Quando lo studio diventa un’occasione per superare le proprie difficoltà, la soddisfazione è assicurata. Alcuni membri raccontano la loro esperienza
L’amica ritrovata – Andreina Marcocci
Diversi anni fa si scelse come argomento per la riunione di discussione “i benefici”. Per prepararmi cercai sulle riviste dell’Istituto qualcosa che mi facesse approfondire meglio l’argomento. Trovai una spiegazione semplice ma efficace che partiva dal significato della parola beneficio in giapponese: ku estinguere il male, doku far emergere il bene. Quando mi chiesi: «Che cosa significa estinguere il male nella mia vita?» fu come un fulmine a ciel sereno perché all’improvviso mi resi conto che da tempo mi portavo dietro un rancore nei confronti di una compagna di fede con la quale avevo avuto delle difficoltà personali che mi avevano impedito per mesi di partecipare alle riunioni dove c’era anche lei. Quel ku di kudoku mi fece vedere che quel rancore era un male che imbalsamava la mia vita e non faceva emergere il bene. Come far emergere doku? Recitai Daimoku: capire avevo capito, ma dovevo anche agire. Decisi di andare allo zadankai che si teneva a casa sua, mi preparai con cura, le comprai un regalino e andai. Quel giorno era a letto con la febbre e non partecipò alla riunione, ma il gelo era sciolto e da allora siamo amiche e compagne di fede che si sostengono a vicenda.
C’è parola e parola – Nikolas M.
Parole parole parole… Si potrebbe riassumere nel titolo di questa famosa canzone la mia avversione verso lo studio, almeno fino a poco tempo fa. Studiare, per me, significava appunto “parole parole parole”. Siccome faccio un mestiere che, pure, è fatto di parole (sono un traduttore), istintivamente nella pratica ho sempre privilegiato “il potere mistico della Legge” (come a dire: ah che bello, non c’è niente da studiare e niente da capire). Ora voglio dare l’esame di terzo livello e per darlo devo studiare: ogni volta che c’è un esame mi ritrovo nella stessa situazione. Nell’introduzione del libro per gli esami c’è scritto che il maestro Toda, mentre era in carcere, studiava e ristudiava il Sutra del Loto. E alla fine ha avuto la seguente illuminazione: «Il Budda è la vita». Com’è vero, com’è bello! Ma se non studiavo, sarei mai arrivato a condividere questa bellissima illuminazione?
L’ago della bussola – Michele Rotella
Per tanto tempo per me lo studio è stato un optional, un dovere e mai un piacere. Credo che proprio perché mi mancava questo pilastro ho smesso di praticare per due anni. Quando ho ricominciato ho capito che se volevo andare avanti nella mia rivoluzione umana quel pilastro era indispensabile. E come sempre succede, l’occasione si è presentata subito: gli esami di primo livello. La meraviglia e il piacere che ho trovato nel capire cosa realmente è il Buddismo di Nichiren mi ha portato non solo ad avere una bussola che puntava alla crescita e alla felicità, ma anche a una fonte inesauribile di incoraggiamenti per le persone con cui mi incontravo. Invece che partecipare agli incontri di studio per gli esami, andavo a trovare singolarmente le persone per studiare insieme, trovando sempre stimoli reciproci per superare ognuno le proprie difficoltà. Grazie a quell’esperienza, il giorno degli esami incontrai colei che ora è la mia compagna di vita.
L’esperienza sono io – Ilaria Abate
Ho ricevuto il Gohonzon il 22 giugno 2013, sostenuta da “buoni amici” che mi hanno sempre suggerito di sperimentare il mio spirito di ricerca con l’esperienza concreta. Sapevo del valore dello studio, come motore trainante per la fede e come terzo pilastro per la pratica corretta, ma non pensavo rappresentasse una sfida perché ho sempre avuto grande voglia di apprendere fin da bambina. Eppure, proprio durante le riunioni di studio, non riuscivo a percepire fino in fondo il rapporto col maestro. Qualcosa non funzionava. Per evitare il vortice dell’ansia mi convinsi che in fondo ero solo al principio. «Non c’è ragione di cercare risposte con la mente», mi ripetevo. Non funzionò: a fine ottobre mi sentivo fuori ritmo e molto stanca di lottare. Temevo di non riuscire a dimostrare l’efficacia di questa pratica. All’inizio di novembre ho percepito una trasformazione. Per la riunione di studio del mese avevo adesso un’esperienza da raccontare ai miei compagni di fede e… l’esperienza ero io. Recitando tre settimane con altre ragazze, le avevo esortate a riconoscere il valore della vita e l’infinito potenziale della Legge mistica: il Gosho nel quale il Daishonin risponde alle preoccupazioni del prete laico Takahashi mi sembrò scritto per me, per la mia situazione. Subito dopo sono stata nominata responsabile delle giovani donne del mio settore. Sono felice per questa missione, ma soprattutto per essere riuscita a leggere il Gosho con il cuore, oltre che con gli occhi.
Un libro in tasca – Isabella Sola
Qualche anno fa mia madre ha avuto un serio problema al nervo vescicale che l’ha obbligata a portare il catetere e questo che non le consentiva di fare una vita normale. L’ultimo medico al quale mi ero rivolta col desiderio che le venisse tolto mi aveva aggredita dicendo che a una donna anziana e invalida non lo avrebbe mai levato. Uscii dall’ospedale in lacrime e tirai fuori dalla borsa Buddismo e Società (ho sempre con me qualche scritto buddista da leggere nei momenti cruciali) e lessi La dottrina dei benefici di Katsuji Saito che riportava una frase di Nichiren Daishonin: «Vivi in modo che tutte le persone di Kamakura lodino Nakatsukasa Saburo Saemon-no-jo per la devozione al suo signore, al Buddismo e per il suo rispetto e attenzione nei confronti degli altri». La spiegazione diceva che se si rende manifesto il tesoro del cuore attraverso il nostro comportamento, ciò colpirà le persone positivamente. Ho capito che dovevo perseverare, così il giorno dopo sono tornata in ospedale con mamma. Mi sono avvicinata a un medico che mi aveva colpito. Gli ho spiegato la situazione e lui mi ha detto: «Accetto la sfida, proverò a togliere il catetere a sua madre». Inutile dire che dopo una settimana mia madre era tornata a sorridere. Qualche giorno dopo quel medico mi ha spiegato che nonostante fosse oberato di lavoro aveva sentito che “non poteva sottrarsi alla mia richiesta”.