L’incontro con la quarta sofferenza, a volte, arriva all’improvviso. Come è accaduto ai membri di un gruppo bolognese travolti dalla morte violenta di un’amica. Solo attraverso il rafforzamento dei legami di unità sono riusciti a superare lo shock e a “trasformare il veleno in medicina”
Durante l’estate dello scorso anno il nostro gruppo si trovava per recitare Daimoku ogni mattina insieme a un altro gruppo, con il desiderio che tutti realizzassero i propri obiettivi e diventassero felici. Non potevamo immaginare che in realtà ci stavamo preparando ad affrontare una delle quattro sofferenze: la morte.
Una mattina Marinella, una nostra compagna di fede, non si presentò alla recitazione. Il fratello Stefano, che praticava con noi da pochi giorni, ci disse che Marinella era morta. Fu uno shock per tutti. Ci chiedemmo cosa si poteva fare in una situazione così tremenda e quale fosse il comportamento di un buddista… Nei nostri cuori c’era un grande dolore, una profonda rabbia. Ci rendemmo subito conto che solo continuando a recitare Daimoku in unità potevamo affrontare questa situazione. Grazie a questo spirito e ai tanti incoraggiamenti ricevuti dai nostri compagni di fede, decidemmo che perfino questo poteva trasformarsi in una preziosa occasione per illuminare le nostre vite, pregando profondamente per la Buddità della nostra amata amica.
In questa esperienza due frasi ci hanno accompagnato: quella del Gosho Felicità in questo mondo «Quando c’è da soffrire, soffri; quando c’è da gioire, gioisci. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge? Rafforza il potere della tua fede più che mai» (RSND, 1, 607), e le parole di Daisaku Ikeda tratte da Gioia nella vita gioia nella morte: «Coloro che hanno dedicato la loro vita a kosen-rufu senza dubbio sperimenteranno una morte magnifica, come il sole che tramonta illuminando il cielo con il suo bagliore dorato e proprio come un bel tramonto promette bel tempo per l’alba seguente, sicuramente queste persone godranno di una vita colma di speranza e fortuna, esistenza dopo esistenza» (esperia, 2010, pag. 148).
Ci incontravamo per recitare e sostenerci l’un l’altro ogni mattina e ogni sera. Preparammo dei bigliettini colorati con una foto di Marinella e la frase che spesso ci ripeteva: «Tra oggi e domani io voglio essere felice… me lo merito!» che diventò il nostro motto, la spinta per tutti.
In quel momento più che mai il suo ricordo era vivido: il suo sorriso era nei nostri occhi e nei nostri cuori. Stefano, suo fratello, era sempre con noi e, mentre noi desideravamo sostenerlo il più possibile, ci rendemmo conto che era lui a incoraggiarci: il suo sguardo esprimeva la stessa forza e determinazione di Marinella a non lasciarsi abbattere dai momenti difficili, per quanto duri potessero apparire.
Il giorno della cerimonia funebre ci riunimmo tutti: parenti, amici, buddisti e non, per recitare Gongyo insieme. La commozione era tanta e tante erano le persone piene d’amore per Marinella. Vogliamo ricordarla così: meravigliosa, semplice e solare. Vogliamo ricordare i momenti belli e la fortuna di aver potuto lottare insieme a lei in questi anni di pratica.
Questa grande sofferenza non ci ha sconfitto, perché stiamo “trasformando il veleno in medicina” e proprio grazie a questo stanno nascendo tanti splendidi fiori. Insieme stiamo affrontando tante altre sfide: Stefano continua a praticare con noi, alcuni principianti dei nostri gruppi sono diventati membri dell’Istituto e altri lo diventeranno presto. Sulla nostra pelle abbiamo compreso che non possiamo cambiare il karma delle persone, però possiamo trasformare un momento così triste in un’esperienza meravigliosa di unità e crescita per diventare felici insieme, vita dopo vita.