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Navigando oltre le barriere - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:52

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Navigando oltre le barriere

Una passione che diventa un lavoro e una missione. Enrico Giannotti, fondatore del progetto “Navigando oltre le barriere”, insegna vela ai ragazzi diversamente abili: attraverso la vela e il contatto con il mare possono sentirsi liberi

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Una passione che diventa un lavoro e una missione. Enrico Giannotti, fondatore del progetto “Navigando oltre le barriere”, insegna vela ai ragazzi diversamente abili: attraverso la vela e il contatto con il mare possono sentirsi liberi

Come è nata l’idea di insegnare a navigare a vela ai ragazzi diversamente abili?

È nata pensando a dei cari amici che vivono questa realtà: c’è chi l’affronta e va avanti e chi invece, diventato improvvisamente disabile, non riesce più a ritrovare la voglia di vivere. Insegno vela da oltre venticinque anni e conosco bene il senso di libertà che regala questo sport e lo stare a contatto con il mare, così ho deciso di fare lezione anche a ragazzi e ragazze affetti da sindromi come per esempio quella di Down, o che in seguito a patologie o incidenti si sono ritrovati improvvisamente in un corpo “diverso”. Immaginate di svegliarvi un giorno all’interno di una gabbia, il vostro corpo, che non vi permette più di condurre la stessa vita del giorno prima: dentro siete gli stessi, fuori no e all’improvviso dipendete dagli altri per ogni cosa. È dura sia per chi lo vive in prima persona sia per chi gli sta vicino quotidianamente. Una ragazza della mia scuola durante una premiazione ha detto: «Quando vado in barca mi sento libera da ogni cosa» e queste parole hanno più valore di qualsiasi riconoscimento.

Deve essere stato impegnativo concretizzare un progetto come “Navigando oltre le barriere”…

Mi sono occorsi quarantadue anni di vela, un brevetto ad hoc della Federazione Italiana Vela per ragazzi diversamente abili, Daimoku e la fortuna accumulata dedicandomi all’attività per gli altri. Ce l’ho fatta, senza compromessi, combattendo, piangendo e certe volte arrabbiandomi, ma ho realizzato il sogno di aprire la scuola Area 51 per ragazzi diversamente abili e normodotati. È stata dura, le risorse finanziarie erano scarse: il fallimento della ditta, la perdita di tutto il patrimonio familiare, la morte di tanti amici e cugini giovanissimi. Gli ostacoli non sono mancati, eppure ho trovato le barche per la scuola a un prezzo impensabile e con l’aiuto di alcuni amici sono riuscito a metterle a posto. Poi, però, non mi permettevano di tenerle al porto di Marina di Carrara, ma partendo dalla preghiera ho trovato una soluzione anche a questo. Sono un po’ come Shijo Kingo, la collera sarebbe la mia prima reazione di fronte a certe ingiustizie, eppure non ho mai perso la convinzione di farcela.

Cosa cerchi di trasmettere agli allievi durante le tue lezioni?

Di divertirsi e di godersi le emozioni che la barca a vela regala. È questo che fa la differenza. Scherzo con loro come farei con chiunque altro e cerco di immedesimarmi, anche se è impossibile capire le loro difficoltà al cento per cento. Applico un metodo diverso di insegnare le cose a seconda della persona che ho di fronte. A volte ci sono ragazzi che fanno fatica a distinguere la destra dalla sinistra e nell’andare a vela è indispensabile capire la differenza per manovrare la barca. Così a volte uso i colori per aiutarli ad associare la giusta direzione. Ci vuole tempo e pazienza, ma tutti imparano, su questo non ho dubbi. Costanza e perseveranza: è un lavoro delicato ed è necessario uno stato vitale alto per portarlo avanti. Daimoku, attività per gli altri e molto studio sono i miei preziosi alleati. Fatto questo, mi preoccupo di tirare fuori l’umanità: è questa che mi ha permesso di comunicare con persone di ogni tipo e di ogni parte del mondo e di creare con loro legami di amicizia pur non parlando la stessa lingua.

Di gare di surf, vela e windsurf ne hai vinte tante: ce n’é una di cui sei particolarmente fiero?

Avevo un conto in sospeso coi campionati italiani di surf di Viareggio del 1987. Secondo me meritavo di vincerli e fino al 2011 mi sono portato dentro tanta rabbia per questo. Ventiquattro anni dopo hanno organizzato di nuovo il campionato italiano proprio a Viareggio. Ho partecipato e vinto il Master nella categoria 45 e 50, gareggiando con gli stessi ragazzi dell’87, ormai “cresciuti” come me, e aggiudicandomi il titolo di Campione italiano di surf. Una bella rivincita. Il vecchio Moz, come mi chiamano i ragazzi, ha potuto realizzare un desiderio che aveva da tempo, comprendendo che non bisogna rinunciare a ciò che sentiamo essere importante per la nostra vita, debellando fino in fondo dubbi e paure.

Essere il presidente dell’Associazione sportiva dilettantistica Area 51 cosa significa per te?

Ho iniziato ad andare in barca all’età di sette anni, fino a farne una professione. Ho dedicato la vita al mare e alla vela partecipando alle regate più importanti del mondo e nel 1980 sono stato un precursore del surf skate e snowboard in Italia. Il mio desiderio è quello di insegnare agli altri tutto ciò che so e che mi hanno insegnato. La frase di Victor Hugo: «Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione» sento che riassume lo spirito con cui ho fondato le scuole di surf e vela; mi fa venire in mente il maestro Toda che è stato prima di tutto un insegnante di vita oltre che un educatore: aveva una visione ampia della realtà e questo si rispecchiava nel suo modo di insegnare. Basarsi su Nam-myoho-renge-kyo vuol dire risvegliarsi alla propria missione, essere parte attiva nella società. Questo significa anche avere a cuore i giovani, aiutarli a diventare persone di valore affidando loro il testimone, affinché si risveglino al loro potenziale e possano fare lo stesso con chi verrà dopo.

Eppure il tuo progetto è solo all’inizio…

Esattamente. Vorrei che tutti coloro che lo desiderano potessero fare questa esperienza e far partecipare i miei ragazzi a una regata con una barca grande. Per quanto riguarda i costi, li abbiamo ridotti al minimo rendendo le lezioni accessibili alla maggior parte delle persone, ma vorremmo portarle a costo zero. Inoltre vorrei fare una regata con i miei ragazzi in giro per l’Italia con una barca con scritto Senzatomica sulla vela. Io credo che ciascuno debba cavalcare la sua onda: è solo sua, nessun’altro può cavalcarla, non bisogna aspettare! Anche lei ha paura: è sola con te. Cavalcare la propria onda per me vuol dire sentire che la felicità si chiama amore, amore per ciò che si fa, per ciò in cui decidiamo sfidarci. Il traguardo di questo progetto lo dedico a mio padre, un uomo che amava il mare e che mi ha permesso di recitare Daimoku senza mai ostacolarmi, anzi sostenendomi. E mentre esalava il suo ultimo respiro e io lo accompagnavo sulla sua “onda” mi ha detto: «Figlio mio, non ho paura perché ci sei tu con il canto di Nam-myoho-renge-kyo».

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