Figlio, padre, marito: per ogni ruolo le responsabilità e le preoccupazioni sono infinite. L’atteggiamento da mantenere è quello di affrontare faccia a faccia ogni sfida, usando la risorsa migliore: la fede
Quando mi fu chiesto se avevo la possibilità di partecipare al corso primaverile di quest’anno in Giappone, risposi di getto in modo affermativo senza preoccuparmi troppo di controllare se il lavoro e le numerose problematiche famigliari che stavo vivendo me lo avrebbero consentito.
Riagganciato il telefono, infatti, mi sentii un po’ a disagio e alquanto incosciente, visto che mia moglie avrebbe dovuto affrontare a breve un intervento chirurgico, mio figlio di nove anni una serie di accertamenti medici per controllare dubbie aritmie cardiache e noduli sospetti intorno al collo e i miei genitori ultraottantenni, affetti da tempo da malattie invalidanti, erano bisognosi di regolare assistenza. Trasformai l’ansia e la preoccupazione che mi dominavano in motivazione per recitare Daimoku con maggiore forza e convinzione. La decisione di andare a un corso in Giappone non derivava dalla voglia superficiale di fare un viaggio di piacere, ma dal desiderio di approfondire la mia fede e trasformare fino in fondo tutto ciò che di negativo la mia vita mi stava mettendo di fronte.
Determinai così davanti al Gohonzon che qualunque difficoltà fosse emersa l’avrei affrontata faccia a faccia e mi sarei sforzato di fronteggiarla con la fede. Tra alti e bassi, cadute e risalite riuscii a sistemare ogni cosa in modo tale che la mia assenza non avrebbe costituito un problema per nessuno. Qualche giorno prima di partire per il Giappone mia moglie fece l’intervento preventivato e mio figlio la prima serie di analisi di controllo generale, ma i risultati sarebbero arrivati solo dopo dieci giorni, cioè al mio ritorno dal corso.
Partii con sentimenti contrastanti nel cuore, un misto di gioia e preoccupazione, ma all’arrivo a Tokyo qualcosa in me si trasformò. L’incontro con i membri d’ogni parte del mondo, i messaggi di benvenuto del presidente Ikeda e la commovente accoglienza riservataci, mi sollevarono il cuore dalle preoccupazioni e mi fecero affrontare il corso in modo sereno e gioioso.
«Non sono i problemi a rendere infelice una persona – ha detto il vice direttore generale Hasegawa nel suo intervento del 17 aprile – ma l’assenza di convinzione nella fede e la mancanza di coraggio di affrontarli». Naturalmente decisi di scegliere la gioia e la decisione di vincere, o comunque di affrontare qualunque cosa il futuro mi avesse riservato, invece del dubbio e della preoccupazione che qualcosa potesse andare storto. Durante tutti i giorni del corso mi sono sentito incoraggiato e accolto dal presidente Ikeda come un figlio tornato a casa dopo una lunga assenza.
Il giorno successivo al mio rientro a casa sono arrivati i risultati delle analisi di mio figlio e della biopsia di mia moglie. Tutto perfetto, nessun motivo di preoccupazione. In merito ai miei genitori il presidente Ikeda mi ha fatto dono di due cartoncini sui quali sono scritti, in giapponese, i loro nomi e la frase “preghiera di guarigione”. Cosa fare ora che sono tornato in Italia col cuore colmo di gratitudine? Me lo ha suggerito sensei in uno dei suoi numerosi messaggi inviatici durante i giorni di permanenza in Giappone: «Rivolgo questo appello a ciascuno di voi: abbiate cura di ogni singola persona che avete di fronte. Incoraggiatela, aiutatela a rafforzarsi e a crescere affinché possa divenire magnifica. Impegnatevi a ispirare chi vi trovate accanto, con cui condividete speciali legami karmici in questa vita, sia dentro che fuori la SGI, e sforzatevi di risvegliarlo alla sua innata dignità. Nel fare ciò mi auguro possiate tutti condurre una vita senza rimpianti, nella sublime ricerca del vostro grande voto».