Ecco un racconto di come gli incontri di gruppo possano essere il momento in cui la vita e la fede delle persone si “condensano”, risvegliando la consapevolezza dell’invisibile filo che le collega e il desiderio di accogliere l’esperienza degli altri senza giudizio
In questi tre anni e mezzo, come responsabile del gruppo Armonia, ho sperimentato quanto ogni zadankai sia il centro attorno al quale ruota l’attività e la vita; un’occasione di gioia che sgorga naturalmente e ci fa comprendere il funzionamento profondo dell’esistenza. Inizialmente pensavo che impegnarsi nell’attività significasse soltanto fare azioni concrete: incoraggiare i membri, organizzare incontri, parlare agli altri del Buddismo. Tutto questo è vero, ma io lo vivevo come un dovere che mi costava fatica: non facevo che giudicarmi e mi sentivo spesso inadeguata.
Tuttavia il tempo, l’esperienza e la perseveranza mi hanno fatto comprendere pian piano che io sono un Budda così come sono; che la mia missione è unica e speciale, e che i miei sforzi non possono andare in una direzione che non mi appartiene: si tratta di migliorarmi, non di snaturarmi. Ho capito che ogni azione nella fede assume rilevanza soltanto se è accompagnata dalla lotta davanti al Gohonzon per la mia felicità e per quella di ogni singolo membro del gruppo; che il senso dell’attività è la gioia che ne scaturisce, ed è questa gioia che crea i risultati, che produce effetti visibili e invisibili.
Ogni riunione di discussione è lo specchio del nostro protenderci verso questa gioia, la lente di ingrandimento che ci mostra quanto abbiamo approfondito il rapporto con il Gohonzon.
Così, gradualmente, quanto più sono riuscita a mollare il controllo, tanto più questo cambiamento di prospettiva si è riflesso nel gruppo: tutto è diventato più armonioso e vero. Evitando le formalità, mostrandomi così come sono e facendo appello alla Buddità anche quando non riesco a percepirla, senza nascondere i momenti bui, ho imparato la fiducia e ho potuto constatare che questa fiducia si trasmette di cuore in cuore, perché le persone si sentono accolte e apprezzate. Ora noi tutti aspettiamo la riunione di discussione come un momento significativo che condensa in due ore la vita profonda di ognuno; è il nostro baricentro, il perno attorno al quale si crea e si rinnova il nostro equilibrio; dove si impara il rispetto, la condivisione, il sottile confine tra l’ascolto e l’incoraggiamento; dove si respira l’empatia e lo sforzo sincero che ognuno fa per sintonizzarsi sulla vibrazione dell’altro.
Se guardo alla nostra rivoluzione umana sento una profonda gratitudine. In tre anni e mezzo abbiamo consegnato diciassette Gohonzon, e ogni volta l’azione di sostenere una persona nel suo percorso di fede ci ha dato modo di rafforzare il legame tra noi: le difficoltà, il karma dell’altro non sono mai qualcosa che “non ci riguarda”, e ogni nuovo membro con la sua decisione ci offre l’occasione di trasformare un aspetto della nostra vita. È la prova concreta che siamo tutti davvero intimamente legati e interdipendenti.
Anche la divisione del gruppo, sei mesi fa, si è realizzata in modo naturale come risultato di una crescita progressiva e costante, a livello numerico e delle singole vite; i successori sono emersi spogliandosi pian piano di ogni titubanza, le persone nuove si sono moltiplicate e adesso, dopo poco tempo, il gruppo è di nuovo raddoppiato. Traguardi importanti, questi, che si incidono nel cuore come un collage di attimi preziosi: l’abbraccio di un compagno di fede, la fiducia che cresce in un nuovo membro, l’espressione del volto di un principiante che cambia di settimana in settimana; il suono del Daimoku di tante voci che sembrano una soltanto, il suono dell’universo. Quando riusciamo a sentirlo, e capita sempre più spesso, il nostro meraviglioso gruppo diventa veramente “Armonia”.