Nelle pagine del romanzo La rivoluzione umana Daisaku Ikeda racconta il suo primo zadankai
Nel clima confuso del Giappone del dopoguerra, molti giovani desideravano ardentemente trovare un fondamento filosofico su cui basare la propria vita. Il Giappone era stato sconfitto, ma essi provavano un grande amore per il loro paese. Il bisogno impellente di trovare una valida filosofia di vita spingeva questi ragazzi a cercare il proprio maestro.
In questo clima Daisaku Ikeda, allora diciannovenne, venne invitato per la prima volta a una riunione buddista. In una stanza gremita da una ventina di persone di ogni tipo ed età, Josei Toda stava tenendo una lezione sul trattato di Nichiren Daishonin Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese. Il giovane Daisaku rimase estremamente affascinato da quell’uomo che spiegava le cose in modo chiaro e allo stesso tempo profondo, e così decise di porgli la domanda che più lo assillava in quel momento…
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«Signore!» Shin’ichi Yamamoto ruppe il silenzio con voce decisa. Tutti gli occhi furono subito su di lui. «C’è qualcosa che vorrei lei mi spiegasse». Toda aguzzò lo sguardo dietro gli spessi occhiali e fissò il ragazzo. «Certo, chiedi pure quello che vuoi». «Signore, qual è il modo corretto di vivere? Più ci penso e più sono confuso». Parlava con espressione molto seria, gli occhi spalancati. Le lunghe ciglia gli davano un aspetto di innocenza velata di tristezza.
«Bene bene, questa è la domanda più difficile che potevi fare». […] La voce di Toda era tranquilla, rassicurante.
«Nel corso della vita ognuno incontra molti problemi, come ad esempio nella situazione attuale, in cui è così difficile trovare un po’ di cibo. Nessuno è in grado di prevedere le sfortune che potrebbero colpirlo, difficoltà economiche, questioni d’amore, malattie, discordie familiari, guerre. Le persone soffrono fino al limite della sopportazione cercando di trovare una soluzione per questi innumerevoli problemi. Ma in definitiva si tratta di questioni superficiali, come piccole increspature sull’acqua. Ci sono sofferenze ben più gravi. Come è possibile risolvere il dilemma della vita e della morte? Non credi che sia il problema in assoluto più difficile? Il Buddismo usa la definizione delle quattro sofferenze: nascita, invecchiamento, malattia e morte. Se non si riesce a trovare una soluzione per questi problemi, non è possibile vivere correttamente. Essendo nato in questo mondo, non puoi fare a meno di affrontare questa realtà. Potresti rimpiangere di essere nato, ma ora sei qui e devi far fronte alla situazione». I presenti stavano per scoppiare a ridere, ma dato che l’argomento era alquanto serio si trattennero, attendendo il seguito della risposta. […]
«Naturalmente è lecito chiedersi quale sia la via corretta nella vita però, se davvero hai del tempo a disposizione, sarebbe meglio impiegarlo praticando l’insegnamento di Nichiren. Dopotutto sei giovane e grazie alla pratica riuscirai a comprendere che stai seguendo il sentiero corretto della vita. Questo te lo posso garantire». […]
«Molte grazie, signore. […] Seguirò il suo consiglio di riflettere come ogni giovane dovrebbe fare, e mi piacerebbe studiare sotto la sua guida, se solo lei me ne darà l’opportunità. Adesso vorrei leggere una poesia per esprimere la mia determinazione, in segno di gratitudine, anche se in realtà sono dei versi molto modesti…».
Toda annuì silenziosamente, tutti gli altri erano stupefatti. Shin’ichi chiuse gli occhi e cominciò a declamare i versi a voce alta:
Viaggiatore,
da dove giungi?
E qual è la tua meta?
La luna è calata,
ma il sole ancora non è sorto.
Nel caos dell’oscurità che precede l’alba,
cercando la luce
avanzo,
per disperdere le nubi oscure della mia mente,
per trovare un grande albero,
che non si pieghi nella tempesta,
io emergo dalla terra.
Nell’udire l’ultimo verso, Toda sorrise felice. Shin’ichi ovviamente non sapeva nulla del termine buddista Bodhisattva della Terra. Il verso gli era venuto in mente pensando al grande prodigio della natura, alla sua inarrestabile vitalità. […] Dieci giorni dopo, il 24 agosto, Shin’ichi Yamamoto ricevette il Gohonzon.
(RU, 2, 126-137).