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Lo spirito di ricerca - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:20

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Lo spirito di ricerca

«Una cosa tinta nell’indaco diventa più blu delle stesse foglie di indaco», scrive il Daishonin per spiegare lo spirito di ricerca: un atteggiamento quotidiano che ci porta ad approfondire la comprensione del Buddismo e a migliorare la nostra vita mettendo in pratica il Gosho in ogni situazione, anche una sola frase

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«Una cosa tinta nell’indaco diventa più blu delle stesse foglie di indaco», scrive il Daishonin per spiegare lo spirito di ricerca: un atteggiamento quotidiano che ci porta ad approfondire la comprensione del Buddismo e a migliorare la nostra vita mettendo in pratica il Gosho in ogni situazione, anche una sola frase

Nichiren Daishonin scrive: «Impegnati nelle due vie della pratica e dello studio. Senza pratica e studio non può esservi Buddismo. Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri. Sia la pratica che lo studio sorgono dalla fede. Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o un solo verso» (Il vero aspetto di tutti i fenomeni, RSND, 1, 342).
È un brano del Gosho che abbiamo letto e sentito tante volte, e il pensiero che sorge spontaneo, proprio per questo, è «Sì, lo so». Ma questo pensiero, che è il contrario dello spirito di ricerca, non ci aiuterà a diventare più felici. Nichiren ci ricorda che «quelli che credono di conoscere bene il Buddismo sono quelli che sbagliano» (RSND, 1, 802), e che è fondamentale coltivare lo spirito di ricerca e l’umiltà di ascoltare le parole del maestro come se fosse sempre la prima volta. In termini buddisti lo spirito di ricerca viene indicato con la parola kyudoshin che letteralmente significa “ricerca della via”, cioè la strada che ci porta all’Illuminazione.
Proviamo quindi a soffermarci su questa frase con più attenzione.
Nichiren qui parla di due vie. Non dice “la via della pratica” e poi quella dello studio, come un eventuale, ulteriore sostegno per praticare meglio: no. Parla proprio di due vie, di pari importanza e dignità. Come le due ruote di un carro.
Certo, se intendo lo studio in senso teorico, come accumulo di conoscenze fine a se stesse, posso anche accontentarmi di concentrare i miei sforzi una volta al mese nella riunione di studio, per esempio. Ma se lo intendo come strumento per affrontare e risolvere i problemi che si presentano nella mia vita di ogni giorno, come parte integrante della pratica che porto avanti per illuminare e trasformare il mio karma man mano che si manifesta, allora lo studio non può che essere un esercizio quotidiano, così come quotidiana è la mia vita.
Lo studio del Buddismo non è teorico, perché l’insegnamento del Budda concerne la realtà dell’esistenza. Il Budda stesso è la vita, diceva Toda. La «saggezza della verità dell’insegnamento essenziale funziona in accordo con le circostanze mutevoli» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 109, 40). La saggezza del Budda è come l’acqua che irriga il terreno riarso della vita degli esseri comuni che vivono nei nove mondi, illuminandone la realtà. Nichiren scrive: «Quando il letto del fiume della realtà è infinitamente largo e profondo, l’acqua della saggezza vi scorre incessantemente. Quando realtà e saggezza si fondono, si ottiene la Buddità nella propria forma presente» (RSND, 1, 662).
Non si tratta quindi di accumulare conoscenze, quanto piuttosto di leggere e rileggere magari una singola frase del Gosho, o di una guida del presidente Ikeda, meglio ancora se recitando Daimoku per penetrarne il significato, con il desiderio sincero di migliorarmi, di trovarci dentro la chiave per cambiare, o l’incoraggiamento per puntare alto e credere nei miei sogni, nelle potenzialità illimitate della mia vita e di quella degli altri, per riuscire a trasmettere alle persone la meraviglia di questa Legge, per realizzare la visione del mio maestro…
Sensei scrive: «Spero che ognuno di voi si sforzi di leggere con la propria vita anche solo un brano del Gosho, mettendolo in pratica. Nel fare questo, è come se stessimo leggendo tutti gli insegnamenti del Daishonin» (NRU, 6, 124).
Vissuta in questo modo una singola frase può portarmi molto lontano, può trasformare la mia vita a una profondità che non immagino neppure, finché non lo sperimento. È la voce del Budda che mi parla in quelle righe, che si rivolge a me, che mi prende per mano e mi accompagna in un percorso nuovo, nel quale mi lascio guidare fiduciosa anche se non so dove mi condurrà. Come la mosca blu che si posa sulla coda di un buon cavallo, può viaggiare diecimila miglia (cfr. RSND, 1, 18). Ogni parola è espressione della compassione del Budda che come un genitore non desidera altro che la mia felicità.
Certo, se mi sta bene restare così come sono, non ho bisogno di studiare e neppure di un maestro. Ma quando cerco una guida e una risposta alla mia vita con lo spirito di ricevere indicazioni direttamente dal Daishonin per compiere un altro passo nella mia rivoluzione umana, in quel momento sono una discepola del Budda proprio come Nichinyo e la monaca laica Myoichi.

Un esercizio quotidiano

“Comprendere” fino in fondo, in questo caso, significa cambiare. Posso recitare milioni di Daimoku, ma se non c’è il desiderio sincero di ricercare il cuore del maestro, di fare mio il punto di vista del Budda su quell’aspetto o quella situazione, difficilmente la mia vita cambierà, perché resto attaccata al mio punto di vista personale, che inevitabilmente è una funzione del mio karma. Ci vogliono sincerità, serietà e tenacia per riuscire a cambiare, per diventare felici. Per questo Nichiren parla di “impegno”.
Ma lo spirito di ricerca è anche la chiave di una grande libertà: non c’è limite alla possibilità di aprire, approfondire e trasformare la mia vita. Tutto dipende da me. «Colui che udendo l’insegnamento del Sutra del Loto compie sforzi ancor maggiori nella fede è un vero ricercatore della via», scrive il Daishonin. E poi: «”Dall’indaco un blu ancora più blu”. Il significato di queste parole è che una cosa tinta nell’indaco diventa più blu delle stesse foglie di indaco. Il Sutra del Loto è come l’indaco e la forza della pratica è come il blu che diventa sempre più intenso» (RSND, 1, 404).
Posso utilizzare qualsiasi cosa mi accada come fonte di crescita per approfondire la mia fede e rafforzare il mio stato vitale, sperimentando il potere di Nam-myoho-renge-kyo passo dopo passo, con audacia e senso di sfida, mettendo in gioco tutta me stessa. Come il ragazzo delle Montagne Nevose che si butta impavido nelle fauci di un demone, pur di conoscere la verità. Che cosa rappresenta quel salto? È il salto senza rete della fede, di chi non teme di perdere alcunché, perché sa bene che offrendo interamente la sua vita per la Legge può solo guadagnare.
Quando studiamo il Buddismo è necessario accostarsi con la fede: «Quando leggiamo il Gosho – scrive Daisaku Ikeda – dovremmo farlo con la profonda convinzione che quello che stiamo leggendo è la verità, l’assoluta verità. In altre parole, dovremmo leggere con la fede, ricercare con la fede e capire con la fede» (NRU, 6, 222). Anche Nichiren precisa: «Sia la pratica che lo studio sorgono dalla fede».
Ciò significa, tra l’altro, adottare il Gosho nella sua interezza, senza scegliere o scartare ciò che ci risulta più difficile mettere in pratica. Ogni parola, ogni frase è importante. Per questo a volte si consiglia di leggere ad alta voce e di memorizzarlo. Dovremmo leggere il Gosho con le parole, con il pensiero e con l’azione. Così la fede aumenta in relazione alla profondità della comprensione, e una fede più profonda rafforza la comprensione del Buddismo.
Vissuto in questo modo anche lo studio diventa divertente. Recitare Daimoku diventa divertente. Rilanciando e ricominciando a scavare ogni giorno, senza accontentarmi, con umiltà e sincerità, con la consapevolezza e la fiducia che il mio percorso di esplorazione, di scoperta e di rivoluzione potrà essere di ispirazione anche per gli altri. È un corpo a corpo con i miei limiti, con la mia oscurità, che io soltanto posso intraprendere, decidere di fare.
Sensei racconta: «Quando ero giovane portavo sempre il Gosho con me ovunque andassi. Lo leggevo ogni volta che ne avevo la possibilità, anche in treno mentre mi recavo a visitare diverse regioni. […] Prendevo la cosa seriamente perché sapevo che senza studiare gli scritti del Daishonin non avrei potuto approfondire la mia fede o incoraggiare molti membri» (BS, 140, 60).
Perché lo studio ci serve anche – o soprattutto – per ispirare e incoraggiare la persona che ci sta di fronte, per aiutarla a vincere, a manifestare la sua Buddità. «Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri. […] Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o un solo verso», dice il Daishonin.
Proprio come fa il ragazzo delle Montagne Nevose, che una volta appreso quel verso tanto desiderato dalla bocca del demone, prima di gettarsi nelle sue fauci lo ripete più volte imprimendolo profondamente nel suo cuore, per ricordarlo anche nelle vite successive; poi, al colmo della gioia lo incide sui tronchi degli alberi e sulle rocce, per condividere quella verità con tutte le persone, pregando che passando di lì possano vederlo e, comprendendone il significato, possano entrare anche loro nella vera via. Soltanto dopo aver fatto tutto questo sale su un albero e si getta nel vuoto. Allora il demone, ripreso il suo aspetto originale di Shakra, lo accoglie al volo tra le sue braccia lodando il suo spirito di ricerca e gli chiede perdono per aver voluto mettere a così dura prova la sua fede. Nichiren Daishonin commenta: «Nel passato il ragazzo delle Montagne Nevose volle dare la sua vita per la metà di un verso. Quanto più dovremmo esser grati di poter ascoltare un capitolo o un volume del Sutra del Loto! Come potremo mai ripagare una cosa simile?» (RSND, 1, 672).

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