli leoni! Non lasciatevi vincere dal dolore. Bisogna diventare forti. Ed è importante tirar fuori il coraggio!». I due bambini non riuscirono a trattenere le lacrime che scorrevano lungo le guance.
Qualche mese prima, quando la madre era già ricoverata in ospedale, durante il pranzo tenutosi dopo la cerimonia di conferimento dei diplomi, Shin’ichi aveva chiamato Shinka e, facendola sedere accanto a sé, l’aveva incoraggiata: «Sicuramente è molto dura ora che la mamma è in ospedale, ma bisogna farsi forza! Raccogli tutto il tuo coraggio e diventa una bambina che non si arrende!».
Al funerale partecipò Mineko, la moglie di Shin’ichi, in sua rappresentanza, e incoraggiò la bambina dicendole: «Diventa una persona meravigliosa e ammirevole come la tua mamma». Le parole sincere fanno emergere il coraggio.
Shinka e Hirotaka Hayashida giurarono nel profondo del cuore di vivere con la forza e il coraggio di un leone. Shinka percorse lo stesso cammino della madre diventando infermiera, mentre Hirotaka diventò un giornalista del giornale Seikyo.

[46] Il 4 luglio 1978, nella sala in stile giapponese della Scuola elementare Soka di Tokyo, Shin’ichi ebbe un colloquio con gli insegnanti e il personale non docente. «Nel campo dell’educazione – disse – i risultati si vedono dopo dieci, venti, anzi trenta, cinquanta, cento anni. Bisogna quindi considerare ogni cosa con lungimiranza. Perché il lavoro dell’insegnante è così prezioso? Perché da questo lavoro dipende il futuro del nostro pianeta; il futuro delle prossime generazioni dipende esclusivamente da voi. Vi prego quindi di essere orgogliosi di ricoprire questo ruolo: applicatevi con impegno nell’acquisizione e nel perfezionamento delle vostre competenze pedagogiche».
La condizione indispensabile per esercitare la professione di insegnante è mettere il massimo entusiasmo nelle attività educative. E per mettere a frutto nel migliore dei modi quell’entusiasmo è necessario continuare a impegnarsi a fondo nell’acquisire competenze pedagogiche; sono la passione e il miglioramento delle competenze degli insegnanti a consentire il progresso dell’educazione.
«L’educazione è la capacità e l’arte più difficile della vita, e non può avere successo senza persone che si distinguano per eccellenti meriti e qualità» spiega Tsunesaburo Makiguchi.
La riunione terminò alle 18.30, dopodiché Shin’ichi si fermò a parlare con il direttore. Nel frattempo il responsabile del corpo docente, Masaru Kito, cercava di completare il testo dell’inno della scuola, ma non ci riusciva. Alle otto e mezzo si recò insieme agli altri a salutare Shin’ichi che stava lasciando la scuola, sperando che non lo notasse.
Ma Shin’ichi lo vide e gli disse: «Scrivete la canzone senza fretta, prendetevi il vostro tempo. Non consideratela come qualcosa di gravoso, ma scrivete il testo serenamente, esprimendo con sincerità i vostri pensieri rivolti ai bambini. Fatelo con questo spirito, che è anche il mio. Posso dirvi questo perché voi e io siamo uniti nel profondo. In ciò risiede la forza della Scuola elementare Soka. A proposito, nel testo che avete proposto appaiono le parole Scuola elementare Soka. Che ne dite di trovare proprio per queste parole una melodia allegra, come una danza leggera nell’aria? Voi insegnanti siete tutti “fondatori” della scuola; mi raccomando, procediamo con lo stesso spirito!».

[47] Anche dopo l’inizio delle vacanze estive, Masaru Kito continuò a scervellarsi ogni giorno per scrivere il testo dell’inno della Scuola elementare Soka di Tokyo. Cercò di perfezionarlo più e più volte, ma il risultato non lo soddisfaceva mai. Finalmente, alla fine di agosto, consegnò il testo a Shin’ichi.

Prima o poi, prima o poi,
abbiamo giurato insieme di incontrarci in questo giorno
nella valle di Musashino dove gli uccelli cantano,
di riunirci allegramente in questa scuola
che è la nostra Scuola elementare Soka.

Ogni giorno, ogni giorno,
impegniamoci e impariamo
col desiderio di diventare grandi alberi,
e anche se il vento del nord soffierà nella foresta di querce,
costruiamo il nostro futuro in questa scuola
che è la nostra Scuola elementare Soka.

Eternamente, eternamente,
volgiamo lo sguardo al cielo
tenendoci per mano,
con la nostra promessa custodita nel cuore
in questa scuola che guarda il monte Fuji
ed è la nostra Scuola elementare Soka.

La prima strofa esprimeva la gioia dei bambini che si incontrano nella scuola mantenendo la promessa fatta in un lontano passato. Gli incontri e gli studi compiuti insieme ad altre persone non sono dovuti al caso, ma avvengono grazie a profondi legami karmici che condividiamo sin dalle esistenze passate. Grazie a questa consapevolezza e al desiderio di far tesoro di tali relazioni umane, nascono forti amicizie. Le parole della seconda strofa, attraverso l’immagine dei grandi alberi che si aspira a diventare, descrivevano la forte volontà di superare ostacoli e difficoltà attraverso la ripetizione di sforzi quotidiani. La terza strofa evocava la determinazione di adempiere la promessa fondamentale dell’esistenza attraverso incoraggiamenti reciproci e coltivando nobili aspirazioni.
Le strofe della canzone si ispiravano inoltre agli slogan dei primi tre anni di scuola: la prima a “bambini allegri”, la seconda a “bambini tenaci” e la terza a “bambini ricchi di umanità”. Leggendo quel testo, Shin’ichi pensò che quelle semplici parole esprimessero in modo chiaro gli ideali della Scuola elementare Soka di Tokyo.

[48] Dopo aver dato uno sguardo alla proposta per la canzone della scuola, Shin’ichi disse: «Che ne pensate di procedere a comporre la canzone sulla base di questo testo?». A ottobre, la canzone composta da Katsuya Hongui, insegnante di musica della Scuola elementare Soka, fu presentata a tutti. Shin’ichi non vedeva l’ora di poter rivedere i bambini e aspettava con ansia la prossima visita. Si può dire che la qualità più importante in assoluto per un educatore è amare i bambini. A causa dei fitti impegni, però, Shin’ichi non riusciva ad andare a trovare i bambini a scuola. L’11 settembre, quando il secondo anno scolastico era già iniziato, Shin’ichi partì per la Cina, per la quarta visita della delegazione della Soka Gakkai. Il 20 settembre tornò in Giappone, ma gli impegni si susseguirono uno dopo l’altro, dalla riunione dei responsabili di centro, agli incontri con il rettore dell’Università di Pechino e con l’ambasciatore britannico in Giappone.
Il primo ottobre, in occasione della prima edizione delle gare sportive della scuola, Shin’ichi poté finalmente incontrare di nuovo i bambini. Alle undici e mezza, non appena fece il suo ingresso nel cortile della scuola Soka, dove si stavano svolgendo le gare, si levarono le grida entusiaste dei bambini. C’era chi gli porgeva la mano per stringergliela, chi lo abbracciava. «Quanto desideravo incontrarvi disse Shin’ichi . Oggi vi ho portato in regalo dei taiyaki [dolci giapponesi a forma di pesce con pasta di fagioli azuki zuccherati, n.d.r.]».
Shin’ichi stringeva le loro mani e li abbracciava. Nel pomeriggio indossò la tenuta da ginnastica della scuola e cominciò a fare il tifo per i bambini che gareggiavano. Dopo il tiro alla fune e la staffetta, fu il turno di una gara a cui partecipavano anche gli ospiti. La gara consisteva in una corsa in cui, tenendosi per mano uno di fronte all’altro, i bambini dovevano correre verso il traguardo, stringendo una palla con l’addome e cercando di non farla cadere. «Va bene! Allora partecipo anch’io…», disse Shin’ichi unendosi a loro. Era ciò che gli insegnanti avrebbero voluto: che il fondatore della scuola partecipasse alla gara, ma non erano riusciti a trovare l’occasione per chiederglielo.
Per il successo di un’iniziativa e per la gioia dei partecipanti è importante che siano i leader stessi, di propria iniziativa, a muoversi e ad agire per primi. Se non si decidono ad abbandonare gli atteggiamenti vanitosi e anche solo vagamente autoritari, come si potrà avere fiducia in loro?

[49] A Shin’ichi si unirono alcuni membri del comitato direttivo delle scuole Soka e alcuni allievi cinesi che studiavano all’Università Soka. La gara ebbe inizio: Shin’ichi posizionò la palla ben stretta tra lui e il bambino all’altezza della pancia, e al grido: «Pronti, via!», iniziarono a correre. Si muovevano in buona sincronia e accelerarono sempre di più fino a distaccarsi dalle altre coppie e arrivare primi al traguardo. Continuarono a correre con la stessa velocità fino ai posti riservati ai genitori, da cui si alzarono grida di gioia. Shin’ichi scambiò qualche parola con le madri e i padri dei bambini: «Cercate di partecipare il più possibile alle gare, se potete. Questi momenti diventeranno dei bei ricordi per i vostri figli».
Le gare, i giochi e tutte le occasioni in cui genitori e figli possono divertirsi e gioire insieme, contribuiscono ad accorciare la distanza tra loro, a farli avvicinare sempre più. Inconsapevolmente i genitori tendono a trattare i figli “con la mentalità del padre o della madre”, ma ciò che è fondamentale, anche in famiglia, è la relazione di fiducia che si crea da persona a persona, così come siamo. Quando i bambini, vedono i genitori che si entusiasmano durante i giochi o le gare, mostrando così la loro natura “infantile”, si accorgono che in fondo sono come loro. In questo modo imparano ad apprezzare l’essere spontanei e fedeli a se stessi. Intorno a Shin’ichi spuntarono venti, trenta bambini; i più piccoli avevano tre, quattro anni e i più grandi erano del quinto e sesto anno delle elementari. Erano probabilmente fratelli degli alunni della scuola o bambini del vicinato.
«Bene! In marcia!». Con quelle parole, Shin’ichi cominciò a camminare insieme ai bambini nel campo sportivo dove, nell’intervallo tra una gara e l’altra, non c’era nessuno. Tutti quei bimbi provenienti da altre scuole sorridevano divertiti. «Quando si fa una marcia bisogna scandire bene il tempo. Forza, con una bella voce! Uno, due… Uno, due…».
(continua)

(traduzione di Marcella Morganti – ha collaborato Tadashi Nitaguchi)

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